CAPITOLO SESTO

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Mi sentii sollevata dal fatto che avessi già posato la tazza sul tavolo, perché, se l'avessi tenuta in mano, alla rivelazione di Marven sarebbe caduta a terra, frantumandosi in mille pezzi. E se mi sentivo libera quando avevo lasciato Taumen, ora che sapevo di non dovermi sposare, lo ero ancora di più. Mi trattenni dal gridare, dal ridere e dal saltare per tutta l'enorme sala e dall' abbracciare Marven piangendo. Iniziai a tremare leggermente, aspettando che lui continuasse a spiegare. -Ti abbiamo portata qui solo per tenerti al sicuro, non dovrai sposare nessuno.- mi rassicurò. Mentre parlavo, le parole mi uscivano instabili -E i miei genitori? Quando sapranno che non ci guadagnano nulla verranno a cercarmi e ...-. Non riuscii a finire la frase. -Non possono farti nulla finché stai qui, nella corte. Nessuno può entrare senza il consenso del proprietario, Vandervaal-. Quindi quello era il nome dell'uomo che pensavo avrei sposato. -E dov'è lui, ora?-. Marven prese le due tazzine vuote e le mise sul vassoio, prima di rispondere -Da qualche parte a fare qualcosa, non gli piace parlare di quello che fa. E ora, se non ti dispiace, porto questo in cucina e poi ti accompagno nella tua camera. Quando la porta che dava sulla cucina si chiuse, mi lasciai andare sulla poltrona e sorrisi, perché finalmente ero libera, davvero. Quando sentii i passi di Marven mi alzai e mi diressi davanti alla porta, in tempo per potermelo trovare davanti. Lo abbracciai, in un momento di gioia e continuai a ringraziarlo finché non abbassò le braccia, che aveva tenuto sospese per la sorpresa e l'imbarazzo, per ricambiare l'abbraccio. Lo strinsi fortissimo e probabilmente non sarei riuscita a lasciarlo andare, perché lui mi aveva salvato la vita. Anzi, lui era la mia nuova vita.

Per arrivare alla mia camera salimmo le scale dell'entrata, per poi percorrere ad un lungo corridoio, con la stessa pavimentazione a scacchi e delle porte di legno, ornate da battenti d'oro. Marven si fermò vicino ad una delle prime porte e mi chiesi a cosa servissero pure le altre. Lui aprì la porta ed entrò, scrutando la stanza, come se non la vedesse da molto tempo e ne sentisse la mancanza. Prima di entrare scrutai il fondo del corridoio, dove si trovava un portone socchiuso più grande, tutto dipinto di vari colori. Cercai di guardare all'interno, ma Marven mi chiamò da dentro la camera. -Spero ti piaccia, un tempo ci vivevo io-. Mi sorrise e in lui notai il bambino che dormiva nelle lenzuola su cui era seduto in quel momento, il bambino che ammirava  stupito il giardino, dall'enorme finestra bianca. -È bellisima-. Ricambiai il sorriso. Il letto era enorme e davanti ad esso si trovava uno specchio alquanto grande, mentre a destra era affiancato da un armadio di legno di betulla. Mi sedetti di fianco a Marven -Ma ora che sono qui, cosa devo fare? Lavorare come cuoca? Perché in cucina sono pessima, mia madre ci ha rinunciato dopo la prima volta. Oppure devo pulire? Non l'ho mai fatto, ma penso si possa imparare in fretta-. Marven fece segno di no con la testa e spostò lo sguardo sul giardino che si intravedeva dalla finestra. -Vorrei che fossero compiti così facili, anche se l'idea di averti come sguattera non mi convince, ma quello che dovrai fare è più pericoloso di quanto tu possa pensare. Faiza, non sai quanto mi dispiace, ma la corte non è facile da gestire e ci mancano i soldi-. Mi si formò un groppo in gola, dovevo vendere il mio corpo? Marven notò il mio sguardo preoccupato e mi strinse una mano -Dovrai rubare-.

Marven era uscito dalla stanza da ormai dieci minuti e io ero rimasta sul letto a pensare, per tutto quel tempo. Non ero riuscita a dire più nulla da quando mi aveva detto che avrei dovuto rubare, per restare alla corte. Così lui era uscito, dicendo che mi avrebbe dato più tempo per pensarci. La mia valigia era per terra, con tutte le mie cose, ma non me la sentii di aprirla e dare spazio ai brutti ricordi, così avevo aperto l'armadio, scegliendo un vestito azzurro. Camminai strisciando i piedi sul pavimento finché non raggiunsi la porta del bagno, poi entrai e girai la manovella della vasca. Pure il bagno era lussuoso, tutto di oro e di marmo, con un profumo che non riuscii a riconoscere. Ero arrabbiata, non con Marven, lui non poteva farci nulla, ma neanche con Vandervaal. Ero arrabbiata con me stessa, per aver creduto che la mia vita sarebbe migliorata. Mi tolsi i vestiti e mi immersi nella vasca, la sabbia e lo sporco che si staccavano dal mio corpo. Presi una spazzola e iniziai a strofinare, finché la pelle non iniziò ad irritarsi, diventando rossa. Poi presi una saponetta e mi riempii di schiuma. Ad un certo punto mi lasciai andare, immergendo tutto il corpo, fino alla testa e rimasi a guardare il soffitto da sott'acqua. Quando iniziò a mancarmi il fiato riaffiorai e uscii dalla vasca. Rubare per vivere. Rifiutare per morire. Forse avrei preferito una vita da nomade, ma se mia madre mi avesse trovato, sarei finita in guai seri. E se mi avesse trovato l'esercito del re, be', in quel caso non sarei durata nemmeno dieci secondi. Dopo essermi asciugata mi infilai il vestito e mi guardai nello specchio. I miei capelli erano finalmente lisci e splendenti, come non li avevo mai visti e la mia pelle era morbida come quella di un bambino. E il vestito azzurro risaltava i miei occhi verdi. Era lungo e largo, come piacevano a me, ma le maniche erano assenti, lasciando le braccia libere per poter compiere i gesti più agilmente. Per rubare con più facilità. Presi il velo verde acqua di mia nonna e me lo legai al polso, come facevo di solito, quando non lo usavo per raccogliere i capelli. Uscii dal bagno e osservai il giardino dalla finestra bianca. Volevo vederlo.

Appena aprii il portone dell'entrata principale il caldo del deserto mi accolse, accarezzandomi il volto e le braccia scoperte. Avevo preso un gioiello dal portagioie sul comodino e lo avevo indossato. Ora l'oro del braccialetto a spirale mi contornava il polso, salendo verso un dito e girando pure intorno a quello, mentre gli anelli della catenina tintinnavano. Vestita in quel modo sembravo una delle ragazze ricche che ogni tanto scrutavo dalla finestra della mia vecchia casa. Presi la strada che aveva percorso Beliorn una volta arrivati alla corte e mi ritrovai davanti alle stalle. Accarezzai l'unico cavallo che le occupava, ossia lo stesso che aveva trainato la carrozza, poi mi diressi verso il giardino sul retro. Oltre la struttura con la cupola, la corte prendeva una forma a ferro di cavallo, al cui centro si estendeva un orto colmo di frutti e verdure di tutti i tipi. Camminai in mezzo a tutte le piante, sfiorando le foglie, assaggiando delizie dolci, aspre e amare. Poi arrivai al laghetto situato alla fine della via che passava in mezzo all'orto. Misi una mano nell'acqua e rabbrividii quando il freddo raggiunse la mia pelle. Mi sedetti sul prato erboso, immergendo i piedi nell'acqua fredda. Sorrisi quando dei pesci dai mille colori mi sfiorarono le gambe e iniziarono a girarci intorno incuriositi. Poi vidi un'ombra enorme che si avvicinava velocemente sott'acqua. Balzai subito in piedi, spaventata, ma poi la cosa uscì dall'acqua e rimasi stupita dalla bellezza dell'animale. Un enorme pesce dai colori sgargianti galleggiava in superficie, scrutandomi con i suoi enormi occhi neri. Mi misi a ridere e lo accarezzai sullo spazio tra i due occhi, rischiando di cadere. Lui sembrò apprezzare e mentre tornava sul fondale del laghetto riuscii a riacquisire l'equilibrio. Quando mi girai notai che non ero l'unica lì davanti al lago. Un fennec osservava l'acqua incresparsi, come stregato da essa. Quando notò che l'avevo visto mi guardò dritto negli occhi. Erano grigi, non neri, come sarebbero stati se fosse stato un fennec normale. Wildsoul. Mi ritrovai  a correre ancora prima di pensarlo, mentre il fennec, e la persona che si celava dietro quella forma, iniziava a scappare. L'erba veniva schiacciata sotto i miei passi, mentre il Wildsoul scappava. Ci avvicinammo alla parte della casa esterna, con un soppalco di legno. Il fennec salì gli scalini, seguito subito dopo da me. Mi lanciai per afferrarlo, ma lui fece un balzo, entrando in un buco nel legno. Imprecai, mentre infilavo una mano all'interno del foro, trovando solo aria. Improvvisamente sentii una voce dietro di me e mi girai di scatto, sfilando improvvisamente il braccio dal buco -Che cosa stai facendo?-. Marven mi porse una mano per farmi alzare, che afferai mentre gli rispondevo -Ho visto un fennec o meglio, un Wildsoul-. Iniziai a sbattere il vestito per togliere tutta la polvere e la sabbia. -Oh, hai incontrato Rapha, è una dei ragazzi. Non li hai ancora conosciuti?-. -Ragazzi? Vuol dire che non sono l'unica ad aver ottenuto questa proposta?- chiesi sconcertata. -Faiza, pure io ho avuto questa proposta e oltre a noi due ce ne sono altri otto-. Improvvisamente mi sentii felice, nel pensare di non essere sola, ma poi ritornai triste, pensando a quello che pure loro avevano passato e a quello che erano costretti a fare per sopravvivere. Quindi Marven non aveva nessuna colpa, se pure lui lavorava per questo Vandervaal. -Potresti portarmi da loro?-. Marven annuì e mi fece segno di seguirlo dentro la casa. Passammo per un corridoio che affiancava la sala della cupola, quindi non riuscii a vederla nemmeno quella volta. Poi ci ritrovammo alla solita entrata, con le solite scale, che salimmo come avevamo fatto un'ora prima, dopo la rivelazione di Marven. In quel momento capii a cosa servissero le altre stanze. Camminai per il corridoio con il cuore che mi martellava nel petto e, quando arrivammo alla porta, che notai essere stata colorata direttamente con le mani, Marven mi strinse la mano e mi disse di non preoccuparmi. Poi abbassò la maniglia e aprì il portone.

OF BLOOD AND SANDDove le storie prendono vita. Scoprilo ora