Capitolo uno.

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Gennaio. Che mese orribile, per i miei gusti. Inizia l'anno, passano le feste, si ritorna a scuola e non si desidera altro che l'estate a questo vento freddo.
Siamo in uno dei mesi più fragili dell'anno. Quello dove le persone iniziano e finiscono qualcosa. Quello dove i ragazzi indossano giacconi pesanti e quello dove le ragazze iniziano a mettere felpe che le coprono fino al collo.
Per me, quando arriva gennaio passa tutto. Voglia di uscire, feste, divertimento, la voglia di studiare nonostante di scuola ce ne sia ancora tanta da fare.
È tutto così monotono e palloso.
Guardo fuori dalla finestra di camera mia, sembra sera, ma sono le sette e venti di mattina.
Mi devo sbrigare.
Con la velocità di un bradipo col ciclo, prendo dell'armadio il mio jeans a vita alta semplice con una felpa rossa con disegnato l'acchiappasogni.
Prendo le converse nere da dentro la scarpiera e le infilo dopo aver messo i calzini.
Continuo la mia routine, lava i denti e la faccia, aggiusta i capelli, metti del mascara e prepara lo zaino.
Sono le sette e quarantacinque.
C'ho messo poco, eh?
Alle sette e cinquanta passa il mio autobus, e qui non funziona come in America che vai lì e quelli sono capaci anche di aspettarti. Qui a Napoli appena vedono che non c'è nessuno alla fermata, senza neanche parcheggiare o fermarsi, vanno via.
Vado in cucina e trovo la mamma a pulire la sua tazza del latte.
"Avrei potuto farlo io quando sarei tornata. È solo una tazza" le dico dopo averle dato il buongiorno.
Alza le spalle ed io prendo una bottiglia piccola di plastica dal frigo.
Schiocco un bacio sulla guancia a mia madre e corro fuori. Faccio i soliti nove scalini e saluto la signora che ha sempre la finestra aperta del palazzo di fronte e corro alla fermata autobus.
Io arrivo, e quello va via.
"Ma accirt" sbotto.
Ora come ci vado a scuola a piedi che è tardi?
Torno indietro, nel mio quartiere, e chiamo al mio amico Tony. Lui ha il motorino e se ho la fortuna che non dorme mi può accompagnare.
Si affaccia la madre.
"Oi dimmi Ele".
"C'è Tony? È sveglio?" chiedo con l'affanno per via della corsa.
"Si certo è sveglio. Ti serve qualcosa?"
Annuisco.
Lei si gira col capo e urla il nome del figlio. Dopo poco anche lui si affaccia.
In tutto questo si sono otto meno dieci.
"Tony, ho fatto tardi mi accompagni a scuola? Per favore" urlo.
Annuisce.
Picchietto con il piede per terra e vedo uscire dal palazzo il mio amico.
"Buongiorno" sorride.
Ricambio veloce.
Salgo sulla moto dietro di lui, e ci avviamo a scuola inoltrando il traffico.
Sono le otto e cinque minuti ed io sono a scuola.
Saluto il mio amico con un bacio veloce sulla guancia.
"Grazie Tó" urlo mentre corro verso l'entrata ancora aperta, fortunatamente.

Resta ancora un pó.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora