Capitolo 7

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Il suono della sveglia irruppe nella stanza, facendo storcere la bocca al giovane disteso nel letto che, a tentoni, cercò di spegnere l’apparecchio infernale, voltandosi poi sulla schiena e fissando il soffitto della camera, prima di coprirsi gli occhi con un braccio: doveva alzarsi, lo sapeva bene. Doveva cominciare una nuova giornata lavorativa, ma la voglia di rimanere a letto era veramente enorme.
Socchiuse gli occhi, lasciando andare un respiro lento e si decise.
Sbuffò, girandosi nuovamente sul materasso e mettendo le gambe fuori dal letto, girando il collo per sciogliere i muscoli del corpo e, con uno sbadiglio, si trascinò stancamente verso il piccolo bagno mentre si grattava il petto nudo: alzò la testa, fissando il suo riflesso nello specchio sopra il lavabo e sbadigliò nuovamente, guardando poi il proprio riflesso allo specchio, concentrandosi sui capelli scuri sparati in ogni direzione.
Doveva lavarsi, poi sarebbe stato il turno di vestirsi e infine, dopo un’abbondante colazione, si sarebbe messo al lavoro.
Sbadigliò, aprendo il getto della doccia e, tolti con velocità i pantaloni che usava per dormire, si mise sotto il getto d’acqua, lasciando che questa portasse via con sé la sonnolenza; si lavò rapidamente, uscendo poi dal box della doccia e, gocciolante e nudo, si diresse verso il mobile degli asciugamani, afferrandone uno a casaccio e passandoselo sul corpo alla bell’e meglio.
Ritornò poi nella camera, recuperando un paio di pantaloni sporchi e consumati, assieme a una maglia che aveva visto sicuramente giorni migliori, ma poco importava: quando uno ha a che fare con riparazioni o altro, non controlla come si veste.
Sbadigliò nuovamente, passandosi le mani fra i capelli scuri e bagnati e si voltò verso il letto, guardandolo con l’adorazione negli occhi: sarebbe stato bello buttarsi nuovamente lì, magari con un po’ di compagnia femminile su cui metter mano.
Scrollò il capo, cercando di scacciare i pensieri che la sua mente aveva formulato e non voleva assolutamente concentrarsi sul contrasto fra le lenzuola candide del suo letto e i capelli di una certa rossa di sua conoscenza.
Non doveva pensarci.
Doveva scacciare tutto ciò dalla sua mente e con velocità.
Lei non sarebbe rimasta per molto e poi, era certo, che non avrebbe accettato.
No, la vedeva già con lo sguardo blu cobalto sgranato, mentre le linee del suo viso si piegavano all’indignazione, prima che uno schiaffo o peggio si sarebbe abbattuto su di lui.
Sì, era sicuramente meglio scacciare certi pensieri dalla sua mente.
Sospirò, mentre si chinò e recuperò gli scarponi da sotto al letto, mentre il suo pensiero andava a Tikki: quella ragazza era strana e questo era un dato di fatto, oramai; ma anche tutto ciò che la riguardava scivolava nel mistero: chi era? Che cosa faceva in quel posto dimenticato da dio? Come poteva viaggiare da sola?
Non riusciva a comprenderla.
Era muta, eppure non comunicava in altro modo tranne che per iscritto, quasi come se il linguaggio dei segni che, ogni tanto vedeva in televisione, le fosse completamente sconosciuto. Eppure, da quel poco che sapeva, chi non poteva esprimersi con la lingua parlata, utilizzava quello…
Aveva veramente poco e, dubitava, avesse con sé anche molto denaro.
Non sapeva nulla di lei e, sebbene vivesse dai Dupain-Cheng da tre giorni buoni, quando aveva tormentato Marinette per avere qualche informazione sulla rossa, la ragazzina non aveva saputo dirgli nulla: Tikki non parlava di sé, non diceva assolutamente niente di chi era e da dove provenisse.
Nulla di nulla.
Il campanello dell’abitazione lo tirò fuori dalle sue elucubrazioni, facendogli alzare la testa e sospirare pesantemente al pensiero di chi poteva esserci dall’altra parte della porta: Nathalie, magari con una lista infinita di lavori di manutenzione alla villa Agreste? Oppure il Gorilla che, sotto ordine di Nathalie, era lì a chiedergli un qualche lavoro?
Oppure Adrien, in cerca di qualcuno con cui parlare di questo o quel problema?
Si passò una mano fra i capelli mori, tirandoli indietro e avvicinandosi con tutta la tranquillità del mondo alla porta, posando la mano sulla maniglia e girandola, sorridendo di fronte alla persona che si trovò davanti a sé, una volta aperta la porta: «Rossa!» esclamò, vedendola lì, davanti a sé con i lunghi capelli rossi legati in una treccia che, adagiata su una spalla, superava di molto la curva del seno; la ragazza piegò le labbra in un sorriso luminoso, alzando la busta di carta marrone che teneva in mano, quasi a dimostrargli il motivo per cui lei era lì: «San Tom» dichiarò Plagg, prendendo ciò che gli era offerto e aprendo i due lembi, assaporando il profumo di croissant caldo e camembert che si levava da dentro: «Vuoi entrare?» le domandò, facendosi da parte e voltandosi verso la sua piccola casa.
Come la vedeva Tikki?
Come le sembrava il salotto barra cucina, completamente in preda al caos?
Plagg scosse il capo, alzando le spalle e liquidando così le sue mere preoccupazioni: non gliene era mai importato molto di come appariva al mondo e di cosa pensassero della sua casa, quindi perché iniziare ora?
La lasciò, mentre osservava interessata il mobile di legno consumato, che sicuramente aveva visto giorni migliori, e la televisione piatta dominante tutta la stanza, un piccolo gioiellino che aveva pagato non poco e del quale andava particolarmente orgoglioso: «Vuoi favorire?» domandò, prendendo un croissant e allungandolo in direzione della giovane, vedendola sgranare lo sguardo e scuotere immediatamente la testa, rifiutando così l’offerta.
«Ti avviso: non ho altro in casa» sentenziò, poggiandosi con i fianchi al bancone della cucina e addentando la brioche, mugolando di piacere quando fu investito dal sapore dolce della pasta e da quello più deciso del formaggio: «Non hai idea di cosa ti perdi…» sospirò sognante, leccandosi le labbra e dando un secondo morso.
Tikki scrollò le spalle, senza dargli nessuna risposta e osservando interessata ciò che la circondava: Plagg la guardò, mentre faceva scivolare le mani sul vecchio divano e saltava gli indumenti che vi aveva gettato sopra, voltando poi la testa nella direzione della libreria ben stipata di volumi, fermandosi davanti a questa e fissando con interesse un particolare preciso.
Il giovane si spostò dalla sua postazione, avvicinandosi con calma, mentre addentava nuovamente la brioche e, buttato giù il boccone, sorrise quando vide ciò che l’aveva attirata: «E’ una foto dei miei» rispose alla domanda che, quasi sicuramente, lei si stava facendo: «Con me e mia sorella. Lei era appena nata.»
Tikki annuì con l’espressione completamente neutra, prima di voltarsi verso di lui e allungare una mano, stringendogli la maglia e chinando la testa: l’aveva visto, quello sguardo quasi prossimo alle lacrime, lui l’aveva visto.
«E’ successo parecchio tempo fa» bofonchiò, scuotendo il capo e abbozzandole un sorriso: «Non…» si fermò, inspirando e lasciando andare l’aria: «Tu invece? Hai una famiglia da qualche parte?» Tikki alzò la testa, fissandolo negli occhi e poi scuotendo il capo e, portatasi l’indice sinistro alla tempia, picchiettò contro di essa: «Che non sei tanto rifinita l’avevo già intuito, non preoccuparti» scherzò Plagg, osservandola mentre stirava le labbra e le piegava poi in una smorfia.
Le sorrise, mentre accartocciava il tovagliolo di carta e lo poggiava sul tavolo già ingombro, spostando un po’ di roba e recuperando un foglio che aveva avuto giorni migliori: «Da qualche parte dovrei avere anche una penna…» mormorò, alzandosi e guardandosi attorno, venendo fermato dalle dita di Tikki che si erano posate sulla sua mano.
Abbassò lo sguardo, avvertendo sulla pelle il tocco freddo di lei e guardandola, mentre tirava fuori il bloc notes e una penna.
La vide guardarsi intorno e, spostate alcune cose da una sedia, sistemarsi e chinare lo sguardo sul foglio bianco e iniziare a scrivere velocemente: «Casa tua è un porcile» lesse a voce alta Plagg, quando lei gli mostrò le prime parole: «Sì, lo so ma, ahimé, sono troppo povero per far venire qualcuno a pulire e non ho voglia, né tempo, per mettermi a farlo io.» Tikki lo ascoltò, annuendo con la testa e tornando poi a scrivere, inclinando il capo e fermandosi, rileggendo quello che aveva scritto prima di annuire con la testa: «Potrei farlo io? Seriamente, rossa, non…» Tikki alzò una mano, fermandolo dal continuare e abbassò nuovamente il blocco, scrivendo velocemente e mostrando le nuove parole a Plagg: «Sicura? Non ho problemi a…»
La ragazza annuì decisa, con un sorriso sulle labbra e Plagg, sospirò mentre poggiava il fianco contro il tavolo e incrociava le braccia al petto: «Come vuoi. Non è che mi dispiaccia avere casa in ordine, ma non credere che mi sia dimenticato cosa ti avevo chiesto. La tua famiglia, Rossa.»
La vide abbassare appena le spalle e tamburellare le dita sul tavolo, prima di iniziare a scrivere parole, che sembravano uscire pesantemente dalla sua penna: «Non ricordo niente della mia famiglia o di chi ero» lesse a voce bassa Plagg, iniziando a dare ordine ai pezzi che aveva di Tikki: amnesia. Adesso comprendeva perché non parlava molto di lei, poiché non aveva niente da dire: «Niente? Assolutamente niente?» le domandò, vedendola scuotere la testa con decisione: «Deve essere brutto, per quanto siano dolorosi, io ho ricordi ma non averne nessuno…»
La vide stringersi nelle spalle e fare un’espressione serena, quasi come se non le importasse nulla di non sapere chi era o chi era stata la sua famiglia; allungò una mano, carezzando con il polpastrello del medio la pelle candida e fredda di Tikki, seguendo il contorno della guancia e scendendo verso il mento, osservandola negli occhi e notando come lei non si ritraeva al suo tocco: «Mi dispiace per te, testa di pesce» dichiarò, allontanando la mano e vedendola aprire la bocca, mentre gli occhi lo fissavano indignato. Tikki si alzò, picchiando le mani sul tavolo e guardandolo con furia, mentre lui scivolava lontano da lei: «Devo andare al lavoro, conto su di te per rendere questo posto vivibile» dichiarò, avvicinandosi alla porta e sorridendole divertito: «Ci vediamo, Rossa.»

Deficiente.
Stupido.
Idiota.
Cretino.
La sua mente stava dando prova di conoscere molti sinonimi per additare Plagg, mentre camminava a passo svelto per le strade del paese e ritornava alla boulangerie dei Dupain-Cheng: per quanto l’aveva fatta arrabbiare, non era riuscita a non sistemargli quel porcile che lui chiamava casa e ciò le aveva portato via gran parte della giornata.
Il sole stava tramontando sulle acque del Padre, mentre la sua mente andava a ciò che avrebbe detto a Sabine: come giustificare la sua assenza? Come spiegarle che aveva passato tutto quel tempo a pulire quel buco di fogna che era la casa di Plagg?
Aveva pensato che alcuni fondali fossero sporchi, almeno fino a quando non aveva conosciuto quel piccolo bungalow: era carino e intimo, peccato che il giovane l’aveva trasformato in una discarica con quattro mura.
Già immaginava Sabine che leggeva tutto e sorrideva, scuotendo lentamente il capo mentre continuava a preparare la cena; Marinette avrebbe squittito e, dopo aver domandato se per caso aveva incontrato anche Adrien, sarebbe partita con una solfa romantica su lei e Plagg.
A quanto pare era fermamente convinta che loro due stessero bene assieme.
Tikki sorrise, scuotendo il capo e sentendo quella strana sensazione che l’aveva colta negli ultimi giorni: possibile che le era bastata una manciata di giorni a casa dei Dupain-Cheng per sentirsi accettata e parte integrante della famiglia?
Quel pensiero la bloccò, facendola fermare al centro del marciapiede e portarsi le mani alla bocca, mentre ascoltava i rumori attorno a sé e si rendeva conto che stava facendo ciò che più temeva: la sua vita, il suo essere, si stava legando a quel luogo, le persone che vivevano lì stavano diventando importanti per lei.
Non doveva avvenire.
Non doveva succedere.
Che cosa avrebbe fatto se, un giorno, il Padre le avesse chiesto di cantare e far affondare nelle sue acque qualcuno dei Dupain-Cheng? O il dottor Fu? O qualcun altro di quel posto?
Plagg.
E se le avesse chiesto come sacrificio Plagg?
Plagg che aveva già dato molto al Mare, con la morte della propria famiglia.
Plagg che la prendeva in giro costantemente.
Plagg che cercava di aiutarla e capirla.
Non avrebbe potuto cantare, sapeva già la risposta.
Come sapeva il perché le sirene non si avvicinavano mai così tanto agli uomini.
Tu sei diversa.
Il Padre glielo diceva sempre e, adesso quella diversità, si stava mettendo contro di lei perché, era certa, che il giorno in cui sarebbe dovuta tornare in quel luogo, lei non avrebbe cantato.
Mai e poi mai.
E una sirena che non canta era destinata a tornare ciò che era stata all’inizio, un sacrificio per il Mare.

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Ed eccoci qua con un nuovo capitolo de La sirena (vi ricordo che il prossimo sarà postato il 26 luglio. Ebbene sì, luglio vedrà due capitoli di questa fanfiction) e, sinceramente, come al solito non è che abbia così tanto da dire in queste note: non ci sono informazioni su Parigi o robe random su Pokémon, quindi è sempre un 'problema' trovare qualcosa da dire e, quindi, si passa alle classiche e consuete informazioni di servizio che bene conoscete.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e  ricevere piccole anteprime dei capitoli o dei miei scleri.
Vi ricordo che domani sarà aggiornata Laki Maika'i, mentre venerdì sarà il turno di Miraculous Heroes 3 con il secondo aggiornamento settimanale e, a conclusione di questi sette giorni, ci sarà un nuovo capitolo di Scene, con la seconda parte di Fuoco fatuo II.
Come sempre ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il supporto che mi date: grazie a tutti voi che mi leggete, commentate e inserite questa storia (e le altre) nelle vostre liste.
Grazie tantissimo!

La sirena || Miraculous Fanfiction {Completata}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora