La zia

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Kumiko

Hitomi veniva ogni giorno a giocare a casa mia, d'altronde distavamo solo due isolati, quella bambina era diventata la mia unica occasione di vita, la mia abitazione era piccola e graziosa, circondata sul retro da un giardino dall'erba fresca e verdissima ed ornata da fiori colorati e sgargianti dei più diversi tipi, non avevo nessuno oltre che a lei, nessuno mi voleva e tutti mi rifiutavano, questa situazione andava avanti da quando avevo 6 anni, da quando i sintomi del disturbo borderline si fecero più chiari e manifesti, soffrivo di paranoie, uno sguardo distratto e sfuggevole era per me segno inequivocabile che quella determinata persona mi odiava e non mi poteva vedere, mi sentivo inutile e qualsiasi cosa facessi non mi sembrava mai di fare abbastanza, come se fossi un mostro schifoso e fastidioso e nemmeno la più nobile delle azioni avrebbe cambiato quella mostruosità intrinseca, avevo bisogno pertanto che gli altri mi lodassero spesso e con calore perché ogni complimento che mi facevano mi faceva sentire valorizzata ed importante, da sola non ce la facevo, gli altri dovevano aiutarmi, ero dipendente dai loro comportamenti, se gli altri erano tristi e arrabbiati era colpa mia , era la mia presenza ad avere scatenato il loro dolore, se gli altri erano felici e solari anch'io lo ero, per questa mia assurda dipendenza da loro avevo un assurdo bisogno non solo di essere lodata ma soprattutto amata in modo incondizionato, le lodi incoronavano tutto ciò ma non ne erano il cuore pulsante, avevo bisogno di amore, che gli altri stessero a sentire i miei discorsi ed i miei racconti senza senso e senza sostanza, che mi parlassero con un tono di voce partecipe e gentile, che mi guardassero con volto raggiante e sorridente, che mi volessero bene e mi facessero sentire protetta, i miei compagni di scuola mi prendevano in giro e facevano di tutto per tastarmi nei punti più dolenti, la mia insegnante di sostegno aveva perso le speranze ed i miei genitori mi detestavano con tutte le loro forze come anche mia sorella, non perdevano occasione di sgridarmi per ogni mio minimo comportamento stupido e sbagliato, ero una ritardata, un'autistica, una che aveva una montagna di difetti, si vergognavano di portarmi in giro, nessuno si avvicinava a me, una volta un ragazzo notò il mio corpo florido e prosperoso ed il mio volto innocente e seducente, ma anche il mio carattere premuroso ma quando si accorse dei miei sbalzi d'umore, degli attacchi di rabbia e dell'esagerata e morbosa possessività ed emotività comprese che non ero normale e mi lasciò, non ero normale e non potevo stare con persone normali, quell'aggettivo, normale mi rimbombò nella testa, non mi comportavo come gli altri, come il resto della società, ero un'aliena venuta da un mondo lontano e mi era impossibile adattarmi ai dogmi rigidi ed inflessibili del Giappone, uno stato dove tutti tendono a celare i loro sentimenti per dare un'immagine di se impeccabile e perfetta, sempre bravi a scuola e nel lavoro, diligenti e laboriosi in tutto quanto quell che fanno, ma io non ce la facevo, non ero brava a scuola, facevo fatica e dovevo studiare giorno e notte fino allo sfinimento se volevo ottenere uno straccio di buon voto, mia sorella invece era un genio naturale ed eccellente, non ce la facevo a capire niente e a fare niente, non riuscivo a trovare lavoro perché non riuscivo a relazionarmi con nessuno, ero inutile, non servivo a niente ma con il tempo trovai un'occupazione stabile, pulire l'appartamento di una ricca signora mentre lei non c'era, ero da sola, non avrei infastidito nessuno con i miei discorsi stupidi e ripetitivi, nessuno si sarebbe stancato e lamentato di me ed inoltre le mansioni erano semplici, però continuavo a non aver nessuno che mi amasse, una volta però Hitomi venne da me, ero arrivata ad un punto che volevo suicidarmi, il mio vivere non era di beneficio a nessuno e nemmeno a me stessa, ero un peso gravoso ed ingombrante, dovevo andarmene, sprofondare nel nulla più assoluto ed eterno dove non avrei più pensato e sofferto, ma quella ragazzina mi diede la spinta per risollevarmi, era pura ed innocente e non mi disprezzava mai, quella volta era venuta a chiedermi un dolce, io non ne avevo ma potevo preparargliene uno, di solito ero maldestra e goffa nel cucinare ma quella volta non era per me ma per Hitomi, cucinai una torta fantastica, morbida, soffice e squisita, ricoperta da uno strato di panna delicato e scolpito con cura, mi commossi persino, per una volta avevo fatto qualcosa di buono, mi ero resa utile e avevo compiuto un autentico capolavoro, perché quella bambina aveva creduto in me, non mi aveva giudicato e mi aveva parlato in modo pacato e gentile, giocammo insieme tutto il pomeriggio, in casa come nel giardino, ero estasiata ed euforica, Hitomi era illibata come il più candido dei gigli, non rideva per le mie stranezze e non aveva paura di me ma anzi era come attratta dal mio ritardo, dal mio essere simile per certi versi ad una bambina, dalla mia innocenza e timidezza, era pura e limpida e mi aveva dato la possibilità di amare e di essere amata incondizionatamente da una persona, con lei non avevo paura di essere me stessa e di non essere normale, perché lei non era un'adulta acida e rigida, non era una di quelle persone sempre con la battutina fredda e mordace alla bocca e che parlavano sottovoce di me non appena mi vedevano, lei era una bambina nel vero senso della parola e le volevo bene per questo, da quella volta venne da me tutti i giorni per giocare insieme a me, guardavamo i cartoni insieme, a me piacevano da matti ma non potevo dirlo a nessuno, mia sorella lo sapeva e non perdeva occasione per ricordarmelo, ma io non ci potevo fare niente, i film, le scene di violenza e di sesso, le parolacce e la crudeltà mi disturbavano, invece i cartoni animati con i loro personaggi semplici e leggeri e la bontà intrinseca che pervade tutta la puntata mi rilassavano, mi piaceva guardarli con mia nipote, mi piaceva fare tutto con lei, un giorno però, lei aveva cinque anni, non venne, era scomparsa nel nulla e per sempre, avevo perduto l'unica persona che mi aveva davvero amato, nessuno sarebbe stato in grado di sostituirla nemmeno minimamente, il suo ricordo e la sua mancanza mi tormentavano ogni giorno, a volte avevo la speranza che quella porta si aprisse e che lei entrasse ma non succedeva mai, nessuno si sarebbe mai interessato a me, non una lettera e nemmeno una cartolina, nessuno sarebbe venuto a trovarmi e a parlare un po' con me, il mio unico pilastro se ne era andato, ero sola e la vita era ancora troppo lunga per viverla nella depressione e nella nostalgia, anni e anni che passavano senza che a qualcuno importasse qualcosa di me, mia sorella e suo marito mi detestavano, loro si erano laureati con il massimo dei voti ed io avevo a malapena concluso il liceo, un anno a Natale mi avevano invitata ma c'erano anche dei loro amici ricchi e famosi con i quali parlavano di economia e politica, io non capivo niente e quando avevo provato ad aprire bocca tutti mi avevano guardato straniati e disgustati, come se avessero davanti un'aliena, allora mi ero travestita da Babbo Natale e avevo giocato con Hitomi, avevamo persino confezionati dei fiocchi di neve di carta splendidi e raffinati da vendere al mercatino organizzato dal tempietto shintoista il cui ricavato sarebbe andato in Tailandia, ma ora Hitomi era sparita e mi sentivo come se non avessi niente che mi tenesse ancorata alla frivolezza e alla dannata bellezza di questo mondo, non trovavo nessuno che potesse essere mio amico, avevo provato persino ad iscrivermi ad una comunità religiosa ma sebbene le persone, dotate di una profonda spiritualità, fossero tutte ottime ed accoglienti, era come se non riuscissero a capirmi del tutto, ad arrivare al fulcro del dolore che ruotava in me trangugiando la mia anima debole e malata, non potevo vivere ancora 60 anni in questo modo, incompresa ed evitata da tutti, senza sentirmi mai davvero a casa, mai in pace con me stessa e realizzata, decisi di farla finita, presi un coltello e mi taglia le vene ma in quel mentre il postino entrò in casa e chiamò l'ambulanza, ero salva ma il dolore persisteva, non ero riuscita ad uccidermi e probabilmente non ne avrei avuto più la forza, dovevo sfidare da sola la vita con tutto quello che mi avrebbe offerto ma ero sicura che non ce l'avrei mai fatta da sola eppure ero sola, dannatamente, maledettamente sola, quello scorcio sul sereno, quella finestrella luminosa ed abbagliante si era chiusa subito e mi aveva perciò consegnato alle tenebre più fitte ed impenetrabili, di nuovo quel terribile ed irritante senso di disagio, non mi voleva nessuno, ero inutile, non ero capace a fare niente, nessuno mi aiutava, ebbi un crolli di nervi ed impazzii del tutto, in poco tempo distrussi tutte le cose che mi capitavano a tiro in casa, sfogavo su di loro tutta la fatica, tutta la sofferenza e tutto l'esaurimento accumulato dopo anni e anni, mi liberavo di quel fardello insopportabile ed eccessivo rompendo cose, le porcellane, i bicchieri ed i mobili, tutto finiva in frantumi, qualcuno però del piano di sopra chiamò la polizia che mi spedì in una casa di cura sulle montagne.

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