Yandere mode

157 11 3
                                    

La mia infanzia all'inizio non era stata così disastrosa. Mio padre e mia madre mi volevano bene, desideravano il meglio per me, erano innamorati...almeno così credevo.
Mio padre forse non era cosi tanto innamorato di mia madre, magari non la amava più, ma non sono qua per trovare scusanti e di certo non sono la persona migliore per giudicare le azioni di quell'uomo. 

Iniziò tutto il giorno in cui tornando a casa notai che c'era un insolito silenzio quasi inquietante.
<<M-mamma? Papà?>> chiamai ma nessuno rispose. Salì le scale lentamente leggermente impaurita, non potevano essere usciti la macchina era qui dovevano essere per forza in casa. Feci un giro per le stanze fino ad arrivare allo studio di papà. Mi guardai in giro sicura che non ci fosse nessuno, a papa non piaceva quando entravo senza permesso nel suo studio.
Delle macchie rosso sangue sporcavano il pavimento all'entrata. Alzai lo sguardo di poco e vidi macchie sempre più grandi finché un cadavere steso a terra entrò nel mio campo visivo.

<<I-io dovevo...d-dovevo...>> mia madre era coperta di sangue sui vestiti e aveva qualche macchia in viso. Si osservava le mani, anche esse insanguinate, con un espressione terrorizzata che mutò fin quando un sorriso sadico non nacque sul suo volto <<Io dovevo eliminare il problema, capisci?>> punta il suo sguardo su di me <<Lui stava con un altra puttana..g-gli avevo detto che sarebbe finita male...>> iniziò a ridere in modo malsano <<E...>> di nuovo quel sorriso macabro in volto <<Ora tutti e due bruceranno all'inferno per sempre>> scoppiò definitivamente in una sadica risata che metteva i brividi, non sapevo cosa fare immobile ad osservare quella stanza.  Avevo sette anni e la donna che mi aveva messa al mondo era una psicopatica. Quella fu l'ascesa alla mia carriera da Yandere.

Da quel giorno mia madre divenne ossessiva. Desiderava che io fossi una delle migliori, che io non mi facessi abbindolare come, a detta sua, aveva fatto mio padre con lei. Non uscivo mai. Stavo sempre a casa a studiare e studiare e studiare. Ripetevo e scrivevo, leggevo e ascoltavo.
<<Devi eliminare il problema>> mi diceva <<Devi eliminarlo prima che lui elimini te>>...ed aveva ragione.

Dovevo eliminare il problema e quello era mia madre: dovevo eliminare mia madre.
Gli avrei fatto solo un favore così, oramai non ci stava più con la testa. A volte la vedevo che entrava nello studio di papà e stava lì per ore a far chissà cosa per poi tornare sempre di buon umore. Non ci si poteva più fidare di lei, era instabile. Accadeva che divenisse felice, quando pochi secondi prima stava piangendo,con la velocità di un razzo.

Non ci misi molto ad organizzarmi, dopotutto eravamo solo io e lei. Non c'erano nè amici nè vicini nè altri familiari. Nessuno l'avrebbe cercata ma avrebbe solamente cessato di esistere.
Stava sorridendo quando l'avevo accoltellata, voleva che si ricordasse di me come una brava figlia. Il sangue mi macchiò i vestiti e dovetti bruciarli, l'arma anche essa con loro, pulì tutto e continuai la mia vita come se nulla fosse. Avevo undici anni e avevo ucciso mia madre.

Passati diversi anni, finite l'elementare e le medie, decisi di trasferirmi lontano dal mio paese natale ed andai in una di quelle città né troppo piccole né troppo grandi.
Comprai un appartamento e mi iscrissi a scuola lì dicendo che i miei vivevano fuori città per lavoro. 

Speravo di poter ricominciare una nuova vita. Una vita felice, spensierata lasciandomi alle spalle tutta la mia infanzia.
Ma a quanto pare a volte le persone ti possono stupire.

Passavo il mio tempo seduta nel mio banco da sola osservando la finestra. Nessuno mi parlava, nessuno provava solo a fare amicizia con me. Io ero quella nuova, quella strana, quella da targhettare. Ogni volta che alzavo gli occhi li sentivo. Le loro voci. Le voci delle ragazze che guardandomi dicevano <<Oh ma l'avete vista quella? Cosa fa la notte se ha quelle occhiaie?>> oppure i ragazzi che parlavano tra di loro non preoccupandosi se li sentissi o no dicevano <<Come ve ne pare della nuova arrivata? Non trovate sia strana? Sempre cosi sola, non parla mai con nessuno sembra abbia qualche malattia strana>>. Li odiavo. Li odiavo tutti dal primo all'ultimo e desideravo con tutto il cuore che morissero, sperando di poter essere io stessa la causa della loro morta lenta e dolorosa.

Io desideravo solo essere accettata, desideravo solo avere una vita felice...non ne avevo forse il permesso?
Un giorno caddi nel fango e un gruppo della classe accanto iniziò a deridermi ero al limite e se si fossero avvicinati sarebbero stati decapitati ma proprio nel momento in cui stavo per scoppiare un ragazzo, bellissimo dai capelli corti e scuri come i suoi occhi, magro che portava l'uniforme della mia scuola e la carpetta si avvicinò.
Mi difese, il primo ragazzo che mi trattava gentilmente. Lui mi sorrise, mi aiutò ad alzarmi, in realtà non so cosa mi disse esattamente ero incantata ad osservargli il viso dai lineamenti perfetti. 

Quel ragazzo mi aveva stregata. Lo chiamavano Senpai a causa della sua indole matura e responsabile. Avevo bisogno di sapere tutto su di lui, lo stolkeravo sui social e lo seguivo in strada finché non entrava in casa. Se gli cadeva qualcosa come una matita mordicchiata, una mela o qualcos'altro, la mettevo nel mio piccolo santuario del Senpai.
Non avevo più bisogno di nessuno, il mio responsabile, perfetto, buono, maturo Senpai era tutto ciò che volevo. L'unica cosa che volevo e che, sicuramente, non mi sarei fatto togliere.

Ogni tanto due o tre ragazze si avvicinavano al Senpai ma subito dopo scomparivano dalla circolazione. Le uccidevo a sangue freddo perché nessuno poteva toccare il MIO Senpai.
E sicuramente questa tattica funzionò perché dopo un po iniziò a notarmi. Mi parlava sempre gentilmente. Mi aiutava ed io, ovviamente, aiutavo lui.
Se fossimo continuati così sarebbe andata bene per sempre.

Ma lui non era dello stesso avviso perché poco dopo si innamorò di una sporca e lurida puttana impaziente di mettere le sue sporche mani in quello che era il mio perfetto e dolce Senpai.
Sapevo che si sarebbero incontrati nel pomeriggio così mi feci trovare lì. Con uno slancio colpì alla gola la ragazza uccidendola, il Senpai mi guardò scioccato <<Non ti piaccio così? Sono troppo coperta? Di cosa hai bisogno?>> io volevo solo che il mio Senpai fosse a suo agio, l'unica persona perfetta sulla faccia di quella schifosissima terra era lui.

Lui indietreggiava, mi guardava deluso. Lui non mi amava io non potevo sopportarlo, capite?
IO NON POTEVO SOPPORTARLO.
Per sbaglio lo colpì con il coltello e mettendomi a cavalcioni sopra di lui dissi <<Se non ti posso avere io non ti avrà nessuno>> e lo colpì dritto al cuore uccidendolo.

Scoppiai a piangere e a ridere sadicamente allo stesso tempo. Il mio Senpai era morto. Io avevo ucciso il Senpai. Non potevo sopportare che l'unico uomo che avrei mai amato era morto. L'unica cosa da fare era raggiungerlo. Ridendo istericamente mentre grosse lacrime mi bagnavano il viso puntai il coltello su di me e misi fine alle mie sofferenze cadendo in una pozza di sangue con il mio Senpai e la puttana. Avevo diciassette anni ed avevo ucciso due persone. Avevo diciassette anni ed ero morta.

//One-shots//Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora