【𝟶𝟸】

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ᴛʜᴇ ᴅᴇᴀʟ

Stava correndo inutilmente e lo sapeva; nulla lo avrebbe salvato da un clamoroso, imperdonabile ritardo. Il corridoio deserto sembrava allungarsi inesorabilmente a un ritmo superiore a quello dei suoi passi, come a volergli fare dispetto.

Quella mattina niente stava andando per il verso giusto: la sveglia non era suonata, aveva dovuto prepararsi la colazione da solo (i due piccioncini non si erano degnati nemmeno di scendere in cucina a preparare qualcosa, troppo intenti ad amoreggiare, probabilmente), infine era stato costretto a reinventare all'ultimo minuto il suo outfit perché in qualche modo era riuscito a macchiare la maglietta che aveva deciso di mettere con il mascara.

Meglio che lo lasciassero in pace perché sentiva che avrebbe potuto sbranare chiunque gli fosse capitato a tiro.

Entrò in classe dritto come un proiettile e inchiodò appena in tempo per non collidere con la Baumann, la sua professoressa di matematica, la quale si girò a fissarlo dall'alto in basso con quello sguardo arcigno che era il suo marchio di fabbrica. «Trumper, sei in ritardo» lo riprese con tono solenne.

Bill pensò che se non si fosse tolta di mezzo da sola gli avrebbe marciato addosso. «Sì, mi scusi professoressa, non succederà più» farfugliò senza neanche provare a metterci della convinzione. A lei comunque sembrò bastare perché smise di considerarlo.

Mentre era impegnata a mantenere la sua reputazione da stronza cosmica sbraitando a caso contro la classe che chiacchierava, lui ne approfittò per lanciare uno sguardo all'orologio appeso al muro. Che strega, erano solo le otto e trentacinque! Non aveva neanche dieci minuti di ritardo. Ingaggiare liti con gli insegnati però non era nel suo stile, così attese pazientemente la fine della ramanzina e filò docile al suo posto, accanto ad Andreas.

La Baumann, meglio conosciuta come "La Giraffa" a causa del suo collo lungo e rugoso, gli rivolse un'ultima occhiata severa prima di concentrarsi sulla lavagna, dove aveva già iniziato a scrivere qualcosa.

Quando quegli occhietti accusatori non furono più su di lui, Bill sospirò di sollievo e si lasciò andare contro lo schienale della sedia, godendosi il primo momento di riposo da quando aveva messo piede fuori dal letto. Si accorse solo allora che Andreas  lo stava fissando. Aspettò che l'amico facesse una battuta su quanto la Giraffa fosse una gran stronza o sul suo collo più rattrappito del solito, ma quando questa non arrivò si decise a voltarsi, scontrandosi inaspettatamente con un muso lungo.

«Che c'è? Oggi è la giornata "tutti contro Bill" e nessuno me l'ha detto?»

«Ieri invece era la giornata contro l'utilizzo del telefono?»

Bill, confuso, inarcò un sopracciglio e Andreas alzò gli occhi al soffitto, già sapendo che, nonostante stesse per rimproverarlo, lo avrebbe perdonato nel giro di poco. «Ti ho chiamato. E ti ho lasciato anche dei messaggi», spiegò.

«Aaah» esclamò Bill, ricordandosi solo allora della sua chiamata.

"Ma quanto rompe? ", aveva pensato, appuntandosi mentalmente di chiamarlo dopo. Con tutto quello che era successo non si meravigliava di averlo dimenticato. Ma questo non poteva dirlo. Sapeva quanto Andreas potesse essere permaloso quando ci si metteva e non ci teneva a sopportare uno dei suoi piagnistei; erano anche peggio delle chiacchiere a ruota libera.

Decise perciò di rimanere sul vago. «Dovevi dirmi qualcosa di importante?», domandò, munendosi di penna e quaderno.

L'altro lo imitò. «No. In realtà volevo solo chiederti cosa avevi.»

«Andreas...»

«Però se non ti va di parlarne non fa niente», mise subito le mani avanti lui, anche se era evidente che fosse il contrario. «Avrei potuto capirlo, non c'era bisogno di evitarmi per tutto il giorno», aggiunse infatti, sempre più imbronciato.

WRONG FOR YOUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora