Capitolo 1. Scary lunch

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"Mi manca parlare con te."
"E allora perché hai smesso di farlo?"
"Avevo paura. Continuo ad avere paura."
" Di cosa?"
" Di te."

"Hey bella addormentata!" Vidi una piccola mano passarmi ripetutamente davanti agli occhi
"Come?"
"Dormi o ti siedi?" mi toccò il braccio.
L'unico posto libero che distrattamente ero riuscita a trovare era in fondo all'aula.
"Sì" alzai lo sguardo, ma la mia mente era da tutt'altra parte.
La ragazza di fianco a me aveva la testa poggiata sulla mano, gli occhi chiusi e quasi riuscivo a sentire il suo respiro rilassarsi, proprio come se stesse per addormentarsi. Nonostante il tocco delle sue fredde mani, emanava uno strano calore.
Il professore parlava e parlava e parlava, anche se di cose che sapevo già, di nuovo.
Avevo passato così la mia infanzia: tra i libri di storia e arte di mia madre, tra gli esperimenti, le mille formule matematiche di mio padre, e tutti quegli appunti che mi avevano lasciato prima di morire.
Come fossi arrivata in quell'aula era un mistero per me. Forse perché il sonno che iniziava ad offuscarmi la testa non faceva altro che aumentare. Avevo passato una notte insonne, tra ansie e mille preoccupazioni. Infondo il primo giorno di scuola non è mai stato facile per nessuno, soprattutto se la scuola che frequenti si trova a più di cinque ore di aereo dalla tua città natale. E sì, il mio primo giorno non era per niente facile.
Tutti quei volti nuovi mi davano continui brividi di insicurezza e inquietudine. La calda temperatura non alleggeriva la situazione, per niente. Ero abituata al freddo di Chicago, quel freddo dal quale puoi ripararti soltanto con abiti pesanti e sotto ai quali puoi quasi nasconderti.
In fin dei conti non ero brava io, ad ambientarmi in un posto nuovo, ad un nuovo stile di vita. Non ero brava in molte cose io, decisamente. Tipo prendere decisioni, tipo lasciare tutto per sempre. Eppure, proprio mentre chiudevo dietro di me la gracile porta di legno lacero, mentre attraversavo frettolosamente le dissestate strade coronate da case scolorite, e perfino mentre salutavo con un'impercettibile gesto della mano gli esuberanti bambini che di primo mattino erano di già intenti ad animare la vita del quartiere, ecco, proprio in quei momenti che sapevo non avrei mai piu' vissuto di nuovo, io sentivo, per la prima volta, di essere viva. Ero finalmente libera.
Trovare un lavoro, era la mia priorità.
Ma cercarne uno significava spendere pomeriggi interi fuori casa, ciò significava a sua volta tempo sottratto allo studio, rimanere quindi indietro col programma, e ciò comportava il bisogno di ripetizioni pomeridiane che avrei dovuto pagare con i soldi di un lavoro inesistente cadendo quindi in miseria, e non avrei potuto pagare l'affitto della casa e sarei dovuta andare a vivere tra scatoloni vecchi e rotti come un barbone, e per finire avrei vissuto di elemosine e scarti di hamburger del Mc Donald's.

No.

No, non era così tragica la situazione, ma per velocizzare le cose forse semplicemente bastava chiedere alla Signora Garcia - l'omona dell'ufficio informazioni infondo al corridoio del secondo piano, oltre metà dei dormitori maschili - e sperare in qualche posto libero al bar dell'università o alla biblioteca o qualsiasi buco disponibile per una ragazza che tentava di non diventare una senzatetto.
Nel frattempo mi toccava camminare tra i corridoi dell'ala nord che portavano alla raccapricciante sala degli orrori, lì dove una via d'uscita spettava solo a pochi fortunati, dove non ero mai riuscita a sopravvivere, dove tutte le paure uscivano allo scoperto e diventavano realtà... La mensa. A Chicago non avevo mai davvero frequentato il liceo, le mie erano presenze sporadiche, eppure quando il preside mi convocò all'inizio dell'ultimo anno nel suo ufficio, mi definì una delle sue studentesse più brillanti, probabilmente cominciò tutto da lì. In ogni modo, avevo sempre nutrito una profonda repulsione per la mensa, non che mi fosse successo mai qualcosa di particolarmente spiacevole, ma mi provocava comunque un grande disagio.

Qualche patatina mi preannunciò l'entrata all'inferno... e mi sfiorò il mento.
La mensa sembrava tutt'altro che tale, rimpiansi di non essermi data una mossa per trovarmi un lavoro e guardai i miei buoni pasto come se fossero la cosa più straziante del mondo.
Una parte di me mi incitava costantemente ad interagire con il resto della popolazione studentesca, un'altra parte invece, impediva a ogni muscolo del mio corpo di mettere piede oltre la fila immensa che si prolungava fino ai banchi frigo con le bibite.
Avrei voluto mangiare nel giardino, magari sotto qualche albero, magari lontana da tutti, avrei dovuto pensarci prima.
La parte razionale di me costringeva le mie gambe a vagare senza meta per quella grande stanza, attirando sempre di più l'attenzione.
Quella continua agitazione impaziente lungo la fila richiamò l'attenzione di Audrey.
Sventolò il suo braccio minuto tra la folla e io mi avviai verso il tavolo in cui era seduta camminando a passi lenti e sicuri per non cadere d'improvviso su qualunque pezzo di cibo.
I restanti componenti di quella lunga tavolata parlavano senza neanche accorgersi di me. Mi guardai attorno confusa cercando di riconoscere qualche viso, ma fu tutto inutile.
"Fantastico! La bella addormentata non si è ancora risvegliata"
Beatrice, che raggiunse il tavolo subito dopo di me, si sedette sull'unico posto vuoto che in quella tavolata vi era riservato, proprio come se sapessero che quello fosse il suo posto.
D'un tratto la riconobbi nella ragazza sedutami accanto l'ora precedente.
"Hey, voi due vi conoscete?" Chiese Audrey

"Non proprio" bisbigliai.

Non mi chiesi come mai la mia amica fosse seduta proprio in quel tavolo, poco mi importava, o meglio, temevo di conoscere già la risposta.

"E tu come ti chiami?" Una voce femminile provenne da qualche posto più in là.
"Indiana"
"Come?" Un ragazzo, con grandi occhi azzurri e capelli più arancioni della media, rise fragorosamente.
"Hai qualche problema?" Gli risposi.
Audrey mi ammonì con lo sguardo. Dovevo stare calma.
D'un tratto, non so ben dire se fosse prodotto della mia paranoia o meno, iniziai a sentirmi osservata da tutti, studiata. Mi sudavano le mani. Perché era chiaro, tutti guardavano quella nuova, anche in una scuola che sembrava interminabile, soprattutto se la nuova era fin troppo pallida, silenziosa, e scostante. Ma forse no, forse deliravo.
Non amavo il caos in generale, ci avevo messo anni per placare l'immenso casino nella mia testa, anni di yoga, purificazioni e altre cose stupide trovate sui tutorial di internet, per riuscire ad arrivare alla calma totale. Ma mi sarebbe bastato davvero poco per far crollare quel castello di sabbia asciutta che con fatica avevo costruito.
Al liceo, la massima popolarità, come ogni scuola Americana che si rispetti, era data agli atleti e alle cheerleader, perfino nel fatiscente liceo che avevo frequentato io. Loro invece, seduti distanti dagli atleti, avevano uno strano tipo di popolarità, era troppo presto però per trarre conclusioni. La loro aria bohemien, i loro sguardi viziosi e quel portamento ardito, tipico di chi sente di essere inarrestabile, di poter fare qualunque cosa, sembrava quasi imporre una adorazione che, potevo scommettere, arrivava senza pretese.
Rimasi in silenzio per gran parte dell'ora, nessuno parlava un gran ché, ero arrivata a credere potessero comunicare con la mente. Sentivo però uno sguardo tenace che non aveva mai smesso di scrutarmi, occhi violenti che correvano all'impazzita su di me. Troppo veloci per me, mi bruciavano la pelle. Ma non gli diedi importanza, all'inizio.
Una cosa non ero ancora riuscita a gestire, gli sguardi. Quelli non li puoi gestire. Quelli te li devi tenere e ti devi stare pure zitta, che se ti ribelli ne attiri ancora di più.
Ma sono i peggiori, ti bruciano dentro, ti dicono un sacco di cose se riesci a capirli bene. Anche se chiudi gli occhi, li senti lo stesso. Lo sai che sono lì, che ti circondano, ti studiano, ti esaminano, gli avvoltoi.
E quel ragazzo continuava a trapassarmi dentro con i suoi occhi.
"Be'?" Alzai le sopracciglia mentre mettevo in bocca un boccone di pasta.
Era davvero bello, ma il suo continuo fissarmi mi agitava.
"Dici a me?" mi rispose alzando un piccolo bordo del labbro, intravedevo un sorriso forse.
"Continui a fissarmi"
Beatrice divenne silenziosa e cominciò a scrutarlo, come una mamma che protegge il suo cucciolo, scattando sull'attenti quando vi è un pericolo nelle vicinanze.
Mi pentii di aver aperto bocca e di aver emesso anche il minimo suono.
Giravo incessantemente tutto ciò che c'era nel mio piatto, creando una poltiglia di riso carne e maionese, mentre quel silenzio imbarazzante distruggeva ogni più piccola speranza di diventare una persona normale.
"E' cieco" si intromise Beatrice.
Via, corri, fai i biglietti per l'Alaska e nasconditi dall'umanità, seppellisciti, fai qualcosa. Scappa.
Colpita ed affondata.
Balbettai. Poi ancora. E ancora. Ma non emisi parola.
"Sta scherzando, India." Audrey fermò l'accelerazione del mio battito cardiaco e sul volto di Beatrice, e delle poche persone che ci stavano concedendo la loro attenzione, una fragorosa risata prese il sopravvento.
Controllai l'istinto animale in me che mi pregava di scagliare la mia ira sui suoi lunghi capelli ricci.
"Non te la prendere Bella addormentata, ti stavo prendendo un po' in giro"
Non risposi.
"Come mai la tua carnagione è chiara ma i tuoi tratti così... latini?"
Mi chiese il ragazzo irritante che non mi avevano dato alcuna risposta se non quella strana domanda. Non aveva riso assieme a Beatrice, ma non sembrava neanche infastidito dalla sua intromissione inopportuna.
Lo guardai qualche secondo seriamente prima di decidere se concedergli una risposta o ignorarlo e continuare a mangiare quella poltiglia indescrivibile.
"Mia madre è argentina" Ma il mio volto non lasciò sfuggire alcun espressione.
Mi sorrise dolcemente e si alzò senza dire altro, portandosi con se il vassoio e una scia di profumo inebriante.

Allora? Cosa ne dite? Domani cercherò di pubblicare anche il terzo capitolo! Non vedo l'ora di farvi conoscere meglio i protagonisti!
Come avrete potuto notare, all'inizio c'è un piccolo dialogo che non riguarda il capitolo in questione, è un piccolo spezzone di un altro capitolo, metterò un piccolo spoiler di questo tipo su ogni nuovo capitolo, spero vi piacciano! Un bacio!

Scars - Sotto la mia pelle Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora