Ho trovato un fascio di lettere in fondo al cassetto della scrivania ... quasi non ricordavo più di averle messe da parte, anzi quando le ho prese in mano mi veniva di sorridere guardando quel sistema di comunicazione obsoleto.
Poi sfogliandole poco...
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Ritornando alla situazione del funesto Venerdì, ci trovavamo chiusi in quella stanzetta e cominciavo a disperare di avere un futuro molto migliore di quello di Gioacchino.
La decina di scalmanati che ci avevano scoperto a spiarli ci indicava come un branco di cani punta la preda. Aspettavamo solo di vederli spuntare alle nostre spalle. Ma Isacco si girò e mi sussurrò con un filo di voce: "La preghiera di Ephrem!" Ora, Ephrem è, o meglio era, un monaco vissuto più o meno nell'anno mille, dedito alla coltivazione nel suo eremo nella campagna tedesca o austriaca.
La cosa importante di Ephrem è che dovrebbe, dico dovrebbe, essere una specie di spirito guida, un cosiddetto angelo custode. Come siamo giunti a questa affermazione non è semplice da dire. È un'idea precisa di Isacco, che lui sostiene suffragata da decine di prove 'inconfutabili' e che ha la sua principale manifestazione in alcuni episodi di scrittura automatica.
Ora la cosa farà anche un po' ridere, per cui evito accuratamente di parlarne con altri, ma così 'inter nos' e in una lettera che può sembrare romanzata, posso evitare di fare il restio: mi raccomando però di non far girare la voce, tienitelo per te. Ecco, mi era capitato casualmente in stati di tensione particolari, come il giorno prima di un esame, che se prendevo una penna e la lasciavo libera di andare su un foglio, si scrivessero da soli versi a volte stupidi, a volte geniali, in perfetto stile tedesco anno mille.
Ma siccome io non ci capisco niente, siamo andati a trovare un certo professore Vecchitomi, docente di Letteratura medievale tedesca o qualcosa di simile. Questo, spinto dalle raccomandazioni di un altro professore amico di Isacco, ha esaminato alcuni scritti e ne ha estrapolati un paio che a suo dire sono la copia perfetta di qualche manoscritto in latino germanico dell'anno mille. Solo che quei versi sono pressoché illeggibili: figurati il latino germanico (più o meno qualcosa come il testo dei Carmina Burana) scritto con la mia calligrafia.
Comunque il buon Ephrem, (a proposito, ciao Ephrem!) ha risolto in un certo periodo di tempo il problema della lingua e senza molti problemi ora scrive (scrivo?) in italiano più o meno corrente. Sì, lo so che tu darai al tutto una spiegazione psicologica, ma sai, Isacco ha una fede incrollabile nella presenza del trascendente fra di noi! Quando abbiamo bisogno di un sospiro di speranza, noi siamo soliti recitarne qualcuna, come questa:
"Io sarò forte con Te anche nella tempesta sarò capace di vincere ogni mia debolezza sarò fedele e senza dubbi anche nella tentazione Non ho peccati nascosti di cui il male si pasce, Ho un'anima pura e innocente che altrimenti potrei perdere, Ho la coscienza pulita senza rimorsi che mi protegge dalla furia del maligno."
Ripetila soffrendo, ripetila più volte che puoi, ripetila finché le parole non scavino un solco nei tuoi pensieri ed essa ti seguirà sempre.
Questa poesia ci salvò dalla furia del maligno quel funesto Venerdì. Salirono, assetati di vendetta, ci trovarono, travolti dalla rabbia, digrignarono i denti, servi del male, poveri mortali travolti da cose più grandi di loro. E fu la nostra preghiera, forse fu Ephrem stesso che ci salvò in quel momento.
Mentre noi eravamo chini presso la grata, loro sorsero dal buco della scala come scarafaggi da uno scarico, come creature dalle bocche dell'inferno, si ersero nel buio della stanza, si aggirarono come lupi in branco, e li sentivamo più che vederli, li temevamo più che guardarli, rabbrividivamo per lo stridore dei denti, le bestemmie urlate e le minacce violente, ma restarono ombre immerse nel buio della stanza, restarono bestie nel folto della foresta, squali sotto il pelo dell'acqua, assassini il cui braccio non uscì mai dalle tenebre.
E poi improvvisamente, da un momento all'altro, girarono sui loro passi e se ne andarono. Avevamo sfiorato la tragedia, ma non smettemmo di recitare gli stessi versi, sempre con più forza, sempre con più concentrazione.
Così per un'ora o due, senza interrompere, incapaci di comprendere la nostra nuova situazione, se finalmente salvi o se nuove vittime di un prossimo sacrificio.
Non posso presumere di essere chiaro a descrivere una notte tragica: Isacco non aveva superato ancora la sua paura di essere la prossima vittima di uno scontro col maligno, che secondo lui si prefigurava ineluttabile e sicuramente funesto. Pregavamo, pregavamo nell'oscurità, sperando forse in una prematura alba, in un sole improvviso. Pregavamo al buio nella stanzetta ritornata silenziosa dopo il trambusto durato pochi minuti. Ma impresso nella nostra memoria con la forza di un evento storico.
Ci sollevammo finalmente, dopo aver accertato in fondo alle nostre anime l'un l'altro che si fosse sicuri del pericolo scampato; l'oscurità della stanza ci apparve ora minacciosa come non mai... stavamo cercando la via del ritorno quando dalla tenebra nacque all'improvviso una nuova oscura macabra figura.
Sorse, come potrebbe sorgere un braccio da acque limacciose di una palude, il suo volto. Scarno e affilato, magra maschera di paura, il volto impassibile e accigliato del Sacerdote del Male! Era rimasto lì nell'ombra, ad aspettare che le nostre preghiere cessassero ed interrompessero lo scudo a nostra protezione.
Mai figura fu più spaventosa di questa: normale il suo viso a prima vista, poi ci accorgemmo che c'era qualcosa che non andava, come nei disegni di volti che non riusciamo a concludere per qualche lieve asimmetria a disturbare la grandezza del disegno divino. La maschera del Sacerdote del Male, il suo volto scarnificato aveva gli occhi troppo lontani l'uno dall'altro e senza orbite, quasi fosse un viso tutto zigomi, pauroso e agghiacciante, sguardo di marmo, tagliente come l'acciaio, sprigionante obbrobrio degno di un adoratore del male.
Nulla disse: alzò un dito magro e noccoluto con una lunga unghia gialla adunca come il becco di un gufo, ad indicare Isacco. Solo un muggito, un brontolio, come un tremore nel ventre ci afferrò: la minaccia era stata scagliata. Non si sentì pronunciare alcun verbo, ma fummo scossi lo stesso e nel volto di Isacco vidi che eravamo diventati bianchi come un cencio.
"Chi guarda il male negli occhi viene sopraffatto, nella mente la visione dell'immondo richiede il suo pedaggio e mai più scorderà che noi, benché mortali, potremmo dover vivere una vita eterna fra gli artigli della bestia."
Questa è la grande ragione per cui l'uomo come ultima frontiera rifiuta di credere nel trascendente, quando vede che la possibilità di perdersi nelle voluttà del male per l'eternità non è solo una minaccia.
Isacco, a tutt'oggi, non ha più ripreso a vivere come prima. Solo nel giorno della grande prova ha ripreso una certa forza e coscienza, ma l'ha subito ripersa il giorno dopo. Immagina di poter guardare per un attimo, solo un attimo, come potrebbe essere la tua vita dopo la morte, in un baratro di male dove non c'è più speranza infine di morire al peccato.
Pensa di vedere le fiamme dell'inferno: la sola possibilità che tu possa andare fra di esse congelerà la tua anima in una morsa di paura, di vero terrore! Non so se riuscirò a finire questa lettera, visto che le condizioni di Isacco peggiorano. Non parla più, mi guarda con occhio perso, solo qualche volta stira le labbra a fare un sorriso.
Specialmente da quando abbiamo affrontato la grande ultima prova che ti vado a narrare.