(Mia / Mehandra)
«Che stronzata!», sbuffò Mia.
Mentre gli altri erano ancora fermi come bovini in ascolto, lei si avvicinò all'ingresso del corridoio. Sapeva che la stanza dalla parte opposta era molto grande, ma la scarsa luce delle fiaccole non riusciva a penetrarvi. Quel tunnel le ricordò una gola, un pozzo nero e orizzontale. Si bloccò: voleva veramente andarci da sola?
«Allora, vogliamo rimanere qui fino a stasera?!», sbraitò, girandosi di scatto.
Nella stanza, però, non c'era più nessuno. Solo lei.[ Colonna sonora: "Where is my mind" (Pixies): http://bit.ly/KoLwq8 ]
Mia chiuse gli occhi. Li riaprì. Lo fece un'altra volta. Sentì la pelle delle braccia tendersi come le corde di una nave, e il cervello, tra le sue tempie, sfrigolare come olio: riconobbe i primi sintomi del panico.
Poi, vide la statua. Era appoggiata all'angolo opposto della stanza, completamente rivestita di metallo dorato. O era forse vero oro? Dal fianco destro della statua, gigantesca, spuntava l'elsa di uno spadone. Mia girò attorno al tavolo, usando questo per tenersene alla larga. Voleva gridare, ma non osava farlo: era sicura che qualcosa di cattivo, se l'avesse fatto, l'avrebbe sentita. Cercò con lo sguardo un punto in cui potersi nascondere. Non ce n'erano.
«Dio...», sussurrò, portandosi una mano alla bocca.
La testa della statua, adesso, era sollevata. Mia, però, non l'aveva vista muoversi. Anche il braccio destro era in una posizione differente rispetto a prima. Singhiozzando, iniziò a scivolare con la schiena lungo la parete. Troppo rumore. Sto facendo troppo rumore. Il suo sguardo cadde sul tavolo: vide una macchia scura e riconobbe la barba del nano. "La sua incredibile forza deriva dalla barba", gridò qualcosa nella sua mente.
Dove aveva sentito quella stupida frase? Perché la barba del nano era lì? E perché tutti gli altri, al contrario, erano scomparsi? Qualcosa iniziò a scricchiolare; un rumore metallico, odioso, come un cancello arrugginito che gratta sui propri cardini. Mia vide cos'era stato a provocarlo: la visiera della statua adesso era sollevata. E c'era qualcuno, dentro. Qualcuno con la bocca aperta.
«Papà?!», singhiozzò Mia.
L'uomo dentro l'armatura portava un pizzetto nero: era un velo di peli fine, preciso, impeccabile. Il suo mento, invece, era squadrato, sporgente. I denti, bianchissimi. Gli occhi sembravano due smeraldi verdi, piccoli, rotondi. Ma incredibilmente profondi.
«Papà, sei tu?!», gridò di nuovo.
Qualcosa non tornava: per quanto la somiglianza fosse impressionante, l'uomo dentro all'armatura non poteva essere suo padre; era troppo grosso, troppo alto. Suo padre non aveva mai avuto quella stazza. E poi, mamma e papà sono...
Ci fu un rumore strano, come di gas che esce da una perdita dei fornelli. Il suono crebbe di intensità e Mia capì che proveniva dalla bocca dell'uomo dentro l'armatura: usciva del fumo, da quella bocca.
«Ahhhhh...», sussurrava quella bocca.
Mia smise di piangere: era sicura che, se non l'avesse uccisa quell'uomo, ci avrebbe pensato la sua paura. Era possibile, morire di paura? Pensò di sì.
Il braccio dell'armatura scattò: la mano si attorcigliò sull'elsa dello spadone, sfilando l'arma e sollevandola sulla testa. La puntò prima contro il soffitto, poi, con un veloce gioco di polso, il gigante girò la punta verso il basso, infilandosi l'intera lunghezza della lama dentro la gola. Aveva compiuto quel gioco da prestigiatore senza mai staccarle gli occhi di dosso. Mia non poté non gridare. Capì che non le interessava più nulla: voleva solo che tutta quella storia finisse, il più in fretta possibile. Pregò di svenire.
L'armatura iniziò a muoversi, avanzando sul lato opposto del tavolo, come per aggirarlo, come per venire da lei. Qualcosa di innaturale scandiva il ritmo della sua "avanzata": la distanza che copriva sembrava maggiore della lunghezza dei suoi passi. A Mia venne in mente il movimento di un pattinatore sul ghiaccio. No, quell'uomo non stava "avanzando": scivolava, letteralmente. Le persone normali ondeggiano. Lui non lo fa, pensò Mia. Poi, quando fu certa che l'uomo si sarebbe avventato su di lei, con sua sorpresa, invece, sparì nel corridoio. L'elsa della spada gli spuntava ancora dalla bocca, quando passò dall'altra parte. Lasciò dietro di sé solo una scia di fumo bianco, le cui volute si dispersero lentamente verso il soffitto.[ Stop alla colonna sonora ]
Qualcosa di viscido la toccò sulla spalla, Mia gridò un'altra volta.
«Ehi, tutto bene?!», chiese il nero dal petto nudo. «Che c'è, sei fatta?!».
Mia si lanciò verso di lui, abbracciandolo e piangendo per il sollievo. Il ladro, in un primo momento, parve disorientato. Poi, lentamente, l'avvolse con il suo abbraccio. «Forza, su, è tutto ok», disse. «Sei qui, ora. Sei di nuovo tra noi».
«È andato di là», sussurrò Mia.
«A chi si riferisce, madame?», chiese quello vestito da stregone.
Mia non gli rispose. Si guardò attorno, trovò quasi subito il nano: era lì, di fianco alla sua sedia.
«Che problema hai, dolcezza?», le chiese l'ometto, inarcando le sopracciglia. «Perché mi fissi in quel modo?»
«Raccogli la tua barba: devi rimettertela.»
«Che cosa?! E perché cazzo...»
«Indossa subito quella barba, nano!»
STAI LEGGENDO
Enkil [ DA REVISIONARE ]
Misterio / SuspensoSette incredibili personaggi, un antico Re da resuscitare, una terribile profezia che deve avverarsi: è giunto il tempo di raccontare la sanguinaria leggenda di Enkil. NOTA DELL'AUTORE: Ve lo dico subito, a tutti coloro che OSERANNO SEGNALARE ER...