Capitolo Pilot. Welcome freshman!

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La prima volta che lo vidi non mi sembrava poi così speciale. Mi ero trasferita per diventare qualcuno e cambiare vita, non per entrare in qualche relazione tira-molla o per fare particolare amicizia, quindi quel ragazzo dagli occhi vuoti non faceva altro che sfiorare i miei pensieri ripetutamente senza mai catturare la mia attenzione.
Non ero mai stata una persona facile con cui socializzare, semplicemente mi limitavo a non desiderare la presenza di nessuno nella mia vita, c'ero io e basta, nessun altro.
"E mai nessuno dovrà esserci" mi ripetevo.
Ma ancora non avevo capito fino a che punto si sarebbe esteso il potere dell'attrazione.

L'aula era triste e vuota e fortunatamente non avevo avuto alcun problema a trovarla.
Seguire letteratura inglese la prima ora di lezione non era il modo migliore per iniziare la giornata, e neanche doversi svegliare all'alba per riuscire ad essere sicura di arrivare puntuale nel caso mi fossi persa per quelle affollate strade. Fui grata però quando il professore perse quasi metà della lezione tra le presentazioni del programma e le spiegazioni della vita al campus per noi matricole. Il primo giorno sembrava per tutti così interessante: ritrovarsi in un ambiente nuovo, sconosciuto, un ambiente che avrebbe segnato il passaggio dalla vita adolescenziale ad una nuova vita carica di quella valanga di responsabilità e impegni inclusi nel pacchetto diventare adulti, insomma tutto questo sembrava a quei ragazzi la cosa più affascinante dell'intero universo. A me terrorizzava da morire. Era già da tempo che avevo, precocemente, superato quel periodo, già da tempo ero, non senza difficoltà, inserita nel mondo degli adulti. Vivere, anzi, sopravvivere in un quartiere come il mio significava crescere prima del previsto, saltare gran parte delle fasi adolescenziali per tuffarsi con violenza nell'arida e spietata realtà. Dalle mie parti però era diverso, lì era davvero tutto o bianco o nero, dovevi solo scegliere da che parte stare e il gioco era fatto, ma sapevo, avevo sempre saputo che lì fuori il mondo si colorava di molteplici sfumature, difficili da cogliere, da riconoscere. Tutto era, paradossalmente, più complicato e, più il mio corpo veniva pervaso da una timida ma impetuosa frenesia mista alla curiosità di scoprire tutto un mondo a me ignoto, più sentivo maturare un'asfissiante paura che mi paralizzava.

Comunque feci finta di interessarmi a ciò che diceva il professore, anche se sapevo già tutto. Mi ero accuratamente informata prima di arrivare. Sapevo tutto di quella scuola, i suoi fondatori, i progressi negli anni. Avevo bisogno di avere tutto sotto controllo. Ne avevo bisogno davvero, e per questo avevo studiato tutto attorno a me, ogni angolo e ogni periferia di quella nuova città. Come se trattenere ogni cosa al suo posto mi avrebbe poi aiutato a non cedere al tornado di caos ed entropia insediatosi in me.

Mi guardai attorno, di nuovo, sapevo che parte di quel pessimismo non era altro che una reazione allo stato d'ansia e agitazione che mi accompagnavano da dieci giorni o giù di lì,ero dall'altra parte del mondo, per la prima volta in tutta la mia vita, completamente sola. Ciononostante quell'aula era più grande di quanto avessi immaginato e fu un sollievo, mi sentii meno soffocare.
Cercai di distrarmi, e quindi con le braccia incrociate e i capelli che mi ricadevano di continuo sul volto organizzai mentalmente l'arredamento del mio piccolo, piccolissimo, minuscolo, appartamento. Nonostante il mio maniacale bisogno di circondarmi di ordine e della scrupolosa esattezza delle cose, la mia stanza - non possiamo definirla casa quel tugurio in cui alloggiavo - sembrava davvero il rifugio di un qualsiasi quindicenne americano incazzato nero col mondo e succube di quei testi fragorosi di quelle canzoni metal che non fanno altro che annaffiarlo d'odio e rancore, rendendolo appunto un perfetto cittadino statunitense. Ma mi sto dilungando troppo, in ogni modo mi aveva aiutato Audrey a trovarlo, quel tugurio, non molto lontano dal college, ma non era altro che una soffitta con un letto e una piccola cucina. Mi andava bene lo stesso. Alloggiare in uno degli appartamenti del campus era troppo costoso, nonostante gran parte dei miei studi lì fossero già pagati. Inoltre pensai di avere urgente bisogno di trovare un lavoro.
Tra i miei pensieri confusionari, e tra un attacco di sonno e l'altro constatai che la mia pelle decisamente troppo chiara mi rendeva un'estranea tra tutti quei ragazzi abbronzati che sembravano appena usciti da una scena di Baywatch.
Gli studenti in quell'aula sembravano per la maggior parte come pesci fuor d'acqua, forse più intenti a guardare il mare fuori dalla finestra piuttosto che prestare attenzione a tutto ciò che li circondava.
L'unico lato positivo di quella scuola era la valanga di studenti che la frequentava. E non per la qualità degli alunni in sé, quanto piuttosto la quantità. Era un'università privata, una di quelle costose al punto tale che dovevi ipotecare la tua casa per frequentare soltanto il primo anno, una di quelle che non ti accetta secondo i risultati del tuo IQ ma solo se sei il nipote del nipote del nipote del nipote della persona giusta. Mi domandavo cosa ci facessi lì.  Fortunatamente per me, a San Diego tutti sembravano fin troppo schifosamente ricchi e nipoti dei nipoti giusti, e fui sollevata quando, sconfiggendo i miei timori di ritrovarmi in una scuola di pochi snob, dove di certo non sarei passata inosservata, fui travolta da una mandria inferocita di ragazzi di ogni genere e sesso al termine della loro lunga ed evidente travagliata guerra ormonale e nessuno, credevo, si era davvero accorto della mia presenza. Tirai un respiro di sollievo.
Ad interrompere i miei pensieri fu qualche voce proveniente dall'altra parte dell'aula fare domande sui vari corsi, altre voci poi alle mie spalle borbottavano qualcosa riguardo delle feste per matricole e, come se di voci non ne sentissi già abbastanza, la mia mente non faceva altro che ripetermi tutte le persone che avrei dovuto evitare.
Mi raccomando: non attirare molto l'attenzione su di te. Mi disse la vocina dentro la mia testa, la parte razionale di me

Scars - Sotto la mia pelle Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora