La Quattordicesima Carta

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(Finale Alternativo)
Di cloverstar21

"Alla fine siamo tutti come carte estratte da un mazzo"

Lucrezia rimase per un attimo ferma sul marciapiede ad osservare, visibilmente annoiata, il nuovo ingresso della Pierpont Morgan Library & Museum, al 225 di Madison Avenue, un padiglione in vetro progettato dal famosissimo architetto Renzo Piano.
Continuava a tenere stretto al petto un libro dall'aria sgualcita e piuttosto vecchia, come se si trattasse di un piccolo, grande tesoro. In realtà, nemmeno lei sapeva bene il perché se lo fosse portato dietro.
Ma nonostante questo non riusciva a separarsene.
Il suono di una notifica proveniente dallo smarthphone, le fece distogliere per un attimo lo sguardo.
Frugò all'interno della sua Hermès, ripescandolo dal fondo. "Libero da impegni. Ci vediamo? E."
Un'espressione divertita, curvò le morbide labbra, mentre digitava distrattamente una risposta.
"Non stasera. C'è l'inagurazione del suo dipartimento. Non posso mancare." Ripose il telefono, senza alcuna cura, dentro la borsa avviandosi con passo spedito verso la nuova entrata di quella splendida biblioteca-museo.
"Mettiamo fine a questa messinscena il prima possibile!" Pensò infastidita oltrepassando le porte.

Il rumore dei suoi vertiginosi tacchi a spillo rimbalzò ovunque nella sala d'ingresso, attirando l'attenzione dei numerosi ospiti, fino a quel momento occupati a servirsi del buffet di benvenuto. La maggior parte degli sguardi maschili si soffermò, piacevolmente colpita, su quella sinuosa figura. Non notarla, sarebbe stato impossibile, perché Lucrezia era una fottuta stronza, sì, ma una fottuta stronza bellissima che sapeva di esserlo e non faceva niente per nasconderlo.
I capelli scuri le scendevano morbidamente sulle spalle, ricoperte da un elegante cappotto Valentino, lasciato aperto sul davanti e che faceva intravedere un aderentissimo tubino nero, con tutta probabilità, creazione dello stesso stilista.
Le gambe snelle, slanciate, avvolte da sottili calze autoreggenti, color carne, completavano la mise.
Sorrise, compiaciuta dell'effetto suscitato. Il viso dolce come quello di un angelo, che nascondeva un'anima dannata ormai da molto tempo.
La pelle bianca e candida come la luna e quegli occhi scuri come carbone ruvido, circondati da lunghe ciglia, che sapevano conquistare tutti al primo sguardo, per poi farli marcire nel buio dell'abbandono.
Subito un cameriere le si avvicinò con un vassoio, offrendole una coppa di champagne, che accettò senza indugio. Dopo il primo sorso, riportò lo sguardo su quel giovane che stranamente era rimasto fermo a fissarla.
Sentì qualcuno, alle sue spalle, bisbigliare parole incomprensibili "Ciarlatano... Prestigiatore... Bagatto. Sì, proprio lui... Il bagatto!"
Un leggero capogiro. Qualcosa in lui sembrava cambiato. Indossava uno strano mantello rosso su una tunica verde e le sorrideva impunito.
Lucrezia lo guardò inorridita: doveva ricordarsi di dire a William che le divise del catering scelto, erano pessime e di cattivissimo gusto.
Nello stesso momento un uomo basso e tarchiato, dall'evidente stempiatura, le si avvicinò con fare gentile. Lo accolse con un freddo sorriso, che però a lui bastò tanto da fargli arroventare, eccitato, le budella.
"Madame Voelkle, benvenuta!" La salutò con un lieve cenno della testa. "Bersky, carissimo. Sono felice di vederla. Avete fatto davvero un ottimo lavoro!" Disse indicando la sala intorno a loro. "Lieto che le piaccia. Ma il meglio lo deve ancora vedere. Suo marito si è superato questa volta!"
Lucrezia sollevò d'istinto il sopracciglio. "Non ho alcun dubbio. Sarebbe stata una notevole delusione sapere il contrario, dato che non l'ho praticamente visto per mesi..." Il tono lievemente polemico non passò inosservato.
Bersky si ritrovò ad arrossire imbarazzato sotto quello sguardo carico di malcelato rimprovero . "E io sono certo che non ne rimarrà delusa..." Aggiunse con tono sottile. Poi qualcosa catturò la sua attenzione, riuscendo a fargli distendere improvvisamente i nervi. "Vedo che ha portato con sé "Il castello dei destini incrociati" di Calvino"
Lucrezia, perse per un attimo la sua rigida ostilità, lasciando che lo sguardo le si posasse su quel libro che continuava a stringere tra le mani. "Sì..." Sussurrò presa in contropiede.
"Bene." Sorrise l'ometto, felice di averla colpita con quella domanda. "È il minimo comun denominatore dell'edizione di quest'anno..."
Lucrezia lo fissò come se non avesse compreso fino in fondo le sue parole.
"Venga, ho avuto disposizione di farle visitare la nuova sala in anteprima." Con un gesto del braccio la invitò a seguirlo. Lucrezia depositò il calice ormai vuoto su uno dei vassoi, affiancando incuriosita Bersky. "Perchè ha detto che questo libro ha a che vedere con la vostra mostra?" Domandò d'un tratto. L'ometto si bloccò d'improvviso nel corridoio voltandosi a fissarla confuso. "Come, scusi...?" Lei gli indicò il libro spazientita. "Madame Voelkle, pensavo che fosse al corrente del tema di questa edizione..." "Evidentemente no!" Ripresero a camminare nel silenzio più totale, scandito solo dal rumore dei tacchi di Lucrezia. "Il Castello dei destini incrociati..." Bisbigliò Bersky, talmente piano che la donna pensò di esserselo sognato.
"Pubblicato nel 1969, nel volume "Tarocchi. Il mazzo visconteo di Bergamo e New York" da Calvino. Il testo narrativo era accompagnato da riproduzioni di carte dei tarocchi in varie combinazioni, dalle quali lo scrittore fece scaturire diversi racconti..." L'uomo si fermò a pochi passi da quella che doveva essere l'entrata della nuova sala espositiva.
Si voltò verso di lei fissandola come mai prima di quel momento aveva osato fare. Lucrezia ricambiò quello sguardo e per un breve istante le sembrò diverso. Più alto, con i vestiti laceri e a piedi nudi. Tra i capelli alcune piume e sulle spalle un lungo bastone alla cui estremità sembrava penzolare una specie di fagotto. "È matto!" Si sentì sussurrare all'orecchio. "Quello champagne era bello forte Bersky!" Lo vide sorridere e farle cenno di sì con la testa. "Prego Madame, la sala è tutta sua!"
Lucrezia lo oltrepassò senza smettere di fissarlo. Vedeva ancora quelle dannate piume! Un'ultima occhiata prima di lasciarselo alle spalle ed entrare nella sala circolare, illuminata da luci calde e soffuse.
Si fermò nel centro esatto della stanza. Alle pareti erano appese 22 teche di medie dimensioni. All'interno di ognuna, quelle che sembravano carte, dagli angoli stondati. Il fondo in oro con disegni a tempera e argento. Anche solo viste da lontano le apparivano bellissime, di un'eleganza d'altri tempi, ormai dimenticata.
Un vago senso di nostalgia le riempì il cuore. Si avvicinò incuriosita ad una di esse. La targhetta sottostante citava "La dodicesima - L'Appeso detto anche "Il Traditore".
Era un giovane uomo biondo, bellissimo, capovolto, appeso per una caviglia allo stipite di una cornice. I polsi dietro la schiena, presumibilmente legati. Le si accapponò la pelle. Conosceva quel viso. Lo aveva contemplato spesso, in molte di quelle folli notti solitarie. Fece un passo indietro spaventata. Ethan. "Lasciatemi cosi. Ho fatto tutto il giro e ho capito. Il mondo si legge anche al contrario. Tutto è chiaro!" Le disse il giovane uomo capovolto.
"Che diavolo c'era in quello champagne?" Si ritrovò a pensare, portandosi una mano tremante alla tempia. Si guardò intorno confusa. Le carte sembravano aver preso vita. Posò lo sguardo su un'altra di esse. "La Prima - Il Bagatto detto anche Il Ciarlatano"
Il viso del giovane cameriere le si parò davanti in tutta la sua impudenza. "Altro champagne Madame Voelkle?" La sbeffeggiò di rimando quest'ultimo. Lucrezia si allontanò sempre più sconvolta.
Che razza di scherzo era quello? Riportò la sua attenzione alle teche e solo in quel momento si accorse che una era completamente vuota.
Al suo interno nessuna carta ad impreziosirla. Si spostò tremante una ciocca di capelli dal viso, avvicinandosi lentamente, per leggere la didascalia al di sotto. Lucrezia sentì qualcosa smuoversi in lei.
Guardò il riflesso di se stessa dentro quella teca vuota e si accorse di essere improvvisamente nuda. Senza un filo di trucco. Privata dei suoi costosissimi abiti firmati e dei gioielli, regali di anniversari ormai dimenticati.
Si coprì i seni con le mani, non sopportando ulteriormente la vista di quell'immagine.
Il suo sguardo si soffermò su un'altra teca. "La Quindicesima - Il Diavolo" Un essere dalla testa e zampe di capra la fissava con sguardo lascivo.
La lingua schioccava rumorosamente fra le labbra, desiderosa di posizionarsi sulla sua pelle."Sembri buona... Vorrei leccarti... Ovunque!" Le sussurrò facendola rabbrividire. "Non vorresti fare altrettanto?" Domandò prima di scoppiare in una fragorosa risata, dal suono così cavernoso e primitivo che fece arretrare ancora di più Lucrezia.
"Sciocca. Scherzavo..." La fissò malizioso. "Siete così prevenuti nei miei confronti! A mia difesa posso dire che avete sentito una sola campana. Dio, ha scritto lui tutti i libri..." Concluse con un'altra sonora risata.
"Che cosa mi sta succedendo?" "Guarda ancora..." Una calda voce alla sua sinistra, la fece voltare in quella direzione.
Un vecchio dall'aspetto gentile e rassicurante, appoggiato ad un pastorale, le sorrideva.
"La Quinta - Il Papa"
"Cosa devo guardare?" Domandò Lucrezia.
Lui le indicò la teca vuota di fronte a lei. "Coraggio... Ritrova la strada..."
"Ma di cosa diav..."
"Ehmm... Ti pregherei di non nominarmi così alla leggera..." L'avvertì la Quindicesima alle sue spalle.
Lucrezia riportò lo sguardo sullo scrigno di vetro vuoto. Il suo riflesso sembrò prendere vita e parlarle. "Era il 1480. Antonio ha fatto di te forse tra le più belle..." "Antonio..." Quel nome non le era indifferente, ma non sapeva perchè.
"Antonio..." Ripetè a voce più alta e in quello stesso istante, sentì qualcosa sfiorarle la pelle.
Setole di un pennello scorrevano su di lei, creando linee e disegni immaginari che via via prendevano forma e sostanza. I suoi capelli cominciarono a schiarirsi fino ad assumere il colore del grano appena raccolto, allungandosi ben oltre la fine della schiena in morbide onde setose.
La carnagione prese vita con un delicato accenno di rosa. Gli occhi si riempirono di mille lapislazzuli scintillanti come astri nel firmamento.
Una veste azzurra di pura seta, comparve avvolgendo il suo corpo, di una leggerezza impalpabile, decorata da centinaia di stelle luccicanti e dorate. Lei stessa sembrava brillare.
Il suo cuore ebbe un fremito. Antonio Cicognara.

Lo rivide piegato su di lei. Dandole la forma e l'immagine di quella donna che segretamente amava e che probabilmente non sarebbe mai stata sua. "Perchè bisogna avere pazienza e agire con moderazione. Usare dolcezza e gentilezza. Solo così forse..." Una lacrima cadde su di lei. Ne assaporò il sapore e un dolore sconfinato si ripercosse nel suo corpo fino a calmarsi del tutto. Antonio aveva finito. Il pennello riposto con cura dentro il contenitore alla sua sinistra. La fissava pieno di amore e orgoglio.
"Sei la mia diletta" Due ampolle erano comparse tra le sue mani e contenevano le lacrime versate dal miniaturista.

Lucrezia iniziò a comprendere. Come se un sottile velo dipinto si stesse sciogliendo pian piano davanti agli occhi. "Ho paura... Non so se sono in grado..."
"Certo che lo sei" Una carta alla sua destra, richiamò la sua attenzione. "L'Undicesima - La Forza detta anche La Fortezza" Una giovane donna bellissima, dai capelli neri e lucenti, la fissava con uno sguardo fiero e privo di incertezze. Ai suoi piedi una belva tenuta a bada dalla mazza che teneva fra le mani e alle spalle due piccoli bambini, che sembravano, con lei vicino, al riparo da ogni pericolo.
"Devi ricordare e riprendere il tuo posto tra noi. Solo così saremo di nuovo completi..."
"Ma non so cosa devo ricordare..."
"Certo che lo sai..." Una voce familiare. Proprio dietro di lei. "William..." Sussurrò piano, senza voltarsi.
"Lucrezia... Amore. Ripensa a quella notte. L'ultima volta che sei stata pescata... Al contrario..." Il suo caldo respiro le sfiorò vibrante la pelle nuda del collo, provocandole dolci brividi lungo tutta la schiena.
"L'ultima volta che sono stata pescata..." Ripetè di nuovo. Spalancò gli occhi rivivendo quel momento.

1782. Bergamo. Presso la villa del vecchio Conte Ambiveri, famosissimo erudito bibliofilo. Si divertivano quella sera, l'ultima che avrebbero trascorso insieme, lui e suo fratello Ferrante. I ricordi non erano ben nitidi nella testa di Lucrezia, ma aveva memoria di quelle mani rugose, dalle dita sottili, che accarezzavano il rilievo dorato del cartoncino. Poi qualcosa era successo. Un temporale. Terribile. E il Conte aveva pescato una carta, mentre un fulmine si schiantava con tutta la sua potenza presso la cittadella di Bergamo Alta. La Temperanza, rovesciata. Un sussulto. L'ultimo. Mentre la mano tremante si portava al petto, stringendosi con forza e lasciava cadere sul pavimento la Quattordicesima carta.

"È stato difficile ritrovarti. Ti eri persa tra le assi di legno di quella vecchia casa..." Le disse affabile William. "Ed eri al rovescio... Lo sei stata per più duecento anni..." "Per questo ero..."
"Diversa... Sì." Le sorrise crudelmente, spingendola con una mano sulla schiena verso la teca.
"Ora ti prego, Lucrezia... È passato molto tempo... Riprendi il tuo posto... Come vedi... ti stanno aspettando tutti..." Lucrezia si voltò verso di lui e fu come vederlo per la prima volta. Gli stessi occhi del suo Antonio. Lo stesso cuore. Le stesse mani che con delicatezza la riponevano dentro quella teca di vetro.
Dove sarebbe rimasta per sempre.
Lei.
Lucrezia.
La Quattordicesima Carta.
La Temperanza.

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