【𝟶𝟺】

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ᴛʜᴇ ᴋɪɴᴅɴᴇss
ʏᴏᴜ ᴅɪᴅɴ'ᴛ ᴇxᴘᴇᴄᴛ

Il mistero venne presto svelato; Tom varcò la soglia dell'aula con la sua solita aria insolente, le mani affondate nelle tasche di un enorme paio di jeans scuri.

Dopo un attimo di sbigottito silenzio, si sollevò un brusio generale, soprattutto da parte delle ragazze. Bill non si unì al coro, troppo impegnato ad annaspare dallo shock. Quella che si presentava dinnanzi a lui era un'immagine surreale: Tom torreggiava su di loro, le gambe appena divaricate e i piedi ben piantati a terra; ed era certo che neanche un tornado lo avrebbe smosso da lì se non lo avesse deciso. Il riverbero dei neon privava la sua pelle di quella leggera abbronzatura naturale e la rendeva più chiara, quasi pallida, aliena. E un alieno lo sembrava davvero, in quel contesto, Tom, catalizzando tutta l'attenzione su di sé con prepotenza.

La Sauer ebbe qualche momento di legittima esitazione, ma si alzò in piedi per stringere la mano al ragazzo, che ricambiò velocemente quel gesto di cortesia, per poi nasconderla nuovamente nella tasca.

«Salve, lei è... il cugino di Bill?»

«Sì», confermò lui, senza la minima insicurezza, per poi aprirsi in un sorriso ruffiano. «La prego, mi dia del tu.»

La professoressa ricambiò il sorriso, un po' spiazzata, acconsentendo alla richiesta del giovane. Colse l'occasione per ispezionarlo da quella breve distanza e il suo occhio esperto notò che il suo viso, così come il suo corpo, era perfettamente proporzionato, come se fosse stato scolpito dalle abili mani di Michelangelo. Tuttavia, la sua non era una bellezza classica, era contaminata da un vago retrogusto orientale, che la portò ad immaginare terre misteriose ed esotiche.

Rimase in contemplazione ancora un altro istante, infine dovette ricordarsi di Bill Trumper che giaceva moribondo in fondo alla classe, perché lo indicò con espressione preoccupata.

«Ha iniziato a sentirsi male alla fine della terza ora» spiegò.

Solo allora Tom indirizzò il suo sguardo su di lui, lanciandogli un'occhiata enigmatica. «Ah sì?»

«Forse è meglio che lo aiuti ad alzarsi», intervenne lei, visto che Bill non dava segni di vita. Si limitava a fissare Tom, e lui lo fissava di rimando.

Non sta succedendo per davvero.

Tom non gli concesse altro tempo per realizzare. Senza staccare gli occhi dai suoi, si fece strada verso il suo banco, mentre tutti si giravano a guardarlo come se fosse stato una rockstar. Si fermò di fronte a lui, immobile - Bill si chiese cosa sperasse di leggergli nelle iridi da guardarlo con quella intensità - ma poi si chinò a terra, interrompendo quel contatto rovente così d'improvviso da fargli dubitare che fosse mai avvenuto o non fosse stata la sua testa deviata ad aver ingigantito il tutto.

Lo vide tirare a sé il suo zaino, dove iniziò a mettere alla rinfusa quaderni, libri e penne. Fu a quel punto che sentì un altro sguardo bruciare su di lui: quello di Andreas.

Fece finta di niente. Non aveva la forza per affrontare anche quello.

Il rumore della cerniera che si chiudeva con un unico scatto echeggiò per la classe ammutolita. Mentre Tom si metteva lo zaino in spalla, totalmente indifferente a tutto ciò che gli stava intorno, Bill scattò in piedi, con la fretta di andarsene che gli bruciava nei muscoli come acido lattico. Quel movimento brusco non fu esattamente la sua mossa migliore. La testa divenne pesante, poi sgradevolmente leggera, come se l'avessero svuotata del suo contenuto, infine la vista si macchiò di centinaia di puntini violacei. Avvertì le gambe cedere sotto il suo peso, come quelle di un agnellino non ancora svezzato, e si preparò al duro impatto con il pavimento.

WRONG FOR YOUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora