Nooroo poggiò il bicchiere capovolto sul piano di lavoro in acciaio, gettando una veloce occhiata alla testa china sul bancone e poi facendo vagare lo sguardo sui pochi avventori del bar: presto avrebbe dovuto cominciare a mandare tutti fuori e chiudere dopo una giornata di lavoro, ma quello non era problematico perché la clientela abituale era conscia dei ritmi e presto avrebbero cominciato ad andarsene da soli.
No, il problema era la persona che era seduta al bancone, con la testa china e la mano stretta attorno al bicchiere semivuoto.
«Plagg» mormorò, avvicinandosi e allungandosi, dando una scrollata all'amico e osservandolo mentre tirava su la testa e si guardava attorno confuso, sbattendo più volte le palpebre: «Amico, dovresti andare a casa e…» si fermò, cercando qualcosa da dire ma trovandosi completamente senza parole, incapace di dire qualcosa. Cosa poteva mai dire a qualcuno distrutto dal dolore come era Plagg?
Aveva cercato Tikki ovunque, non trovandola da nessuna parte, e quasi come se si fosse reso cosciente che non avrebbe più avuto notizie della ragazza, aveva cominciato ad abbandonarsi all'alcool: ogni sera era lì, pronto a stordirsi fino al punto di non ragionare più.
«Immagino che sei contento» biascicò Plagg, con la voce alterata, strascicando le parole e mangiandosene alcune: «In fondo a te piaceva.
«Plagg, io non…»
«Ci sei rimasto di meda quando ha scelto me e ora starai facendo i salti di gioia, eh?»
«Sei ubriaco, Plagg. Va a casa.»
«No. Tu…»
Nooroo, poggiò lo straccio con cui stava asciugando i bicchieri sul bancone, incrociando le braccia al petto e fissando l'altro: «A me piaceva Tikki, è vero, ma era una cosa da niente, non…beh, non certo come te: io non mi sono dato all'alcolismo perché aveva scelto un idiota come te.»
Plagg si alzò, barcollando e sbattendo le palpebre, afferrando lo sgabello sul quale era seduto con entrambe le mani e scuotendo la testa: «Io…»
«Sei ubriaco, amico. Vai a casa e dormici su» dichiarò Nooroo, voltandosi e adocchiando, fra i pochi nel locale, qualcuno che poteva aiutarlo: «Wayzz, puoi portarlo a casa, prima che mi vomiti sul pavimento?»
«Posso abbandonarlo per strada?»
«Se vuoi.»
«Siete due coglioni…»
«Sarà» commentò Wayzz, avvicinandosi e osservando l'amico mentre ondeggiava paurosamente e sembrava avere problemi a inquadrarlo: «Ma non saremmo tuoi amici, sennò.»
«Vai a quel…»
«Andiamo, amico. Quasi quasi prendo la panoramica e ti faccio fare una romantica passeggiata sotto le stelle.»
«Vai a quel paese, Wayzz.»Ansimò, strisciando verso la parte asciutta della spiaggia, e strinse le labbra quando avvertì una fitta al fianco; affondò le dita nella sabbia, lasciandosi andare contro di essa e inspirando a pieno, sputando poi i granelli di sabbia che aveva ingerito e girandosi sulla schiena, rabbrividendo alla brezza fredda che si era levata e le carezzava il corpo completamente nudo: dove era? Dove si trovava?
Aprì appena le palpebre, osservando il cielo terso e azzurro, sinonimo di una bella giornata, e le richiuse, lasciando andare un respiro e voltandosi, rannicchiandosi su se stessa e cercando di trattenere così il poco calore del corpo.
Strinse i denti per non farli battere, mentre cercava di stringersi maggiormente e ignorare il dolore che saliva dalle dita: non sapeva definirlo, non riusciva a dare una denominazione a quella sensazione, sapeva solo che faceva male. Tanto male.
Sarebbe finita lì?
Uccisa dal freddo?
Così si sarebbe conclusa la sua vita?
Chiuse le palpebre, serrandole con forza e abbassando il volto, nascondendolo nell'intreccio delle braccia, raggomitolandosi maggiormente su se stessa, e cercando un minimo di conforto nel proprio calore che, con velocità, si stava disperdendo.
Avrebbe dovuto alzarsi, ma non ne aveva la forza.
Perché era così stanca? Non lo comprendeva?
Così come non riusciva a dare un ordine ai suoi pensieri, troppo impegnata a cercare di non soccombere al bisogno di lasciarsi andare: sapeva che non doveva farlo, da qualche parte dentro di lei, sentiva il ricordo di un vecchio monito, anche se non riusciva a comprendere dove l'avesse sentito e perché.
Strinse le gambe, ansimando appena e tirando su la testa, aprendo un poco le palpebre e osservando la spiaggia che si estendeva davanti a lei: la strada sembrava così lontana e non aveva assolutamente le energie per riuscire a percorrere quel tratto che la separava.
Cosa poteva fare?
Sciolse l'intreccio delle braccia, stringendo un pugno e affondandolo nella sabbia, tirandosi su e strisciando sulla rena, ignorando il leggero pizzicore che avvertiva sulla pelle, ben poca cosa rispetto al freddo che provava, e cercò di avanzare, arrivare un po' più vicina.
Si fermò, chinando la testa e inspirando a fondo, sentendo il proprio respiro affannato per colpa dello sforzo: ancora, doveva continuare ad avanzare. Allungò il braccio sinistro e poi il destro, usandoli come perno per strisciare di qualche altro centimetro, per poi lasciarsi andare nella sabbia una seconda volta.
Doveva farcela.
Doveva continuare.
Non doveva abbandonare tutto ora.
Batté i denti fra loro, stringendo di nuovo la mascella con forza e inspirando profondamente, il corpo che ormai le sembrava un blocco di ghiaccio e mille spille le bucavano la pelle, causandole dolore: doveva…
Doveva…
Chiuse le palpebre, sentendo il bisogno di lasciarsi andare farsi forte e carezzandola con la quiete dell'oblio: doveva cosa? Per cosa stava lottando così duramente? Cosa stava cercando di fare? Perché non si lasciava semplicemente andare?
Lasciò andare il respiro, voltandosi di lato e rannicchiandosi, seguendo il corso dei suoi pensieri e la decisione di abbandonarsi alle offerte che il sonno le proponeva: se avesse dormito un po', avrebbe recuperato le energie e sarebbe potuta andare dove voleva.
Avrebbe potuto raggiungere la strada.
Già, doveva solo dormire.
Solo…
«Tikki!»
L'urlo forte, acuto e femminile, la scosse, riportandola al presente: con fatica si girò nella sabbia, voltandosi e aprendo le palpebre, osservando la figura di una ragazza correre verso di lei, appesantita dalla sabbia, che faceva affossare gli stivali rosa.
Conosceva quella persona, era a lei cara.
La guardò mentre si chinava su di lei e si portava le mani al cappotto, muovendole frenetiche sui bottoni e slacciandoli uno dopo l'altro; ne seguì i movimenti mentre si toglieva l'indumento e usava per coprirla, ben attenta a infilare i bordi sotto al suo corpo: «Tikki. Cosa ti è successo?» le mormorò, allungando una mano e sfiorandole la guancia, mentre sorrideva e gli occhi azzurri le si velavano di lacrime: «Pensavo che non ti avrei più rivista, che…»
Tikki sorrise, socchiudendo gli occhi e osservando la ragazzina chinarsi su di lei, avrebbe voluto dirle qualcosa, ma non aveva la forza e si abbandonò, completamente al sicuro e certa che, da quel momento in poi, non le sarebbe capitato niente di male.
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La sirena || Miraculous Fanfiction {Completata}
Fanfiction*VINCITORE agli ITALIAN WRITERS AWARD, categoria PINK AWARD* *VINCITORE di CONCORSIAMO2K17, categoria FANFICTION* Tikki è condannata a un'esistenza immortale e susseguita di morti: è una sirena e il suo unico scopo è dare in pasto delle vite umane a...