L'adolescenza

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"Samy! Samy!" urlò Sally dalla cucina "la cena è pronta!"
Samanta era stata chiusa nella sua stanza per tutto il pomeriggio. Non voleva lasciare il suo rifugio, per nessuna ragione. Fuori si sarebbe sentita oppressa: la madre le stava sempre col fiato sul collo e il padre non l'appoggiava mai.
"Non mi va, non ho fame." rispose con un filo di voce.
"Sei chiusa lì dentro da troppo tempo, dovrai uscire prima o poi e domani comincia la scuola, dovrai andarci!" avvertì la madre.
"Domani ci andrò, ora lasciami in pace."
"Come vuoi" si arrese in fine la madre "appena ti deciderai a mettere il naso fuori la porta, troverai la cena sull'uscio."

Due ore dopo il piatto era ancora lì: la cena era ormai fredda e le posate luccicanti ancora avvolte nell'opaco fazzoletto nero.
"Non ne posso più! È davvero questa l'adolescenza di cui tutti parlano?" mormorò disperata Samanta "Essere costretta a passare ore e ore chiusa in una stanza perché solo qui mi sento libera?" si rivolse alla sua pappagallina "Akira a volte mi sento come te, sai? Rinchiusa in una gabbia, che gli altri chiamano casa, con la sola voglia di aprire le ali e fuggire via." un acuto stridio rispose alle parole di Samanta. Parlare con Akira era uno sfogo per un vuoto che non era ancora riuscita a colmare.
"Guardami, ho paura di vivere." continuò la ragazza con voce tremante "Questi capelli rossi non vengono considerati da nessuno. E gli occhi: chi si innamorerebbe mai di occhi così chiari da sembrare sbiaditi dal pianto e solcati da calde striature castane?" abbassò gli occhi sconsolata "Nessuno. Non sono meglio le ragazze bionde? Sono così perfette, con i loro capelli baciati dal sole e i loro occhi luccicanti, privi di sfumature. Semplicemente normali!" urlò disperata. "Vorrei solo essere normale. Con genitori normali, capelli e occhi normali, una vita normale. Vorrei solo questo, chiedo troppo?" si accasciò affranta al pavimento. Una lacrima le solcò il viso, bagnandole le labbra. Si guardò in torno, la sua camera le sembrava l'unico posto familiare: i libri sparsi sulle mensole soffocavano la sua solitudine e Akira, con i suoi sgargianti colori, le regalava sprazzi di felicità. Dopo aver asciugato le lacrime la sensazione di fame la divorava e mille pensieri le affollavano la mente. Abbassare quella maniglia sembrava l'unica soluzione per porre fine a quel senso di vuoto che aveva nello stomaco. Ma fuori la porta incontrò solo il freddo palmo della madre impresso sul suo volto.
"Questo è per non essere uscita a tempo debito." le parole glaciali della madre a conferma di quel duro gesto.
"Credi che facendo così mi farai stare meglio? Credi che trattandomi come un mostro renderai la mia vita migliore? Non lo farai. E sai cosa? Non ti ho mai chiamata mamma perché hai sempre creduto che fossi una bambola: un giocattolo che assomiglia ad un aereo pronto a volare al quale tu hai tarpato le ali." ormai lacrime scendevano a fiumi e non potevano più essere fermate. Le parole risuonarono pesanti nella stanza come macigni troppo grandi da sopportare, finalmente liberati da una rete troppo debole per sostenerli. Sally le prese il braccio e lo strinse forte.
"Io sono tua madre, tutti i bambini chiamano la propria madre 'mamma', perché tu non dovresti?"
"Tu sei mia madre su un foglio di carta, ma delle parole non ti renderanno quello che vuoi essere. " Samanta si diresse verso la porta e scese al primo piano, lasciando la madre sconvolta, in balia dei suoi pensieri.
Dopo aver preso l'ultimo biscotto rimasto nel sacchetto, Samanta rientrò in camera: sulla guancia aveva ancora il segno dello schiaffo della madre.
Intanto Sally, sentendo i passi del padre, si girò sorpresa.
"Ehy Hobs, sei rientrato finalmente. Quella stupida ragazzina ha alzato di nuovo la voce!" scosse la testa in segno di esasperazione.
"È normale" affermò posando le chiavi di casa sul mobiletto "sai che siamo i suoi genitori, sta a noi provare a capirla" difese la figlia.
"E se lo scoprisse?" domandò tra il preoccupato e il dubbioso la moglie.
"Non lo farà" rispose deciso "non è rimasto nessuno che possa saperlo: la verità non verrà mai a galla" rispose sicuro il marito.
Ma ciò che non sapevano, è che quel piccolo grande segreto, sarebbe rimasto tale, solo per un altro giorno.

Il mattino seguente i fischi di Akira svegliarono Samanta, prima che potesse farlo l'arrivo della madre.
L'ora della scuola era arrivata e alzarsi, ormai, era d'obbligo.
"La colazione è pronta, scendi!" le prime urla che aprivano la giornata.
Ma Samanta, decisa ad evitare un'ennesimo litigio, acconsentì ubbidiente.
"Sì, sì, arrivo" disse alzando gli occhi al cielo.
"Cosa metterò oggi, Aki?" guardò i vestiti sparsi nell'armadio, poi continuò "questa felpa scura ti piace? Magari sotto potrei indossare il pantalone bianco! O forse è meglio il vestito rosso?" si fermò a riflettere "no, no, vada per la felpa, quel vestito mi fa sembrare una stupida bambola di pezza."
Nonostante i mille dubbi, preparare i vestiti era il problema minore quel giorno.
Scoccate le otto e dieci ecco suonare preciso il clacson dello scuolabus.
Samanta scese di corsa, salutò di sfuggita i genitori, e riuscì a prenderlo a volo.
Dopo aver attraversato le porticine scorrevoli del bus, si diresse spedita al solito posticino in fondo a tutto, vicino  finestrino, quello che nessun altro voleva e che era rifilato a lei.
Ma il posto, al momento, era l'ultimo dei suoi pensieri.
La sua preoccupazione era dovuta, un'ennesima volta, al figlio di uno degli uomini piu ricchi di Maple Valley: Blake  Vansome che, giorno dopo giorno, rendeva la sua vita impossibile.
"Guardate ragazzi!" esclamò con aria di assoluta superbia il ragazzo "c'è la rossa!" continuò "come va la vita? Aspetta..qual'era il tuo nome? Non lo ricordo bene sai? Infondo, il nome degli sfigati non mi resta mai in mente."
Si rivolse poi ad Arold, uno dei suoi trapiedi.
"Come si chiama occhi sfumati?"
"Samanta, capo" rispose con la solita ubbidienza quella specie di cane da guardia.
"Ah, figlia dei Butler, famiglia di grande rispetto, ma con una figlia del genere... il livello si abbassa."
Le sue parole scatenarono risatine generali.
Afferrandole un braccio e preparando l'altra mano a pugno, Blake rivolse un sorrisino spavaldo a Samanta.
"Non hai paura?"
"Non ho paura dei mostri."
Alle orecchie di Blake, quelle parole risuonarono come una sfida.
"Allora prendi questo!" era pronto a sganciare il primo pugno "adesso hai paura?" domandò sicuro di sè.
"Vansome!" una voce rassicurante lo fermò.
"Prova a tirare quel pugno e la tua testa girerà su una picca per tutta la scuola" era la voce di Jason Hallow, che zittì tutti.
"E tu saresti..?" domandò irritato Blake.
"Il mio nome non ti interessa" continuò imperterrito il ragazzo "ora lascia il suo braccio, e scendi."
Lo scuolabus si fermò poco dopo e, come ad avvalorare le sue parole, rimbombò in tutto il bus il fischio che annunciava l'apertura delle porte.
"Andiamo ragazzi, sistemeremo la rossa e l'altro domani!" ordinò Blake per poi scendere dal bus.
"Grazie." quell'unica parola, detta da Samanta con voce fintamente sicura, bastò.
"Di nulla, adesso vado che è tardi" un occhiolino accompagnò le parole del giovane.
La giornata era appena iniziata e il primo pugno era già quasi arrivato.
Con mille pensieri ad affollarle la mente, senza accorgersene, Samanta si ritrovò a varcare la porta della sua classe.
"Samanta, eccoti finalmente!" la accolse il professor Briton "come mai in ritardo?"
"Cercava di sistemarsi quegli orrendi capelli forse?" urlò la voce irritate e purtroppo ben nota di Lara Standley.
La più "figa" della scuola passava il suo tempo prendendo in giro le altre ragazze insieme al suo gruppo di ochette starnazzanti, e la sua autostima, ogni volta, raggiungeva le stelle.
Ragazza di Blake, ovviamente.
"Silenzio signorina Standley, ha gia parlato abbastanza, adesso si sieda" provò a riportare l'ordine il professore.
La giornata continuò, però, più o meno allo stesso modo.

Al termine delle lezioni Samanta si diresse verso la fermata del bus quando una voce sconosciuta la fece girare.
"Ciao, tu sei Samanta vero? Ho sentito parlare di te nei corridoi. Ho saputo che hai risposto a Blake, grande!"
continuò la voce "ma che sbadata, non mi sono ancora presentata! Sono Megan Arish, non vivo in città, ma a Wallash Havey, è abbastanza lontana da qui, ma riesco a venire tramite il bus." la ragazza prese fiato.
"Sì, sono io, piacere di conoscerti."
Samanta trovava Megan bellissima: i suoi capelli biondi, il suo carattere così aperto e solare..
Era tutto ciò che lei non riusciva ad essere.
Dopo quel breve e piacevole incontro e il rapido tragitto in autobus che procedette senza intoppi, si ritrovò sull'uscio di casa.
I suoi genitori, all'interno, discutevano preoccupati.
Le loro voci concitate si sentivano anche fuori la porta.
"Non è possibile! Una lettera, per lei?!" esclamò in preda al panico Sally.
"Tranquilla cara, la getteremo senza neanche leggerla" provò a rassicurarla Hobs.
"Non deve venirne assolutamente a conoscenza!"

"Di cosa staranno mai parlando? Una lettera? Per me?" si interrogò tra sè e sè preoccupata Samanta.

Spalancò la porta.
I genitori erano saliti ma avevano lasciato la lettera sul tavolo.
Samanta la prese tra le dita, la aprì, e iniziò a leggere..

SAMANTA-LA RAGAZZA ARTICADove le storie prendono vita. Scoprilo ora