Aspettai ed aspettai. Il silenzio che mi circondava era snervante. Quindi, iniziai a riflettere e mi resi conto che con tutte le probabilità mi trovavo sull'isola Heimaey, la terra di origine degli Ice Blood. Il veleno doveva avermi proprio stordita. Con questo pensiero ancora fluttuante nella mente, chiusi gli occhi e dovetti addormentarmi poiché un leggero bussare alla porta fece riattivare improvvisamente i miei sensi. La chiave venne girata nella toppa e comparve la figura di un ragazzo che, reticente, entrò nella stanza. Lo squadrai, diffidente, e lui se ne accorse, cominciando a sfregarsi nervosamente le dita delle mani e a passare i palmi, probabilmente sudati, sui pantaloni che indossava. Stetti ferma sull'attenti, fino a che non sentii la sua voce esitante: "Ciao, sono Kim. Ti ho portato del cibo." Uscì dalla stanza per poi tornare dopo pochi secondi con un carrello colmo di pietanze, delle quali però, mi porse solamente una pagnotta di pane e la brocca d'acqua con un bicchiere. Mi rilassai un poco, il mio istinto mi diceva di potermi fidare di quel ragazzo, ma comunque non gli staccai gli occhi di dosso. Quando Kim mi vide abbassare le spalle, mi sorrise e al mio sguardo confuso rispose con una domanda: "Puoi trasformarti?". Io mi limitai a scuotere la testa. "Okay, allora è probabile che nel cibo vi sia il veleno che ti impedisce di evocare il tuo lupo. Nel pane non lo mettono poiché è un alimento secco e nemmeno nell'acqua, assumerebbe uno strano sapore. Credimi, ci sono passato, so come funziona." Quella frase accese la mia curiosità. Spezzai un pezzo di pane e glielo porsi, più come prova di fiducia che per gentilezza. Kim lo prese, lo morse mentre mi guardava negli occhi e poi si trasformò. Ciò fu la prova della veridicità delle sue parole. Il suo lupo aveva un manto color sabbia, il quale riprendeva il colore dei suoi capelli, sul quale spiccava un paio di lucenti occhi blu come lapislazzuli. Kim mi si avvicinò e prontamente lo accarezzai sul capo, a sancire la nostra amicizia. Era difficile per me relazionarmi con gli altri, umani o lupi che siano, infatti, ancora un dubbio aleggiava nella mia mente e decisi di chiarirlo: "Io sono Alesha." Kim si limitò ad annuire e, ancora in forma lupesca, si allontanò uscendo dalla stanza per poi tornare umano con addosso un altro cambio di vestiti. "Perché vorresti aiutarmi? Prima di venti minuti fa neanche sapevi della mia esistenza." "Chi ti ha detto che non ti conoscessi? Ho saputo subito del tuo arrivo." "Come?" "Beh, il mio compagno fa parte dell'esercito del branco, ma non è partito per Reykjavik insieme agli altri. Mi aveva informato che la compagna di Ígor sarebbe giunta, ma sicuramente non ci saremmo aspettati di vederti svenuta e incapace di camminare sulle tue gambe. Comunque, ti voglio aiutare poiché trovo fondamentalmente ingiusto che tu sia stata costretta a recarti qui, in quelle condizioni e posso affermare che non ti sia stata concessa la libertà di decisione. Inoltre, anche io sono stato per un periodo di tempo abbastanza prolungato 'prigioniero' in questo castello e, ritenendomi un potenziale pericolo per il branco, mi veniva somministrato un intruglio assieme al cibo, era inevitabile assumerlo, o altrimenti sarei morto di fame. Devi sapere che io vengo dalla Norvegia e diciamo che ho avuto un paio di conflitti con il mio vecchio branco, ma non voglio lasciare Heimaey. Qui ho il mio compagno, i miei amici e tutto sommato mi trovo più che bene, questo posto per me ha rappresentato una possibilità di riscatto e l'alba di una nuova vita. Beh, non voglio annoiarti ad oltranza con le mie parole, è meglio che vada, ci vediamo più tardi o si insospettiranno." Lasciò la stanza dopo avermi sorriso, io ricambiai, sollevata di aver trovato qualcuno di cui potermi fidare. Mangiai di gusto, come se quel pane e quell'acqua fossero le pietanze più succulente sulle quali avessi mai posato gli occhi e rimuginai sull'incontro con Kim. Poi, come d'improvviso mi resi conto di una cosa: Ígor mi aveva mentito dicendomi che avrei potuto trasformarmi a distanza di poco tempo. Evidentemente, dopo aver ingerito quel cibo, sarei stata fuori gioco ancora per un po'.
