Capitolo 7. Paura.

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<<Io lo so a te cosa piace. A te piace il pericolo.>>
<<Lasciami.>>
<<Vuoi sentirti viva, vuoi avere paura, vuoi sentire l'adrenalina scorrere in ogni arteria, in ogni angolo del tuo corpo. Per questo sei qui adesso. Smettila di tremare, tu sei come me. Noi siamo il pericolo.>>

"Dovresti tornare a casa Justin" gli parlai con un tono intriso di preoccupazione
"Ti preoccupi per me?" Mi rispose sorridendo, con un sorriso stanco, stremato, debole.
"Non stai bene, sei troppo ubriaco, devi stare attento"
"So badare a me stesso ragazzina"
"Sei nel bel mezzo del nulla, ubriaco fradicio, durante la settimana. Ne sei davvero sicuro?" Risi come se ci stessimo raccontando barzellette, ma in fondo non vi era nulla di divertente.
Non mi rispose, mi guardò fisso negli occhi, questa volta però non erano accessi, non brillavano, non vi era più quella fiamma che aveva illuminato fino a pochi istanti prima il suo volto in mezzo a tutta quell'oscurità. Si spense. Credetti che stesse per accasciarsi sotto ai miei occhi, ma non lo fece. D'un tratto mi sembrò che mi guardasse come se volesse scusarsi, quasi pentito. Forse me lo stavo immaginando. Ma di una cosa era certa, quel filo che ci aveva in qualche modo collegati fino a quel momento iniziava a rompersi, l'adrenalina scemava, lentamente quella connessione creatasi tra di noi sembrava un sogno sbiadito, uno di quelli che quando ti svegli ricordi a sento.
"Tutto questo è ridicolo, ti prego vattene." Sussurrò, ma io restai immobile "Vattene cazzo"
Urlò. Urlò appellandosi alle poche forze che gli erano rimaste. Quasi mi faceva pena, non avrei voluto lasciarlo in quelle condizioni, era evidentemente confuso, stordito, frustrato, era solo.
Me ne andai comunque, me ne andavo sempre.
Avevo bisogno di schiarirmi le idee, ero convinta del fatto che quanto successo poco prima, in fondo, non fosse nulla. Justin era l'ennesimo ragazzo alla deriva, l'ennesimo ragazzo che da un momento all'altro sprofonda nella disperazione e fa cose senza alcun controllo di sé. Sapevo che non voleva farmi del male, fin dall'inizio. Credevo, anzi ne ero convinta, che se ci fosse stata qualunque altra ragazza lì, al posto mio, si sarebbe comportato nello stesso identico modo. Mi ero solo trovata al posto sbagliato nel momento sbagliato. Non nutriva nulla di particolare nei miei confronti, era solo ubriaco e, per qualche ragione, confuso.
Quello che aveva detto non era altro che il frutto di uno stato alterato.
Così lo giustificai, e cercai di dimenticare tutto. Lasciai Justin nel buio, leggermente inclinato verso l'albero, in silenzio, solo le foglie secche scricchiolavano al mio passaggio ma i battiti del mio cuore così scattanti rendevano quello scricchiolio solo un remoto rumore proveniente da qualche recondito angolo della mia mente.
Camminai per quella che mi sembrò un'eternità. Avevo accuratamente evitato di ripercorrere la strada che avevamo percorso io e Luke all'andata, come anche accuratamente evitai di avvicinarmi al parcheggio. Ero persa nel nulla, camminavo su una strada sterrata, illuminata dalla flebile luce di alcuni pali arrugginiti che si trovavano qui e lì. Dopo un po' decisi che non ce l'avrei fatta a tornare a casa se non avessi chiamato qualcuno, così decisi di chiamare Audrey.
Mentre cercavo il telefono dalla borsa, tutto d'un tratto, mi ricordai di quando, da piccola, mi rifugiavo in casa sua ogni volta che le cose nella casa famiglia si mettevano male, ogni volta che Ben, al quale eravamo affidati, tornava a casa ubriaco, a quando Logan si faceva troppo e mi cadeva inerme tra le braccia... in tutti quei momenti, io mi rifugiavo da Audrey. Mi confortavo tra quelle calde mura, un po' ammuffite sì, ma non mi fregava, erano l'unica cosa che avessi.
In fondo sapevo di non aver mai superato il suo abbandono, il fatto che se ne fosse andata mi aveva atterrita, mi aveva distrutta, mi aveva dato quel colpo finale verso un baratro di disperazione e scelte sbagliate dal quale non sapevo neanche come ne fossi uscita. Audrey era la mia unica parte di umanità rimasta ancora vergine, inviolata, preservata da tutta la merda di cui ci circondavamo, e quando mi disse che sarebbe partita per la California con la famiglia, a quel punto non mi rimase nulla, se n'era andata portandosi via tutto ciò che ne rimaneva di me. E io non l'avevo mai superata. Rancore, invidia, rabbia, collera. Annegavo nei miei stessi sentimenti e non me ne accorgevo neppure. Mi aveva tradita, l'unica persona di cui mi fossi mai fidata mi aveva tradita, ma io continuavo ad amarla, e ad odiarla, e amarla ancora. Amavo Audrey con la stessa intensità con la quale la odiavo da morire. Questa fiumana di emozioni mi asfissiava.
Il cellulare. L'avevo dimentica in macchina, o forse l'avevo perso correndo via da Justin. Non mi ricordavo. Non ricordavo nulla. Mi sembravano passati mesi, e invece quanto era passato? Due ore? Tre?
Qualcuno bussò alle mie spalle.
Continuai a camminare inciampando sui miei passi come se nulla fosse, non avrei potuto, non sarei riuscita, ad affrontare un altro problema. Ero scarica, senza forze.
"India" la macchina parlò.
"India cazzo fermati" la macchina mi si avvicinò e rallentò.
Non guardai dentro, sapevo chi ci fosse al suo interno, riconoscevo il dolce suono.
"India, ti ho cercata tutta la notte cazzo, ti prego fermati, parliamo, mi dispiace di averti lasciata sola per tutto quel tempo, fermati per piacere" Non rallentai.
La macchina si fermò e lo sportello si aprì. Lo sentì sbattere con forza per richiudersi, dopodiché tornò il silenzio, un silenzio spezzato dal rombo di un motore troppo costoso per i miei standard.
Mi fermò per una spalla e mi obbligò a girarmi
Ti prego
"Parliamo"
Quel viso corrucciato, affranto ed anche un po' scazzato mutò alla velocità della luce non appena mi girai e lo fissai negli occhi. Ero ridotta davvero male.
"Stai bene? Ti è successo qualcosa?" Mi stritolò le spalle con entrambe le mani, mi stringeva così forte che sembrava spremermi
"Sono stanca" sussurrai, non ero sicura mi avesse sentita.
"Vieni... ti porto a casa" rallentò la presa quando iniziai a fissare un punto dietro di lui.
Non avevo neanche più le forze per restare in piedi.
Non ero una fragile io, avevo imparato a sopravvivere, a ricucirmi da sola, sempre. Avevo una corazza tanto forte quanto invalicabile, negli anni ero riuscita a ritagliarmi un carattere che mi aveva permesso di tirare avanti e a non essere sbranata da una molteplicità di leoni, ero riuscita a plasmare una forza tale che da sola avrei potuto scalare una montagna. Per anni ero stata rinchiusa in una gabbia, la mia gabbia, e ora che ne ero fuori sentivo che qualcosa non andava, c'era una parte di me, quella stessa parte di me da cui avevo cercato di fuggire disperatamente, che iniziava a fare male, a bruciare, mi pizzicava dentro, come se lottasse con tutte quelle stesse forze di cui mi avvalevo per uscire fuori. Avevo sempre vissuto a metà, spezzata, rotta, ma forte. Non ero pronta per ritornare tutta intera, in quel caso non ce l'avevo la forza per affrontare una me unita, completa, integra. Una Indiana a metà era più facile da gesture.
Eppure la sentivo ribollire, agitarsi, quella parte. Non avrei mai lasciato le mie debolezze prendere il sopravvento, non ero una debole. Non c'era spazio per la debolezza nel mio gracile corpo, tutto era già stato fagocitato dalla paura. Paura, una costante paura. Ecco cosa ero io. Novanta percento paura, dieci percento acqua. Che strana accoppiata. Eppure la paura mi aveva rinvigorita, mi alimentavo di paura e da essa ne traevo forza, la paura mi aveva reso quella che ero, e non c'era spazio per altro.
Eppure c'era una parte di me, una parte lontana, tanto piccola quanto fragorosa che mi urlava lasciati andare, lasciati inondare da quella fiumana di sentimenti che non ti sei mai concessa. Forse un giorno, ma non adesso.
Mi accarezzò il braccio con i polpastrelli e mi prese la mano, poi si avvicinò prudentemente, impercettibilmente e mi spostò il viso e lo sguardo su di sé. Fece un respiro tanto chiassoso che rimbombò in quella notte silenziosa, poi mi baciò. Di nuovo.
Rimasi ferma, inerte. No, non mi baciò davvero. Appoggiò le labbra sulle mie come se avesse paura di rompermi e sospirò di nuovo, quella volta echeggiò dentro di me. Non feci nulla. Le sue labbra erano rassicuranti ma non erano ciò di cui avevo bisogno.
Quando, con la stessa cautela, si spostò io ero ancora immobile.
"Andiamo" sussurrò tanto piano che lo capii solo leggendogli le labbra.
Con movimenti meccanici, come se il mio corpo fosse alienato da ogni altra cosa, lo seguì in macchina, e mi lasciai accarezzare dal calore di quella vettura.
Chiusi gli occhi, strinsi la pistola sotto la camicia, rimasi in silenzio.
Cosa avrei dovuto dire?
Sapevo che forse stavo reagendo troppo teatralmente, io e lui non eravamo nulla, non mi doveva nulla e io nulla mi aspettavo. Non mi aspettavo mai niente, io. E quello che era successo dopo, avevo già assodato le mie teorie.
Non è successo nulla
Eppure c'era qualcosa che mi metteva inquietudine, che mi faceva rabbrividire, non era per quel têt-à-têt, ne avevo visto di ragazzi ubriachi e fuori di sé, mi ero già confrontata con quel genere di situazione, non me ne fregava un cazzo di Justin, di chi credeva che fossi o che mi avesse già vista da qualche altra parte. Beh, un po' temevo che se davvero ci fossimo già incontrati sarebbe saltata tutta la copertura e addio sogni di gloria, ma in fondo sapevo che al novantanove percento era impossibile, ero dall'altra parte dell'America e i luoghi che frequentava gente come lui quelle come me non potevano permettersi neanche di sognarli di notte. C'era qualcosa che non capivo, che mi scuoteva e mi agitava. In fondo lo sapevo, lo sapevo bene, ma l'avrei capito solo dopo, cosa fosse ad agitarmi così tanto. No, in realtà lo sapevo già mentre tornavo a casa accanto ad un Luke silenzioso e raggomitolato su se stesso, ma non volevo ammetterlo, mi avrebbe distrutta.
"Mi dispiace"
Ruppe il silenzio, e sperai che non avesse mai parlato.
"Non importa" risposi tenendo ancora gli occhi chiusi.
Per un attimo non rispose poi scattò violentemente.
"No cazzo India, non va bene" diede un pugno al volante ed io aprì gli occhi irrigidendomi
"Perché cazzo te ne sei andata? Stai bene? Ti hanno fatto qualcosa? Sono un cretino, ho rovinato tutto, cazzo."
"Non hai rovinato nulla" gli poggiai una mano sulla gamba ma la ritrassi subito
"No?" Mi guardò, un po' speranzoso
"No"
Silenzio
"Sono stata io a rovinare tutto"
Mi guardò, aveva gli occhi lucidi. Dovevo dirglielo, anche se voleva dire che sarebbe scoppiato in lacrime davanti a me, mi faceva male, ma mi avrebbe fatto ancora peggio vederlo crogiolarsi in speranze che in realtà non c'erano.
"Non avrei dovuto baciarti"
Fece per parlare, ma lo fermai.
"Sono stata davvero bene con te stasera, e davvero non mi importa di ciò che è successo dopo, davvero, ma non voglio darti false speranze Luke. Ho sbagliato a baciarti, mi spiace"
"Non ti piaccio quindi?"
"No" dissi, e mi guardò come un cucciolo bastonato "cioè si, mi piaci"
Non ero brava in quelle cose. Non mi era mai, mai, capitata una situazione del genere. Non funzionava così dalle mie parti. Ma questo è un capitolo a parte.
"Non sto cercando una relazione in questo momento, sto solo cercando di ritrovare me stessa"
"Che vuoi dire?"
"È un casino Luke, davvero, non mi importa per stasera, ho già dimenticato tutto" parlavo appellandomi a tutte le forze possibili, ero stanca, avvilita, non riuscivo a tenere gli occhi aperti "ma ti prego, non roviniamo questa amicizia. Sto bene con te"
"Tu mi piaci molto"
"L'avevo capito"
Non rispose, quindi continuai io "Ma mi conosci da poco, non sai chi sono davvero, non posso davvero piacerti così tanto"
"Nascondiamo tutti qualcosa India, una parte di noi più oscura"
Non riuscivo a immaginare cosa di tanto segreto un ragazzo ricco come lui potesse nascondere. Uno spinello fumato di tanto in tanto? Non erano questi i veri segreti.
"Ti conosco da poco, hai ragione. Ma c'è qualcosa che mi dice sei diversa"
Si che lo ero, diversa. Diversa da tutte quelle stronze di San Diego, della California, diversa da quelle figlie di papà con la Lamborghini e la borsetta Prada. Ma il mio essere diversa non voleva dire essere migliore. Io non ero, e non sarei mai stata, migliore di loro.
"Non sei come loro"
"Lo so. Ma non è un bene"
"Si che lo è. Ma se non stai cercando una relazione va bene, non posso farci nulla. Ma esserti amico non sarà facile... saremo amici, giusto?"
"Certo... cioè, se ti va"
"Non proprio, ma me lo faccio bastare"
Appoggiai una guancia sul poggiatesta nella sua direzione e gli sorrisi, lui mi guardò e mi sorrise di ricambio.
Sto solo cercando di ritrovare me stessa. Che grande cazzata.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 25, 2020 ⏰

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