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I miei occhi si incatenarono a quelli della creatura davanti a me. Il pelo lucido e la postura rigida e composta le donavano un aspetto autoritario, accentuato inoltre dal color pece del manto, uguale al mio. L'espressione, tuttavia, non era severa, né minacciosa, ma solamente indagatrice. Non seppi per quanto tempo restammo immobili a scrutarci, ma potei affermare di essere stata totalmente rapita dal lupo che mi stava di fronte. Esso, poi, si fece da parte ed io riuscii a sollevarmi su quattro zampe, ancora un po' provata dall'incontro. Continuai ad osservarlo e non compii alcun gesto, nemmeno quando mi ammonì con lo sguardo di restare dove mi trovavo. Gli obbedii poiché erano mesi che non incontravo alcun individuo della mia specie ed ero genuinamente curiosa di conoscere come si sarebbe evoluta la situazione. Magari avrei potuto trovare una sistemazione temporanea fino al mio ritorno a casa. Da dietro ai cespugli scorsi un ragazzo vestito con una maglietta e un paio di pantaloni fino alle ginocchia che teneva nelle mani altri vestiti dal colore scuro. Mi soffermai sul suo aspetto: lineamenti particolarmente mascolini e occhi neri come gli opali più puri dall'espressione ferma stonavano su una massa di riccioli corvini e spettinati che donavano al ragazzo l'aria sbarazzina tipica della giovinezza in contrasto con l'imponenza del corpo, completamente sviluppato in un insieme di muscoli guizzanti, visibili sotto lo strato di tessuto morbido, ma non abbastanza largo da nascondere il fisico prestante. Mi chiesi perché un ragazzo così giovane possedesse una silhouette già formata del tutto. Sicuramente era più grande di me, ma non di parecchio, i tratti somatici, nonostante la mascella cesellata e quei pozzi di petrolio, nascondevano un non so che di puerile che però non seppi identificare. Il ragazzo mi si avvicinò e lasciò la sua mano scorrere leggermente sul mio manto provocandomi scosse stranamente piacevoli. Nonostante ciò, mi spaventai della mia fiducia così repentina nei confronti di quello che era un completo sconosciuto. Lui dovette capirlo, perché mi sorrise leggermente in modo rassicurante e mi porse i vestiti. Io li afferrai con le zanne, il più delicatamente possibile per non rovinarli o stracciarli e mi recai verso i cespugli. Una volta coperta dalle piante, mi trasformai avvertendo un leggero capogiro e tentennai cercando stabilità, dato che non ero più abituata a restare in posizione eretta. Poi, mi sgranchii la schiena e finalmente potei indossare la maglietta di cotone e i pantaloni gentilmente donatimi dal giovane appena incontrato. Una volta pronta, mi sentii avvolgere dal profumo di quegli indumenti, un aroma così umano che quasi faticavo a credere di poter percepire. Presi un bel respiro al pensiero di dover uscire allo scoperto e, con il mento alto e l'espressione più determinata che potessi fare, aggirai gli arbusti, trovandomi subito di fronte lo sconosciuto. Non abbassai lo sguardo nemmeno quando lo vidi scrutarmi, nonostante la tentazione di distogliere lo sguardo fosse allettante. Dopo alcuni momenti di muto fissare, il ragazzo parlò in inglese: "Mi chiamo Gael. Tu chi sei?" Laconica, come mio solito, risposi: "Alesha." Gael fece scorrere lo sguardo fino ai miei piedi e disse: "Quando ero in forma lupo ho notato delle escoriazioni sulle tue zampe. Se vieni con me te le posso curare." Alla vista del mio sguardo non troppo convinto aggiunse: "Non voglio farti nulla, solo che sei ferita e anche tu hai il pelo nero... sono curioso, pensavo di essere l'unico, ma a quanto pare non è così." "Sì, me lo hanno detto che il colore del nostro manto è piuttosto insolito. Comunque, ti ringrazio per la tua offerta e per i vestiti, ma non credo di fidarmi abbastanza da andare con te da qualunque parte." Gael abbassò la testa facendo sì che alcuni boccoli gli ricadessero sulla fronte e quando la rialzò, feci appena in tempo a scorgere della delusione nei suoi occhi, che presto lui la coprì in una maschera di finta indifferenza. Rimasi sinceramente colpita da quel sentimento così genuino e mi rispecchiai un po' in lui, nel suo tentativo di nascondere le sensazioni davanti agli altri per fingersi apatici, cosa impossibile, ma una tipica tattica di difesa per i giudizi altrui. Tattica che io per prima utilizzavo per evitare che gli estranei mi reputassero in qualche modo debole o solamente troppo disponibile nei loro confronti. Allora presi coscienza del fatto che non avevo bisogno di conoscerlo per fidarmi di lui, mi investì la consapevolezza di avere davanti una persona simile a me e tutto d'un tratto la calma mi pervase. Non seppi perché, ma, prima che lui potesse ribattere alla mia risposta davvero poco gentile, gli dissi: "Scusami, sono stata maleducata a rifiutare la tua proposta. Accetto volentieri, ammetto di voler conoscere anche io la tua storia e ti ringrazio, non ho una dimora fissa e non saprei nemmeno dove stare per la notte." In un primo momento Gael mi guardò confuso, come se stesse ripetendo nella sua mente le mie parole e le stesse analizzando per comprenderne davvero il significato, poi si lasciò andare ad un sorriso sollevato che mi fece restare a fissare il suo volto per più tempo del necessario. Quando poi mi accorsi che anche lui mi stava osservando, distolsi lo sguardo mentre ascoltavo: "Perfetto allora. Abbiamo un po' di strada da fare, quando saremo arrivati parleremo delle cose serie. Che ne dici se durante la strada iniziamo a conoscerci? Domande banali eh." Acconsentii. "Andiamo?"
Ci mettemmo in cammino e io presi per prima la parola. "Scusa se te lo chiedo... dove siamo?" "Non preoccuparti, non hai niente di cui scusarti, siamo nella contea di Oslo, la capitale." Fu il suo turno. "Non sei di qui, da dove vieni? Alesha non è proprio un nome tipico nordico." "Sono islandese, ma è una storia un po' complicata. Tu? Gael non mi pare un nome norvegese e il tuo accento un po' ti tradisce." Lo dissi con il sorriso sulle labbra. "Anche io sono islandese. Da dove vieni?" La sua risposta mi sbalordì, ma mi ripresi e gli risposi direttamente nella nostra lingua: "Reykjavik. Tu?" "Da un'isola, Heimaey. Però mi sono trasferito qui da qualche anno." Al solo sentire quel nome mi si ghiacciò il sangue nelle vene. Poi, mi rilassai, pensando di non dover giungere a conclusioni affrettate. Ripensai all'aspetto di Gael e perciò gli chiesi: "Quanti anni hai?" "Diciotto. Tu?" Rispose. "Sedici." Rimase in silenzio, così mi voltai a guardarlo. "Cos'è quella faccia?" Gli domandai stranita dalla sua espressione incredula stampata sul viso. "Sembri più grande. Non in senso negativo però. Pensavo avessi la mia età." Scoppiai a ridere, non era una novità per me. "Non sei stato l'unico a dirmelo. Anche tu sembri più vecchio." La buttai sullo scherzo, sperando che cogliesse la nota divertente della mia frase. Lo fece. "Vecchio? Io? Ma fammi il piacere. Quanti anni mi avresti dato? Sentiamo." "Almeno venticinque." Ci guardammo negli occhi qualche secondo per poi riempire il silenzio delle nostre risate. Fu strano, ma in modo positivo. Non avevo avuto mai prima d'ora questa complicità con nessuno, né avevo riso così di gusto con qualunque altra persona. Mi sentii davvero bene per la prima volta dopo tanto, senza preoccupazioni. Pensai questo mentre io e Gael giungemmo ad una radura con al centro una villetta in legno. Era la tipica casa per un solo nucleo famigliare. "Ma dove sono gli altri membri del tuo branco?" Gli chiesi incredula alla vista del piccolo edificio. "Non ne ho uno. Vivo da solo." La sua affermazione non poté che spiazzarmi.

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