'Bastardo!' ruggì il mio lupo nella mente.
Dopo essermi privata dei vestiti, chiusi gli occhi per provare a trasformarmi e con immensa gioia constatai di riuscirci. Velocemente tornai di nuovo umana e non dovetti aspettare molto per vedere Ígor comparire nella camera. "Alesha, ti piacerebbe fare un giro per il castello? Ho deciso che questa non sarà più la tua stanza, te ne farò assegnare una nella stessa ala in cui alloggio, e da lì potrai girare liberamente, quindi necessiti di conoscere l'ambiente. Comunque, il pranzo è stato di tuo gradimento?" A quel punto decisi di fingere di essere dispiaciuta e di mentirgli. "Sì, mi è piaciuto molto e vorrei davvero fare un giro nel castello. Ascolta, volevo scusarmi per essere stata così maleducata nei tuoi confronti questa mattina, mi sono resa conto di aver esagerato." Potei scorgere lo stupore nei suoi occhi quando mi avvicinai per abbracciarlo. Poggiai il mento sulla sua spalla e inspirai l'odore di bergamotto che proveniva dalla sua pelle mentre lui faceva scorrere le sue mani sulla mia schiena in modo delicato. In quel momento desiderai trovarmi in un'altra situazione e che quel gesto fosse provenuto dal mio cuore e non dalla necessità di fuggire, insomma, un gesto spontaneo, privo di secondi fini. Ma mi staccai, convinta dell'ingiustificabilità delle sue azioni. Ígor mi sorrise, io forzatamente ricambiai, ed insieme lasciammo la stanza.
I corridoi erano ampi e ricoperti da arazzi blu notte, finemente decorati con inserzioni d'oro. Dal soffitto, in contrasto con la tonalità scura delle pareti, pendevano lunghi lampadari di quello che sembrava cristallo, che donavano luminosità e stemperavano la tenebrosità dell'arredamento, composto da alti scaffali di legno scuro riempiti da innumerevoli tomi dall'aspetto antico, i quali conferivano all'ambiente un tocco misterioso ed elegante. Proseguimmo lungo vari corridoi e mi stupii del fatto che non ci fosse anima viva. Spostai allora lo sguardo su Ígor e chiesi: "Come mai non c'è nessuno?" Dovevo in qualche modo mostrarmi coinvolta, quando invece l'unica cosa che mi interessava era una via di uscita. "La maggior parte del branco si trova nel bosco ad allenarsi. A parte la mattina e la sera, il castello rimane praticamente vuoto." Io annuii e lo seguii attraverso un'imponente rampa di scale che attraversava i vari piani del castello che, mi spiegò Ígor, erano adibiti agli alloggi dei membri del branco. Arrivammo in un atrio all'ultimo piano e proseguimmo verso l'uscita. L'aria fredda mi sferzò il viso, ma non ci feci caso, ero solo entusiasta di stare all'aperto e non essere rinchiusa dentro quattro mura. "Dove andiamo ora?" chiesi. "Ti porto al bosco per farti vedere dove ti allenerai e poi faremo una visita alle cucine e ai sotterranei." Proseguimmo in rigoroso silenzio, si udiva solamente il calpestio delle nostre scarpe sull'erba, fino a che non percepii il rumore di una nave in partenza. Aguzzai la vista e molto in lontananza scorsi uno spazio coperto da un piccolo cantiere. Una nave salpava e lentamente avanzava al largo così come nella mia testa si faceva spazio un piano per tornare a Reykjavik, o comunque, allontanarmi dall'isola. Mi appuntai mentalmente di chiedere a Kim maggiori informazioni sul porto. Distolsi lo sguardo dalla costa e lo posai sulla selva che a breve avremmo attraversato. Alte conifere si stagliavano imponenti, così massicce da coprire quasi interamente il cielo terso. I tronchi scuri e le fronde rigogliose creavano una cappa tetra, l'unica fonte di luce erano i flebili raggi di sole che riuscivano a penetrare quella barriera intricata di rami e aghi pungenti e che permettevano di individuare a malapena i sentieri. Comunque, camminammo e, mano a mano che avanzavamo, potei distinguere il rumore di respiri affannati e di colpi che ritmicamente battevano sul terreno, facendolo tremare con intensità sempre maggiore. Finalmente, giungemmo ad un grande spiazzo dove i membri del branco si riscaldavano per lottare. Mi guardai intorno e riconobbi Kim mentre rilassava le spalle e stirava i muscoli delle braccia. In seguito, si girò e, vedendomi, disse qualcosa al suo compagno di lotta per poi avvicinarsi a me regalandomi un gran sorriso che, stranamente, ricambiai facilmente. Ígor, intanto, mi guardava senza proferire parola. Sentivo i suoi occhi gelidi bruciare sulla mia pelle, provocandomi una sensazione di intenso fastidio ed imbarazzo. La ignorai rivolgendo la mia completa attenzione su Kim. "Ciao, Kim." "Ehi, Alesha. Ígor." Gli fece un cenno. "Allora, come ti sembra il posto?" mi chiese. "È molto più grande della mia ex casa del branco." Feci una pausa, guardando Ígor con biasimo mentre lui distolse lo sguardo e contrasse la mascella in segno di irritazione, capendo l'allusione al mio 'rapimento'. "Ma comunque mi è parso abbastanza accogliente. Certo, l'unica camera che ho potuto davvero apprezzare è stata quella in cui mi sono risvegliata stamani." Accortosi della poco velata provocazione, Ígor ringhiò: "Ne ho abbastanza!" mi afferrò un polso e cominciò a trascinarmi via. Io, cercando di oppormi e fermarlo, strattonai il braccio, ma persi l'equilibrio e caddi, sbattei la schiena sul terreno ed una scossa di dolore mi attraversò la spina dorsale, inoltre il peso di Ígor mi atterrò sul petto, mozzandomi il respiro. Rilasciai un gemito e tentai di scrollarmi il suo peso da dosso, ma invano. Ígor mi bloccò a terra e intravidi Kim correre e chiamare aiuto. All'improvviso, un dolore allo zigomo mi fece pulsare le tempie e mi dimenai alla cieca. Riuscii a trasformarmi e mi lanciai su Ígor, che ora si trovava sotto le mie zampe. Lo graffiai il più possibile sul petto e gli conficcai gli artigli nella carne del braccio facendone zampillare il sangue che mi imbrattò il pelo. Non feci in tempo ad alzarmi che fui attaccata da alcuni guerrieri del branco, mentre altri cercavano di allontanarli da me. I colpi vennero inferti in rapida successione. Io cercai di difendermi mordendo, ma nonostante la presenza di alcuni membri del branco che cercavano di far cessare la rissa, era molto più consistente il numero dei lupi che mi stavano addosso. Infatti, venni presa di peso e trascinata via per poi essere brutalmente e letteralmente lanciata dentro una camera. Non riuscii più a muovermi, non vedevo nulla e mi trovavo in un senso di intorpidimento che mi fece addormentare non appena sentii il pesante portone sbattere e le pareti tremare.
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Iceland
WerewolfAlesha Ross è stata ritrovata in una culla, coperta da strati di stoffa per proteggerla dal freddo, davanti al portone della casa del branco Woodwolf la notte del ventidue dicembre, non si sa chi l'abbia abbandonata, né come abbia fatto a sopravvive...