Capitolo VII

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Sakura

Tutti siamo convinti di voler sapere con anticipo cosa accadrà nel futuro, fiduciosi nella nostra capacità di modificare gli eventi.

Io no, o almeno, non desideravo più poter prevedere gli eventi futuri, perché non si può imbrogliare il fato, non si può sfuggire in eterno alla sorte che inconsapevolmente ci siamo scelti.

Madara mi aveva convocata.

Sapevo già cosa sarebbe accaduto, ma non sapevo come comportarmi: non ero Sasuke, non avevo la sua freddezza e scaltrezza.

Non appena varcai la soglia di un'enorme stanza, venni subito pietrificata da un occhio rosso come il sangue: uno sharingan.

Iniziai a sudare freddo, memore del potere di quegli occhi, della spietatezza che sapevano infliggere.

Istintivamente feci un passo indietro.

«Scappi, Sasuke? Devo dedurre che tu sappia il motivo per il quale ti ho convocato?», mi interpellò una voce profonda.

Mi si bloccò il respiro in gola: come avrebbe risposto Sasuke?

Avanzai di un passo, cercando di mantenere alta la testa ed esporre il mio sguardo a quello sharingan malefico, poi presi un profondo respiro e...

«Di cosa blateri? Dimmi il motivo di questa chiamata, ho cose molto più importanti a cui badare che stare qui con te a giocare agli indovinelli».

Mi rispose un silenzio carico di tensione.

Forse avevo osato un po' troppo.

«Ah, l'orgoglio di noi Uchiha è proprio senza limiti, e tu, Sasuke, ne sei la massima espressione. Non sfidare troppo la sorte, sai benissimo perché sei qui. Mi avevi promesso l'ottocode, e mi hai portato solo un tentacolo».

Stetti in silenzio, troppo spiazzata per poter prontamente rispondere.

Madra mi si avvicinò, lentamente, passo dopo passo, come un leone che fiuta la paura della sua preda e la mette spalle al muro.

«Portamelo qui, tutto intero», mi sibilò all'orecchio poggiandomi una mano sulla spalla.

Mi scrollai quella mano cercando di reprimere un brivido di terrore e uscii da quel covo.

Non appena i miei occhi videro il cielo stellato lasciai uscire il fiato fino ad allora trattenuto.

«Sasuke, tutto okay?», mi chiese la rossa che stava sempre appiccicata a Sasuke, Karin.

«Sì, ho solo bisogno di stare un po' per i fatti miei», le disse troppo diplomaticamente, infatti i suoi occhi si spalancarono per lo stupore dinanzi a tanta gratuita cortesia da parte di Sasuke.

Sasuke, chissà cosa stava combinando. Probabilmente stava cercando di distruggere il mio corpo per riappropriarsi del suo.

Mi sdraiai sotto quel cielo pieno di stelle e, come ogni qual volta che cercavo di prender sonno all'aperto, iniziai a contarle. Quando non riuscii più a tenere in mente il conto, mi sopraggiunse un'illuminazione: quello non era il reale Madara, era Obito! Dovevo almeno cercare di sventare quell'orribile guerra che ne sarebbe conseguita.

Questa volta potevo sacrificare la mia vita per la pace.

Mi alzai, e dopo aver lanciato un'ultima occhiata al cielo, rientrai dentro alla ricerca di Karin, convinta che avrebbe assecondato ogni follia di Sasuke in nome del suo amore.

Sasuke

Mi trovavo nel mio corpo, sdraiato su un folto prato primaverile, sotto un cielo cosparso di stelle. La brezza frizzantina, tipica delle sere primaverili, mi riempiva il naso del delicato profumo di fiori.

運命の赤い糸 Unmei no akai ito: il filo rosso del destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora