【𝟶𝟻】

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ᴜɴᴍᴇɴᴛɪᴏɴᴀʙʟᴇ
ᴅᴏᴜʙᴛs

Alcune volte, per un'astronomica concatenazione di circostanze, ci capita di dire o fare cose inspiegabili e del tutto incoerenti, di vivere dei momenti in cui l'irrazionalità prende il sopravvento e le cose sfuggono al nostro controllo; dei momenti così intensi da essere sbagliati, ma fragili quanto bolle di sapone. Bill non ci aveva messo molto a capire che quella sera di Halloween rientrava in questa categoria. Il sole era sorto, uccidendo la luna e tutte le stelle, la febbre era passata e tutto era tornato come prima. Se non peggio. Sta volta però non era arrabbiato con Tom (sapeva bene che fosse un buzzurro), ma con se stesso; perché una piccola parte di lui, una piccolissima parte infima, traditrice e masochista aveva seriamente creduto che potesse cambiare qualcosa tra loro! Non pretendeva di diventare suo amico, per carità, non lo voleva neanche; eppure non riusciva a rassegnarsi a tornare al loro rapporto di prima, qualunque esso fosse. Che voleva, dunque? Non ne aveva idea, quello era il punto. Soltanto che... le sue attenzioni gli avevano fatto piacere, lo avevano fatto sentire a casa. Non gli sarebbe dispiaciuto riceverne delle altre, anche se, ogni volta che si fermava sul serio a pensarci, gli veniva la pelle d'oca.

Il modo in cui si era preso cura di lui, con calma e pazienza, gli aveva fatto credere che quello slancio di premurosità non fosse stato solo un dovere dettato dalla pietà, ma un gesto voluto. Del resto, Tom faceva sempre quello che voleva, quindi ora davvero non capiva perché si stesse comportando di nuovo da stronzo cosmico, quasi volesse fargli scordare al più presto quella breve parentesi di gentilezza con una doppia dose di malvagità. Erano giorni che si arrovellava il cervello senza trovare una soluzione. Maledetto idiota.

Mandò giù l'ennesimo boccone di uova fritte. Si stava ingozzando senza ritegno, ma non poteva biasimarsi; aveva troppe cose per la testa e c'era un unico modo che funzionasse per sfogarsi: mangiare. Senza contare che quella era la prima colazione decente da un po' di tempo, precisamente da quando sua madre aveva deciso di "rotolarsi" sul letto tutte le mattine insieme al suo toy boy invece di scendere in cucina a preparare qualcosa a suo figlio. Ormai erano settimane che andava avanti a pane, burro e marmellata.

E adesso eccola lì, già vestita di tutto punto, come un miraggio. Si era disabituato a vederla così pimpante di prima mattina, anche se quella infondo era ordinaria amministrazione; Simone era sempre stata un'allodola e lui, un gufo senza speranza, l'aveva sempre invidiata per questo. In quel momento avrebbe venduto un rene per avere metà della sua energia; si sentiva già pronto per tornare a letto e non erano neanche le otto di mattina.

Si accorse solo allora, guardandola, di una novità, un dettaglio, che gli sarebbe balzato subito all'occhio in qualunque altro momento della giornata.

Simone era la classica donna acqua e sapone — un cliché vivente — e se proprio doveva mettersi qualcosa in faccia si faceva prestare l'occorrente da lui. Perciò si sorprese non poco nel vedere l'ombretto lilla che abbelliva i suoi occhi e quel velo di lucidalabbra, lo stesso che indossavano le sue compagne di scuola. Stava per dirle qualcosa del tipo: "Sei impazzita?", oppure, "Dove hai trovato quell'ombretto orrendo?", ma poi il suo cervellino ancora mezzo addormentato ci arrivò. Il comune denominatore di tutto non poteva essere altri che...

Tom. Che nome irritante.

Arricciò il naso mentre nella sua testa riprendeva vita contro la sua volontà una certa scena di non molto tempo prima: sua madre, seduta sulle gambe di Tom, ridacchiava come una beota mentre lui le baciava il collo e le sussurrava sconcezze che per fortuna non era riuscito a cogliere, ripetendole infine quant'era bella al naturale, ma quanto lo sarebbe stata ancor di più con un po' di trucco. Non sei curiosa? Tanto per cambiare. Non era rimasto abbastanza a lungo da sentire la risposta, ma adesso sapeva com'era andata.

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