CAPITOLO VIII

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Quando fummo dinanzi ai miei alloggi, gli uomini bussarono con insistenza. Socchiusi gli occhi, completamente inondata di terrore. Mi fischiavano le orecchie. Era questo ciò che le persone provavano al punto di morte? Impotenza, confusione, incertezza, trepidazione...

Udii una voce femminile, smorzata e lontana. La mia mente stava ancora divagando; non riuscivo a mantenere l'attenzione su ciò che accadeva attorno a me. Mi costrinsi a concentrarmi, a capire, a essere presente nella realtà e ad allontanare la paura che mi annebbiava la vista.

«L'abbiamo trovata, signora.»

«Perché è completamente fradicia?»

«L'abbiamo lavata. Puzzava come una fogna, forse anche di più.»

«Fatela entrare. È meglio che me ne occupi io da ora in avanti. Voi branco di scalmanati non fate altro che peggiorare le cose.»

«Facciamo del nostro meglio, signora.»

«E non chiamarmi signora! Lo sai che non mi piace!»

Era da settimane che non udivo una voce femminile, ma solo quelle rauche e raschiose di tabacco dei marinai.

Uno dei due uomini mi spinse all'interno della cabina. Camminai con fatica, le mie ginocchia erano cedevoli e il vestito appesantito dall'acqua non agevolava certo la situazione.

Notai che le cose nel mio alloggio erano state spostate. Il tavolo era stato messo da parte e le sedie accantonate. Sul primo c'erano una decina di codici, manuali e mappe nautiche sparse l'una sopra l'altra, senza troppo riguardo.

«Andatevene, ora», ordinò la donna. «E chiudete la porta quando uscite. Ah, e già che ci siete, dite ad Quinn che appena avrò finito con lei dovrà venire ad asciugare il pavimento qui; questa ragazza sta facendo un vero disastro con questo abito bagnato.»

Scomparvero dietro l'uscio e si chiusero la porta alle spalle, lasciandoci sole. Sollevai lo sguardo sulla donna e la osservai di sottecchi. La prima cosa che mi colpì di lei fu il suo abbigliamento. Indossava abiti maschili, giacca, camicia, pantaloni di tela e degli stivali in pelle che le arrivavano fino alle ginocchia. Non avevo mai visto una donna vestita in quel modo e in un primo momento lo trovai bizzarro. Aveva gli zigomi alti e i lineamenti marcati, che le davano un aspetto quasi androgino. I suoi occhi azzurri mi studiavano con fare attento e incuriosito, allo stesso modo come si studiava un dipinto.

«Vi devo delle scuse», cominciò. «I miei uomini assumono un comportamento alquanto grezzo con le donne, solitamente.»

«Perché non mi gettate in mare e la facciamo finita?» dissi, coraggiosamente. Mi meravigliai delle mie stesse parole. Non ero solita ad agire con tale impeto.

Lei mi fissò. «Non sarebbe certo cosa saggia donarvi al mare così avventatamente.»

«Se devo essere uno sfogo carnale per delle bestie... così sia. Avanti, che aspettate? Tutto ciò che desidero è seguire il mio equipaggio nella morte.»

Non mi importava niente del dolore, dell'umiliazione che provavo per essere in quello stato, per essere stata lavata come un animale da quei bruti. In quel momento sentivo soltanto una grande rabbia verso quelle persone, una rabbia che mi diede il coraggio necessario per parlarle in quel modo.

«Temo che abbiate frainteso enormemente. Non ho intenzione né di farvi stuprare né di uccidervi.»

«E allora loro dove sono!? C'erano venti uomini su questa nave!»

«Abbiamo fatto scambio, per così dire, con l'altra nave. La nave che avevamo prima è rimasta gravemente danneggiata dopo un arrembaggio andato male. Avevamo un disperato bisogno di una nave nuova. Una più robusta, più grande e, possibilmente, con la stiva ben fornita di cibo. Eravamo in una situazione abbastanza critica, oserei dire. Ed è stato il caso a portarci sulla Galatea. Appena l'abbiamo vista in lontananza abbiamo deciso di appropriarcene. Una nave magnifica, lo devo ammettere; non ne ho mai posseduta una così bella.»

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