Capitolo cinque.

10 3 0
                                    

Antonio continua a parlare a raffica, sembra proprio farlo apposta.
"Dio santo, ti vuoi stare zitto?" sbotto.
Mi guarda soddisfatto.
"Finalmente parli".
Lo guardo male.
È da stamattina che continua a rompere le scatole. Stavo andando a casa di Alessandro, un mio amico, perché mi annoiavo. Ho incontrato questo dlogodita per strada con il suo motorino e dopo tante storie sono salita sul suo motorino; mi ha portata a Mergellina e ci siamo seduti sugli scogli a parlare. Mi ha raccontato che abita nella sanità, un quartiere simile a quelli spagnoli, e che la sua famiglia è una delle tante ad "assistere" senza parlare e fare qualcosa riguardo quello che succede.
"Non possiamo andare alla polizia a fare i nomi di varie persone. Una volta sono stato addirittura forzato e picchiato per dire il nome di una persona coinvolta in un furto di una macchina, ma non ho detto nulla, sono stato zitto perché gli amici non si tradiscono" mi ha detto. Gli ho risposto che da una parte era anche sbagliato, ma resta fermo su questo suo parere. Mi ha detto di avere una sorella più piccola di due anni, e quando ho visto la foto ho capito che gli assomigliava tantissimo. Abbiamo mangiato, io la pizza lui il Kebab con l'insalata, e abbiamo ripreso a camminare per il lungo mare.
Di me gli ho raccontato poco, solo che sono figlia unica, la scuola che frequento ed ho risposto alla domanda "quando sei nata?"
"Il dodici febbraio".
Ora siamo seduti in spiaggia e lui non fa altro che prendermi in giro.
"Non vedo l'ora di andarmene a casa!" esclamo.
Scoppia a ridere.
"Mio dio, quanto sei antipatica."
Mi porto una mano al petto, fingendomi offesa.
"Mi scusi signore, la prossima volta terrò per me i miei pensieri e consulteró prima la mia coscienza".
Annuisce con aria soddisfatta.
"Bene bene, fallo anche ora".
Sto zitta e chiudo gli occhi, facendo finta di pensare.
La sua risata mi distrae, quindi li riapro.
"Cosa ti dice?" chiede curioso.
Faccio piccoli segni di assenso con la testa, facendo finta di pensarci ancora.
Lo guardo negli occhi sorridendo.
"Che sei un coglione".
Apre e richiude la bocca, poi scoppia a ridere e mi lancia della sabbia sul pantalone.
"Che bastarda" ridiamo insieme, poi brividi di freddo mi percorrono le braccia.
"Andiamo? Fa un pochino freddo qui" chiedo.
Annuisce e si alza pulendosi il pantalone, poi mi allunga la mano per aiutarmi ad alzarmi.
Mi pulisco anche io il mio pantalone e torniamo in strada.

Resta ancora un pó.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora