Capitolo 5 - Alberto

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Alberto
8 giugno 2014

La luce del sole filtrava dalle persiane della finestra e sebbene avessi ancora sonno i miei occhi vennero catturati dal movimento irregolare che avevano gli acari della polvere, fluttuanti nell'aria, illuminati dai raggi solari. Rimasi a lungo in uno stato di quiete, sembravo quasi rapito dal mio stesso letto, legato al lenzuolo sotto di me che mi scongiurava di stare con lui.

L'estate al 'Borgo', così come lo chiamavamo noi, era già arrivata da un pezzo con il suo caldo afoso e le fastidiose zanzare al seguito, si era impadronita del nostro piccolo paese trasformandolo nella meta turistica che era solito diventare in questo periodo dell'anno. Molti erano i turisti che invadevano le 'nostre spiagge e che si appropriavano illecitamente della nostra ombra lungo le strade. Sebbene il carattere degli abitanti del Borgo non fosse uno dei migliori in materia di accoglienza verso i forestieri, in estate la diffidenza veniva mitigata e lasciava posto all'orgoglio: il vanto di essere nati nel posto in cui tanti desideravano trascorrere le loro vacanze.

Io e Serena durante le giornate più noiose e monotone ci divertivamo a osservare lo strano comportamento dei nostri vicini. Alla fine della nostra via, nell'ultima casa del quartiere, abitava una coppia di anziani che noi studiavamo con particolare attenzione; nessuno andava più a trovarli da anni, nemmeno i due figli che si erano trasferiti in Inghilterra per trovare lavoro; raramente uscivano di casa, soltanto per fare la spesa o per andare a messa. Erano delle persone molto solitarie, passavano la maggior parte del loro tempo fissando le persone da dietro le tende di casa. A loro sembrava probabilmente di non essere visti in quanto fossero abbastanza sfacciati da osservarci senza neanche battere ciglio, ma invece li vedevamo eccome: la signora Maria dalla cucina lanciava occhiate di disgusto e non distoglieva lo sguardo neanche quando gridava a suo marito per chiamarlo, il signor Dominici invece ci guardava dal salotto con aria stanca e afflitta come se anche lui volesse uscire con noi per non sentire sua moglie lamentarsi e rimproverarlo dei suoi dolori.

Quando noi eravamo piccoli e lui più giovane spesso ci attirava in casa sua con piccoli regali e dolcetti, solo perché noi gli facessimo compagnia; ci faceva giocare nel suo laboratorio con pezzi di legno e attrezzi di lavoro, altre volte ci faceva fare un giro sulla sua carriola.

Col tempo l'abitudine di andare a casa loro si consumò, così come si andò spegnendo l'amore tra i due anziani, in silenzio. Finimmo per salutarlo raramente con un semplice gesto della mano, da lontano e con un piccolo rimpianto del passato.

In paese eravamo circa tremila e ci conoscevamo quasi tutti. Alcune volte poteva sembrare un dettaglio insignificante e persino piacevole ma spesso diventava una condanna. "Tutti sanno tutto di tutti" era la tipica frase che rappresentava la nostra condizione di impotenza: non potevamo fare qualcosa, dire qualcosa e talvolta neanche pensare a qualcosa perché le voci sarebbero girate come un vortice incontrollato pieno di parole; ognuno aggiungeva un dettaglio in più, un particolare raccontato con enfasi, fino a rendere un reale accaduto un racconto tratto da una storia vera e infine un romanzo fantasy. Noi eravamo quasi coraggiosi a camminare disinvolti per le strade, consapevoli che ogni azione compiuta alla luce del sole non aveva segretezza che potesse superare la curiosità dei vicini. La gente lo sapeva già: stazionavamo sul muretto sbrecciato del lungomare oppure appollaiati su una panchina della piazza a guardare la vetrina della bottega cambiare e il portone della chiesa aprirsi e chiudersi dietro le direttive del prete.

Ognuno di noi era già etichettato dalla nascita, soprattutto Serena, con i suoi caratteristici riccioli rossi, diventata ormai lo zimbello del Borgo; da qualche anno ci chiamavano 'piccioncini' perché stavamo sempre assieme, inseparabili, ma a noi non importava nulla, né di ciò che pensava la gente, né dei soprannomi che decidevano di affibbiarci. Avevamo imparato a farcene una ragione, a sopportare ogni stupida diceria.

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