Voices

37 4 4
                                    

Le voci continuavano a torturarmi, gridavano nella mia mente, me ne dicevano di tutti i colori. I miei compagni cominciarono a prendermi in giro, mi consideravano pazzo solo perché esse mi facevano urlare di dolore. Un "Basta" detto con una voce spezzata, ed il mio viso si adornava di lacrime amare, che facevano solchi profondi sulle mie guance.
"Guardati, così debole, così insignificante, così inutile. Stai anche piangendo. Dovresti solo pentirti della tua nascita, e tua madre vergognarsi di aver dato alla luce un figlio così ridicolo." -dissero le voci, ridendo.
Lorenzo si mise le mani tra i capelli, a coprire le orecchie e gettò un urlo in classe.
La professoressa lo guardò malissimo e lo sbattè fuori dalla classe, con l'ordine di andare dal preside.
I compagni risero, le voci con loro, troppe risate malefiche e sadiche lo stavano tormentando.
La donna continuò a guardarlo fin quando non lo vide uscire dalla classe.
Lorenzo sbattè fortissimo la porta.
Lei gli fece una nota per l'ennesima azione non consona, poi riprese a spiegare.
"Andatevene tutti a quel paese, non capite mai nulla." -si disse il ragazzo, alquanto irritato.
Si avvicinò al suo armadietto e lo aprì.
Prese delle pasticche, aveva un mal di testa che lo faceva sentire malissimo, come se la sua testa fosse stata svuotata da tutto e ora ne risentisse.
Dopodiché, chiuse lo sportello, sempre con una certa forza e si mise a camminare a testa bassa verso l'ufficio del preside.
Bussò e, dopo aver ricevuto il monotono "avanti", detto senza alcuna emozione, lui entrò e si sedette davanti al capo di tutto.
"Ah, bene, signorino Ostuni, mi hanno avvisato del tuo comportamento. Che ti è preso? Sei un ragazzo così educato, urlare in classe come un assatanato non è da te." -affermò con un tono ovvio.
Lorenzo non rispose. Era assorto dai suoi pensieri, non era stato lui, la sua anima non era nel suo corpo, la sua mente era altrove, le voci avevano preso il controllo di tutto facendolo gridare. Non era stata colpa sua.
"Non è stata colpa mia" -sussurrò con una leggera incertezza nel suo tono.
Il preside lo guardò interrogativo, era confuso, sapeva che la professoressa non fosse così stupida da inventarsi un urlo nel bel mezzo della lezione.
"Ah, no? E di chi, allora?" -gli chiese, alquanto preoccupato per la salute della persona che aveva assunto come insegnante.
"Delle voci, ma non credo che voi possiate capire." -enunciò il ragazzo con la massima convinzione.
Il capo abbassò lo sguardo verso una rivista, essa parlava dei manicomi presenti in zona. Passò più volte lo sguardo dal giornalino a Lorenzo, poi sospirò, come se gli importasse davvero qualcosa di lui e gli stesse a cuore la sua salute.
Il giovane lo stava guardando interrogativo, aveva una mezza idea dei pensieri del dirigente, ma sperava di aver compreso male.
"Chiama i tuoi genitori" -ordinò l'uomo, facendo l'ennesimo sospiro.
Il ragazzo non poteva rifiutarsi, quindi tirò fuori il telefono e chiamò i genitori. Glielo passò al preside.
"Necessito la presenza di entrambi, ora." -disse semplicemente, per poi chiudere.
Conoscendo la madre, Lorenzo pensò che si fosse sicuramente presa un colpo alla vista di quella chiamata, già stava per preparare la ramanzina per aver saltato scuola, o per essere andato con un gruppo di delinquenti o chissà cosa. La voce del capo doveva averla spiazzata. Ed a quest'ora si troverà già in macchina, diretta verso la scuola del figlio. Infatti, in un batter d'occhio, Lorenzo vide una sagoma di donna bussare, per poi entrare e guardarlo con un misto di preoccupazione e irritazione.
"Che è successo?" -disse semplicemente la creatura che lo aveva cresciuto, con un filo di voce.
"Non qui" -sussurrò il dirigente, così se ne andarono in un'altra stanza.
Il ragazzo rimase lì, sospirò, l'aveva sicuramente fatta grossa.
"Maledette voci" -disse con un tono abbastanza basso.
Esse risero.
Il giovane guardò l'orologio sul muro, dietro la scrivania, i minuti non passavano mai, e lui era lì intrappolato, come in una gabbia.
Sembrava un carcerato, era tutto così chiuso e claustrofobico. La finestra faceva entrare solo la luce del sole, che lo colpiva in pieno, facendolo morire di caldo.
Lorenzo si alzò dalla sedie e girovagò un po' per l'ufficio.
Guardò le foto sulle mensole della libreria, alcune raffiguravano il preside con la sua famiglia, altri erano semplici disegni dei suoi pargoletti, altre ancora rappresentavano paesaggi mozzafiato.
Il ragazzo ne prese una.
Era la vista da una collina, si poteva osservare chiaramente il tramonto del sole, che dava un tocco di colore a tutto.
Il rosso, il giallo, il rosa e un leggero arancio si riflettevano perfettamente nel piccolo laghetto circondato dall'erba di un verde intenso.
Era evidentemente primavera.
Quel luogo sembrava così tranquillo e armonioso, al ragazzo venne l'idea di trovarlo, sarebbe diventato il suo posto ideale, quello in cui rifugiarsi per calmare la propria ira, quello in cui poter liberare i propri pensieri senza timore di essere giudicati.
Lasciarli volare in libertà come se fossero quegli uccelli fatti di carta.
Dentro ogni foglietto un'idea o qualsiasi cosa. Lasciarli andare via con il vento e sentirsi più leggeri.
Lorenzo sorrise a quel pensiero, aveva bisogno di mollare ogni pietra che lo teneva ancorato al suolo.
Sentì la maniglia della porta abbassarsi. Il giovane posò la foto immediatamente al suo posto e si sedette con rapidità.
Il preside e sua madre fecero di nuovo irruzione nella stanzetta.
"Scusa se ti abbiamo fatto aspettare" -enunciò l'uomo, sedendosi davanti al ragazzo.
La madre appariva impaurita da tutto quello che aveva ascoltato.
Lo guardò, cercando di rassicurarlo.
Lorenzo era stranito, non sapeva effettivamente cosa fare o aspettarsi.
Il capo fece cenno di parlare alla donna, doveva superare quella paura.
Lei sospirò e s'asciugò una lacrima che le stava percorrendo la guancia.
"Sono riuscita a convincere il dirigente di non mandarti in quell'ospedale, ma..." -si bloccò e abbassò lo sguardo.
"Dovrai restare chiuso in casa finché non avrai calmato la tua pazzia." -disse, con una voce spezzata.
"Mamma... non sono folle." -affermò il ragazzo con sicurezza.
Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla.
"Non sono io a scegliere" -rispose prontamente, si leggeva la sua tristezza negli occhi.
Lorenzo fulminò il preside con lo sguardo, aveva fatto piangere la donna più importante della sua vita.
Il giovane si alzò dalla sedia e se ne andò, sbattendo la porta.
Tornò a casa e...

Spazio scrittrice.
La suspance ragazzi, ormai lo sapete.😏
Anyway, fatemi sapere se vi è piaciuto il capitolo con un voto o un commento.
Ps: mi sono fatta anche twitter (mi chiamo Beax_7) e nulla, se volete seguitemi.😂💕
Detto questo, passo e chiudo. Ciao persone.💞

Take my hand ||Lorenzo Ostuni/FavijDove le storie prendono vita. Scoprilo ora