2»𝐃𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐌𝐞𝐫𝐭𝐞𝐧𝐬

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Era il 24 giugno quando, finalmente, i ragazzi poterono conoscere Dries Mertens.

Basso, come Lorenzo, occhi all'apparenza marroni, cappelli castani, estrema timidezza.

Era il genere di prede che più preferiva il partenopeo.
Che poi era una cosa tristissima, a pensarci bene.
Quanto doveva sentirsi vuoto, Lorenzo?

Certo, non si poteva considerare un tradimento ai due amici, ma spesso è capitato che andasse a letto con altri uomini.
Lui ne era sicuro: Ciro e Marco non erano dei santi, e pure se non lo dicevano, anche loro avevano le proprie scappatelle.

Non era infedele, sua moglie manco la considerava tale, ma quella con i due ragazzi non era una relazione, come aveva tenuto a specificare più volte Marco.
Forse Ciro era un po' più attaccato a questa cosa, perché la vedeva come un punto di riferimento.

Lorenza lo osservava guardarsi in giro confuso, o meglio, spaesato, e questo atteggiamento da cucciolo smarrito gli fece smuovere qualcosa dentro.

E non era mai successo.

Lui non si innamorava, mai.
Preferiva le avventure da una notte e via ad una relazione seria e duratura.
Anche perché quell'atteggiamento all'apparenza disinteressato e menefreghista nascondeva la paura di scottarsi, di starci male.
Agli occhi degli altri poteva non essere così, ma in fondo era umano pure lui.

Però, quel piccoletto, aveva qualcosa che l'aveva attratto fortemente.
E non sapeva cosa fosse.

Dries Mertens, invece, era troppo spaventato per riuscire a pensare a qualcosa di sensato.

Di lui si poteva dire che aveva sempre amato la sua ragazza, quasi moglie, e non aveva intenzione di lasciarla.
Era troppo legato a lei.

Un punto a sfavore per Lorenzo.
Ma riusciva sempre nei suoi intenti.
Voleva qualcuno? Poco dopo era ai suoi piedi.
Merito del suo fascino.

Contava anche l'estetica, si, però c'era qualcos'altro.
Forse i tatuaggi, il finto menefreghismo, l'aria da cattivo ragazzo.
Attirava proprio.
E nessuno aveva modo di sfuggire dalle sue grinfie.

Cominciarono tutti a presentarsi, e fecero delle battute per farlo ambientare.

«Lorenzo Insigne, piacere» non aveva minimamente pensato al fatto che non sapesse parlare italiano, né che lo comprendesse, infatti Dries fece una faccia strana.
Un welcome lo potevo dire, forse, pensò Lorenzo, ma non gli importò più di tanto.

Se prima il ragazzo si era sentito un po' più sicuro, in quel momento era spaventato più di prima.

Non aveva certo paura che lo mangiasse, l'unica cosa che temeva era fare una figuraccia, non sapendo capirlo.
Stette zitto, alzò le spalle, e gli porse la mano.

«Dries Mertens» aveva una voce buffa, fu il pensiero di Lorenzo.
La stretta, a differenza di quel che mostravano gli occhi e il suo atteggiamento, era forte e sicura.

Profumava di buono.
Non sapeva di preciso che marca fosse, ma gli piaceva.
E avrebbe voluto sentirlo direttamente sul suo collo.

Ma doveva portare pazienza.
Si vedeva che non era un tipo facilmente condizionabile.
E aveva tutta l'aria di un ragazzetto ingenuo, o che fa finta di esserlo.


«Ti va di fare un giro per Napoli?» gli chiese il capitano, Marek Hamsik, mentre stavano uscendo dal centro sportivo.
Essendo proprio il capitano, si prendeva sempre la responsabilità dei nuovi acquisti, portandoli come prima cosa a visitare la città.
Era una sorta di rito, che faceva sempre piacere a chi non aveva mai visto Napoli.
Perché poi se ne innamoravano.
Al belga si illuminò lo sguardo.

«Si, grazie» lo slovacco sorrise, e gli diede appuntamento davanti a Castel Volturno per le quattro di quel pomeriggio.

Arrivato a casa, si fece una doccia veloce, e pensò a molte cose.
Una di queste, era proprio Lorenzo Insigne.
Aveva notato che lo osservava spesso, ma allo stesso tempo era distaccato.
Proprio come se volesse studiarlo.
Sperò fosse solo diffidenza e di non aver dato una brutta impressione, perché non voleva assolutamente problemi nella squadra.

Il suo modo di fare, comunque, l'aveva incantato, così sicuro di sé, forse un po' spavaldo.
Si poteva dire fosse quasi invidia, eppure non era sicuro.
Insomma, a lui bastavano due settimane per diventare la persona più spigliata di questo mondo.
Eppure c'era qualcosa, qualcosa che non riusciva a capire.
O che non voleva capire.

Scosse la testa.
Lui amava la sua ragazza.
Non l'ha tradita negli anni e sicuramente non l'avrebbe fatto in quel momento, non per un uomo, che a malapena conosceva.

Quando arrivò al centro sportivo, il capitano non era ancora arrivato.
Pochi secondi dopo, però, una macchina affiancò la sua.
E non era quella di Marek.

Dal veicolo uscì Insigne, che gli fece cenno di fare lo stesso.

«Marekiaro ha avuto da fare con la moglie, ci sono io a farti da cicerone» non aveva capito niente, ma qualunque cosa avesse detto, era sicuro che Hamsik avesse avuto un imprevisto.
Come la mattina, annuì e basta, accomodandosi sul sedile del passeggero nella macchina del napoletano.
Il profumo nell'abitacolo era lo stesso che aveva addosso il partenopeo: forte.
Non c'era niente di delicato o dolce, ma nemmeno così aspro da far storcere il naso.

Lorenzo portò il belga a vedere tutti i posti più belli, dal Castel Dell'Ovo al Maschio Angioino, fino al lungomare.
Quello non poteva mancare.
Comprarono anche il gelato, in una delle più buone gelaterie di Napoli, e non poterono mancare i dolci.
Sfogliatelle e babà.
Il mister non sarebbe mai venuto a sapere di quello sgarro.

Sgarro che era il Paradiso, per il palato di Dries.
Mai come in quel momento fu grato di non aver dato retta a tutte le voci che parlavano solo di una parte della città partenopea, di aver capito che c'era di più.

Una volta che il nuovo compagno scese dalla macchina, Lorenzo partì a tutta velocità verso casa.
Voleva solo buttarsi nel letto e non svegliarsi più.

Era stanco, ma si sentiva anche molto strano.
Non aveva mai avuto la voglia irrefrenabile di portarsi a letto qualcuno.
Non era mai un bisogno così impellente, piuttosto un istinto o quella scarica di adrenalina di sapere di star facendo qualcosa di convenzionalmente sbagliato.

Dries sentiva continuamente lo sguardo di Lorenzo su di sé, ancora, come se lo stesse studiando.
Aveva capito che non si trattava semplicemente di inquadrare l'appena arrivato compagno di squadra.

Si sentiva la preda nel mirino di un cacciatore.

Amor Omnia Vincit «Mertigne»Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora