Capitolo 1 - Serena

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Serena
17 Marzo 2014

Ero seduta dal lato del finestrino, come avevo fatto le altre rare volte che avevo preso l'aereo. Mi affacciavo spesso come se volessi notare chissà quale cambiamento di panorama; la novità stava nello scovare qualche spazio di cielo sgombro dalle nuvole e scoprire con entusiasmo un paesaggio lontano, sfuggente e vario. Eravamo quasi arrivati, il viaggio era stato molto tranquillo e con il cielo che silenziosamente stava diventando terso potevo distinguere già alcune sagome sulla Terra: il verde degli alberi che lasciava spazio agli enormi agglomerati di strade e città, il colore del mare che svaniva dietro di noi confondendosi con l'orizzonte.

"Quella è Milano" disse mio padre facendosi largo tra i miei capelli e il sedile davanti a noi. Con il dito indicava un punto indefinito, ma dovetti insistere per fargli capire che la sua prospettiva era diversa dalla mia.
"Ah, ho capito, va bene" affermai dopo suoi vari tentativi, alla fine di una lunga serie di "no, non hai ragione" e "si che ho ragione" con entrambi i nostri indici puntati verso il cielo. Nel frattempo avevamo messo in allerta l'intero aereo, facendo credere ad alcuni passeggeri più suscettibili di essere dei terroristi con l'unico scopo di voler gettare una bomba proprio al centro di Piazza Duomo.

Ormai eravamo a poche centinaia di metri da terra quando il mio cellulare segnava le 10:36, eravamo in ritardo di sei minuti all'atterraggio. Mio padre era in anticipo di circa un'ora.

Qualche mese prima gli avevano comunicato dell'esistenza di uno di quei tanti corsi di aggiornamento ai quali non aveva mai partecipato. Ce ne erano stati molti, anche più vicini di Milano, ma lui non aveva mai trovato il tempo e la voglia per andarci. Stavolta però, non so perché, era arrivato a casa, la sera, e aveva detto: "oggi a lavoro mi hanno comunicato che ci sarà un corso a Milano, il diciassette Marzo" con tono molto formale.
"Come sempre hai intenzione di non andarci?" disse mia madre, convinta che l'unica ragione per la quale ci avesse informati era quella di non nasconderci nulla del suo lavoro.
E lui rispose: "Sai, forse ci vado stavolta." Senza un motivo valido che confermasse questa sua scelta, forse soltanto perché era invidioso di suoi altri colleghi che non si stancavano mai di viaggiare da una città all'altra con tutta la famiglia dietro. Mancavano due mesi prima della partenza quando iniziai ad estorcergli con favori e gentilezze il mio biglietto per andare con lui. Alla fine la sua coscienza riconobbe la mancanza di un enorme ricambio di cortesie e acconsentì alla mia presenza. Quando mi comunicò la sua decisione ero al settimo cielo, lui pensò di farmi scendere dalle nuvole quando mi disse che avrei dovuto "contribuire alla spesa" ma io non stavo comunque nella pelle.

Alle 10:45 l'aereo era appena atterrato, mio padre chiuse gli occhi per un paio di secondi al momento in cui toccammo terra. Non prendeva l'aereo da tanto tempo ed era un po' nervoso. Io invece ero troppo felice e non vedevo l'ora di visitare il centro e di entrare in una Vera Libreria: nel nostro paesino si poteva sperare di trovare qualche libro solo nelle botteghe alimentari, nel settore "nuovi arrivi".
Dovevamo stare solo un paio di giorni, il tempo del convegno e nient'altro. Ogni mattina mio padre era impegnato dalle 11:30 alle 13:00, poi la pausa pranzo e il pomeriggio dalle 16:00 alle 18:30. Avrebbe avuto poco tempo per girare in città, ma essendo in un palazzo in centro sarebbe venuto a pranzare con me e io l'avrei aspettato per tornare nel nostro albergo.

Avevamo discusso molto su di me e su cosa avrei fatto mentre lui sarebbe stato a lavoro. All'inizio non voleva che stessi tutta sola per le strade movimentate del centro ma poi capì che non sarei potuta rimanere per così tanto tempo in una stanza d'albergo , aspettando impotente di potermi godere la città che altrimenti avrei visto a malapena dalle finestre.

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