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Rimasi in silenzio, stranita dalla sua affermazione, ma poi Gael interruppe il flusso dei miei pensieri. "Vogliamo entrare?" "Sicuro." Risposi, ancora riflettendo sulle sue parole. Come era possibile che un ragazzo di diciotto anni vivesse da solo? Senza un branco che lo seguisse, senza una guida che gli stesse accanto. Potremmo restare noi con lui. Disse il mio lupo nella mente. Mi imbarazzai al pensiero e scossi la testa, come a voler scacciare quella constatazione inopportuna. Proseguimmo fino ad entrare nell'abitazione. Appena varcata la porta, mi si presentò il salone. Un divano di pelle nera stava al centro della stanza, affiancato da due poltrone dello stesso colore. Le pareti erano spoglie ad eccezione di alcuni specchi e di un quadro raffigurante un mare in tempesta sormontato da un cielo solcato da fulmini che si abbattevano sulla superficie agitata dalle onde, così scura che quasi si confondeva con la volta celeste se non fosse stato per il bianco della schiuma prodotta dal movimento feroce dell'acqua.
"Vuoi qualcosa da bere o da mangiare? Non farti problemi a chiedere." Gael domandò mentre mi guardavo intorno cercando di carpire ogni dettaglio dell'ambiente che mi circondava. "No, grazie mille, sono a posto così." Non era del tutto vero, ero piuttosto assetata e se mi avesse messo davanti una qualunque pietanza non l'avrei di certo disdegnata, dato che avevo passato mesi nella foresta a raccattare qualunque cosa commestibile, ma non mi sentii a mio agio al pensiero di farglielo presente. "Okay, allora accomodati pure in salotto, io vado a prendere il kit per disinfettare i tagli." Mentre si voltava per andarsene, lo fermai toccandogli il polso e trattenendoglielo. "Grazie." Fu difficile per me pronunciare quella parola. Io che ero sempre stata indipendente, testarda, orgogliosa. Non che non se lo meritasse, anzi. Dopotutto, come io non mi fidavo degli sconosciuti, così anche lui avrebbe potuto lasciarmi lì, non darmi alcuna confidenza e non farmi entrare in casa sua, condannandomi indirettamente ad altre peregrinazioni ed esponendomi a possibili pericoli. Di questo gliene sarei stata grata per sempre, ma forse non sarei riuscita a comunicarglielo con un discorso, perciò sperai vivamente che Gael riuscisse a percepire le mie intenzioni tramite quel termine più che detto, mormorato. Lo fissai negli occhi, trovandoli sempre più profondi, al contrario dei miei, probabilmente vuoti e spenti, nonostante condividessimo lo stesso colore dell'iride. Gael si voltò un po' sorpreso, ma mi rivolse un sorriso appena accennato e che io tentai di ricambiare, con un esito, sperai, almeno decente. Lo lasciai andare, sfiorandogli la pelle in un contatto involontario, ma che mi stranì. Così, non riconoscendo la sensazione provocata dal mio gesto, non mostrai alcuna emozione sul mio viso, ma dentro sentii il cuore perdere un battito. Mi dissi che forse era perché da molto non mi approcciavo con un mio simile in alcun modo e mi convinsi di ciò, nonostante sentissi che qualcosa non quadrava. Mi girai mentre lui fece lo stesso e mi diressi verso il sofà, dove mi sedetti, ma quando percepii la morbidezza dei cuscini, mi rilassai e mi permisi di accomodarmi in una posizione non più molto composta come quella che avevo assunto pochi secondi prima. La stanchezza prese il sopravvento tutto d'un tratto ed io non capii più nulla. Mi svegliai poi all'improvviso, sentendo un leggero bruciore sulle caviglie. Mi passai le mani sugli occhi per rischiararmi la vista e notai Gael inginocchiato mentre faceva passare un batuffolo di cotone, probabilmente imbevuto di alcool, sulle ferite che mi segnavano dal polpaccio fino alle dita dei piedi. Quando venne premuto un taglio più fresco e profondo, mossi d'istinto la gamba facendo alzare la testa di Gael. "Oh, ti sei svegliata. Scusami, ma brucerà un po', le escoriazioni si rimargineranno da sole, ma meglio disinfettarle per evitare infezioni e quindi cicatrici. Credimi ci sono passato anche io." Gael si mise a sedere e mi mostrò le sue gambe ricoperte da una leggera peluria scura e da una carnagione olivastra solcata da piccole linee più chiare ed in lieve rialzo. Mi venne naturale avvicinare la mano, ma, ad un soffio dal suo polpaccio, mi fermai, chiedendogli il permesso di poterlo toccare. Lui si limitò ad annuire ed io feci passare delicatamente il dito tra quei taglietti che non rovinavano affatto la sensazione setosa della sua pelle a contatto con la mia. "Purtroppo queste ce ne metteranno a scomparire, non sono state curate per bene." Io annuii, non sapendo cosa aggiungere. Gael allora si rimise accovacciato e mi bendò le caviglie con una leggera garza bianca che copriva, ma lasciava la pelle respirare. Quando ebbe finito di rimettere tutto nella valigetta, si alzò e andò a rimetterla al suo posto, il tutto senza fiatare. Tornò nella stanza e si sedette affianco a me sul soffice divano, mentre il silenzio ci circondava. Presi io la parola: "Allora, come sei finito qui?" Sentii lo sguardo di Gael addosso, mentre io continuai a fissare la parete di fronte a me, in trepida attesa della sua risposta: "Diciamo che la causa è il mio pelo. In pratica tre anni fa, quando mi trasformai per la prima volta e tutti videro il colore nero del mio manto, venni cacciato poiché credevano fossi maledetto. Mettici anche che sono nato con una strana cicatrice sul petto, all'altezza del cuore, di cui nessuno conosceva il significato. Tutto questo ha portato la 'mia' gente a diffidare di me e a mandarmi via." Durante il suo racconto non potei fare a meno di girarmi verso di lui, notando un sorriso amaro sul suo volto. Fui scioccata dalla reazione del suo branco, così differente da quella del mio. Infatti, mi vennero in mente le parole di conforto di mia madre e la nostalgia di casa mi colpì al petto. "Poi, ho preso una nave di quelle che salpano dal porto di Heimaey e, dopo aver viaggiato per qualche giorno, ho trovato questa casa, già arredata dalla mia ormai ex famiglia, che intendeva 'fare un ultimo atto di benevolenza nei miei confronti', parole loro. Non volevo accettare, ma alla fine ci sono rimasto, non potevo fare altro, da solo a girovagare in una terra che non conoscevo. In tre anni ho memorizzato quasi ogni zolla di questo territorio e so orientarmi bene. Inoltre..." Fece una pausa, spostando per un attimo lo sguardo che subito dopo tornò focalizzato su di me. "Spero che ora che ci sei tu, potrai accompagnarmi nel mio viaggio verso l'Islanda. So che ci conosciamo da davvero poche ore, ma io sento di potermi davvero fidare di te." A quelle parole, il mio cuore iniziò a battere, come impazzito. Anche io percepivo nei suoi confronti un sentimento di fiducia e potei constatare quanto complicato fu per lui pronunciare quelle frasi, in particolare l'ultima. Risposi a fatica. "Okay, ti aiuterò nel tuo progetto, perché non ho alcuna sensazione negativa su di te e perché voglio tornare anche io in Islanda, ma prima devi sapere alcune cosa che forse potrebbero farti riconsiderare l'idea di portarmi con te se non capissi il mio punto di vista. Sei pronto?" Gael annuì e l'espressione concentrata e, forse, preoccupata mi diede la conferma definitiva del suo gesto. Presi un respiro profondo prima di sganciare la prima bomba.

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