Capitolo 3 - Serena

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"Ehi" sentii una voce femminile dietro di me e mi voltai come se fossi in allerta.
"Stai tranquilla, cerchi questo?" chiese in modo retorico alzando la copertina nera del mio quaderno. Sorrise scusandosi per l'attacco di panico che mi aveva provocato e io pensai a quanto fossi sembrata ridicola comportandomi in quel modo. Lei, tranquilla nel modo di atteggiarsi, abbassò lo sguardo e continuò a leggere le prime pagine come se nulla fosse. Si sistemò una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio e con aria di soddisfazione voltò pagina senza distogliere lo sguardo dalla lettura.
Non sapevo più cosa pensare: un'estranea aveva preso di propria iniziativa il mio quaderno e si era comportata come farebbe un lettore interessato con un libro all'interno di una libreria ed io stavo lì, a guardarla, come se da un momento all'altro le avrei chiesto 'lo compra, si o no?'. Poi ritornai in me stessa, particolarmente furiosa.
"Scusa ma... non so chi sei, non ti ho mai vista in vita mia, mi hai quasi fatto morire sul colpo e nessuno ti ha mai dato il permesso di leggere le mie cose! TI DISPIACEREBBE RIDARMI IL QUADERNO?!" credetti di essere stata abbastanza chiara e per qualche attimo mi pentii di aver reagito in modo così impulsivo. Messa in chiaro la mia posizione aspettai che lei eseguisse il mio ordine.
"Hai ragione, devi perdonarmi" disse lei serenamente passandomi il quaderno senza imporsi. Ad essere onesta mi sarei aspettata una sua risposta più irruente ma alla fine accettai anche volentieri il suo pacato modo di fare.

Aveva l'aspetto di una diciottenne, forse ventenne, e sembrava essere del tutto a suo agio con me. Non sapevo se la sua stravaganza fosse volontaria o inconsapevole, ma col dubbio evitai di fare scenate. Era alta quanto me e aveva i capelli tagliati all'altezza delle spalle, lisci e neri come non li avevo mai visti a nessuno. Il mio sguardo teso incontrò i suoi occhi castani e ipnotici: trasmetteva una particolare sensazione di felicità. Non era affatto scossa. Si sistemò un bracciale al polso sinistro e poi allungò la mano verso di me in attesa di una stretta.
"Sono Greta, piacere" sorrise ancora mostrando i suoi denti perfettamente allineati e bianchi come l'avorio.

Per un secondo impercettibile stentai a credere che volesse solo conoscermi, forse si aspetta qualcosa da me, un favore, una piccola cortesia, pensai.

"Serena, piacere" dissi con lieve ottimismo, stringendole la mano in segno di cortesia. Avevo incontrato una ragazza a Milano, apparentemente gentile e in vena di fare nuove conoscenze: cercai di sfruttare la situazione a mio vantaggio, le chiesi di accompagnarmi in un locale nelle vicinanze. Le domandai scusa per il malinteso e parlando scoprii con dolce sollievo che era di quelle parti.

"Ero qui per caso, dovevo incontrare una mia amica poco lontano dal centro ma all'ultimo mi ha detto che non poteva più uscire. Allora mi sono chiesta 'che faccio?'. Ho provato a chiamare Alessandro, il mio fidanzato, ma non ha risposto. Alla fine ho deciso di non sprecare una bella giornata di sole come questa e ho fatto una passeggiata in zona, sembrava la cosa migliore da fare. Prima sono passata in un bar per un caffè, poi sono andata a ritirare un pacco per mio padre e ora mi ritrovo a parlare con te" prima che io potessi esprimermi riguardo alle migliaia di informazioni che mi aveva dato sentimmo un cellulare squillare. La suoneria era diversa dalla mia e sebbene ci fossero migliaia di persone attorno a noi, lei frugò nella sua borsa con la totale sicurezza che fosse il suo: emanava certezza.

"...Ale ora non posso, ne parliamo stasera" disse cercando di non far capire di cosa stessero parlando. "Non posso uscire più, sono a casa ormai, ciao." concluse in fretta, mentendo.
Si scusò per aver interrotto la nostra conversazione e disse, poco convinta, per rassicurare più se stessa che me, che tra lei ed il suo ragazzo non ci fosse alcun problema; io feci finta di essere interessata e sorrisi per consolarla. Evidentemente le piaceva parlare di sé dal momento che continuò senza chiedersi se anche io avessi qualcosa da dire. Dall'altra parte conoscere una nuova persona iniziava a divertirmi e ad incuriosirmi.

"Quindi, dove ero arrivata? Ah si, volevo dire che: frequento un corso da queste parti, un corso di scrittura creativa. Siamo sette, tra ragazzi e ragazze, ma solo uno di noi sembra essere intenzionato a scrivere un libro. La maggior parte di noi ha scelto questo corso semplicemente per migliorare il lessico e il modo di esprimersi, specialmente su carta. Devo ammettere che anche a me piace molto scrivere e cimentarmi con le parole ma non sono mai riuscita a raccontare una vera e propria storia, soltanto qualche poesia o frase messa sù durante periodi di particolare ispirazione" confessò cercando di spiegare al meglio ciò che volesse intendere. "Nelle tue parole invece ho trovato tanta sincerità, una reale voglia di raccontare qualcosa che possa rapire l'interesse degli altri. Potrebbe essere di tua invenzione o semplicemente una storia ispirata a qualche persona, ma la leggo e non posso che chiedermi 'come va a finire?'. Ho iniziato a leggere, per sbaglio, alcune righe che stavi scrivendo mentre ero dietro di te. La mia curiosità aumentava, mi ero già immersa nella storia e quando hai poggiato il tuo quaderno per terra ho deciso, quasi inconsapevolmente, di prenderlo e continuare a leggere. Mi dispiace ancora." Sorrise per confortarmi. Aveva le labbra strette e delle tenere fossette da bambina.
"Grazie, non pensavo che la mia storia fosse scritta tanto bene. Ho impiegato mesi per arrivare a questo punto e mi  è anche capitato di non poter scrivere a lungo, perciò consideravo la possibilità che il tutto potesse risultare sconnesso, capisci?" chiesi sperando che lei non confermasse questa mia teoria.

D'altronde speravo, dentro di me, che prima o poi potesse diventare un Vero Libro: quindi sarebbe dovuto piacere agli altri, oltre che a me.

"Si, capisco cosa intendi, stai tranquilla, penso che non si noterà; sicuramente rileggendola e correggendo qualche parte riuscirai a renderla omogenea, tanto alla fine ciò che conta è la storia e la tua sembra molto interessante" disse sollevando le spalle, con una nonchalance che mi trasmise sicurezza.

Continuai a camminare e mi accorsi di essere sola, lei si era fermata qualche metro prima e guardare un insegna infondo ad una via. La seguii prima che potessi perderla. C'erano molti turisti da quelle parti e pensai che, se anche loro fossero in cerca di un ristorante come me, avevo poche speranze di trovare posti ancora liberi. La strada era delimitata da alcuni palazzi storici; il colore rosso, giallo e azzurro delle pareti mi fece innamorare dell'atmosfera attorno.

Ci avvicinammo al locale che a prima vista sembrava pieno. C'erano alcuni tavoli fuori e sentivo già un forte profumo diffuso proveniente dai piatti.

Il mio occhio venne rapito da una pianta accanto ad un tavolo che saliva lungo il muro, contornava l'insegna con la scritta "Fratelli Savini - Carlo e Giovanni" e scendeva lungo l'altro lato dell'ingresso come per delimitare l'entrata del ristorante.  La rampicante era abbellita da innumerevoli e deliziosi fiori azzurri. All'interno del vaso, interrato, c'era un cartello col nome della pianta, ipomoea, e accanto c'erano alcuni fiori caduti forse per il vento. Ne raccolsi uno, aveva i petali vellutati e una forma allungata, il colore era stupendo. Più che un azzurro sembrava un blu-violaceo che schiariva verso l'interno. Ne presi degli altri sparsi per terra e li infilai in mezzo alle ultime pagine del mio quaderno cercando di non piegarne i petali; speravo che appassendo avessero mantenuto il loro colore vivace.

Mentre chiudevo lo zaino presi il cellulare e guardai l'ora: quasi l'una e un quarto. Mi voltai in cerca di Greta e la notai mentre mi osservava: stava aspettando me. Feci segno di entrare, lei capì. Salimmo i due gradini e ci dirigemmo alla cassa. Ebbi timore di non trovare posto e di dover continuare a cercare altrove. La prima a parlare fu lei, io biascicai soltanto un saluto.
"Un tavolo, per due..." si voltò verso di me per conferma e le feci un tre con la mano.
"Per tre" si corresse.

A quel punto ebbi un'idea: se mio padre poteva invitare a pranzo un suo collega escludendomi definitivamente dalle loro conversazioni di lavoro, perché io non potevo fare lo stesso?

Lei era appoggiata sul bancone, leggermente più alta di me, perfettamente a suo agio. Ogni tanto si voltava verso di me ed io scostavo lo sguardo per timidezza. La sicurezza delle persone colpisce le debolezze degli altri, pensai. Quando ebbi il coraggio le parlai.
"Ehi, Greta, ti va di restare a pranzo con me?"
chiesi velocemente.

Proprio quello fu l'inizio della nostra amicizia e un giorno l'avrei dovuta ringraziare per ciò che mi avrebbe permesso di diventare.

~Spazio autore~
Buon pomeriggio a tutti, vi ringrazio già se siete arrivati fino a questo punto, volevo soltanto dirvi che, sebbene i capitoli di 'Milano' possano sembrare lunghi, sono essenziali per le fasi successive della storia, perciò vi invito a continuare nella lettura. Sono sempre ben accetti sia i commenti che le critiche costruttive. Per ultima cosa ringrazio particolarmente martitirri  per avermi aiutato nella correzione dei capitoli e in quanto mia grande sostenitrice.

PERDERSI #WATTYS2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora