Conoscevo un ragazzo, non vi dirò il suo nome; lo conoscevo da molto tempo, meglio di chiunque altro.
Le cose un giorno cambiarono: ora non è più quello di prima, non so più chi sia, non lo riconosco più: se prima si distingueva tra la massa, ora sembra uno fra tanti; se prima era sincero, ora non si sa quando stia mentendo; se prima parlava con qualcuno, ora sembra sempre diffidente; se prima i suoi sorrisi erano veri, ora porta sempre una maschera. Quella maledetta maschera.
Mi accorsi di questo suo cambiamento non molto tempo fa, quando cominciò a sgretolarsi lentamente, sotto gli occhi per niente attenti della gente che lo circondava; fu in quel momento che decise di prendere la maschera e posarsela davanti al viso, pensando che, un giorno, le crepe sarebbero diminuite o, meglio, guarite, ma non fu così: no, le crepe aumentarono insieme alle maschere, di ogni genere ed emozione e, piano piano, queste si trasformarono in una vera e propria armatura, un'armatura che nessuno sarebbe riuscito a togliergli perché nessuno riusciva a vederla, perché nessuno voleva vederla.
Agli occhi della gente lui era rimasto il dolce e innocente bambino che andava bene a scuola e sorrideva quando c'era da sorridere e piangeva quando c'era da piangere. Ora, lui, piange, sempre, ma nessuno può vederlo: piange dentro l'armatura che si è costruito e piange dietro la maschera che si è creato.
Nessuno meglio di me lo conosceva, ma ora mi è estraneo.
Un giorno fui felice di notare che la sua armatura si stava via via sgretolando, così come la sua maschera, non mi accorsi, però, che appese alla parete ce n'erano altre mille ad attenderlo: tutte sorridenti, tutte felici, tutte finte. Poi, purtroppo, quell'inevitabile momento arrivò: i demoni lo stavano perseguitando, giorno dopo giorno, notte dopo notte, impedendogli di mangiare e perfino di dormire, rendendolo sempre più fragile; decise così di riprendere la sua armatura e la sua maschera: stava diventando man mano sempre più scuro, divorato dai demoni e dalle tenebre, e sembrava che solamente quella maschera che ormai era diventata un tutt'uno con il suo viso potesse salvarla. Tuttavia se la maschera diventava un tutt'uno con il viso, lui diveniva sempre più un essere senza volto, una forma di vita senza emozioni, man mano sempre più invisibile agli occhi degli altri ma sempre più scura ai miei.
Tutti vedevano cosa stava succedendo, ma nessuno guardava realmente, ignari del dolore e della sofferenza che quei demoni portavano il ragazzo, lentamente, fino alla fine; e la fine arrivò: l'unico giorno dopo tanto tempo in cui io l'abbia visto sorridere veramente, senza maschera, senza armatura; un sorriso di sollievo, quasi come se si fosse tolto un grosso peso di dosso.
Tutti quel giorno piansero, come se gli fosse importato veramente qualcosa di lui, ma non era così, io sapevo che non lo era: se gli avessero voluto veramente bene si sarebbero accorti di tutto da principio.
L'unico che non pianse fui io perché sapevo come lui stesse bene in quel momento, come lui avesse sofferto e come fosse sollevato nel provare solamente una sensazione di pace; lo sapevo perché quel ragazzo ero io.