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Il temporale batteva forte sui muri e sulle finestre. C'era una sorta di tormenta lì fuori, ma i telegiornali stamattina avevano provato vanamente a infonderci sicurezza. I temporali erano una delle cose che odiavo di più. Mi rendevano ansiosa e nevrotica, li temevo, in qualche modo. Nel Maine, peraltro, erano piuttosto frequenti. Soprattutto di questi tempi. Più si avvicinava ottobre e, di conseguenza, l'autunno, più il cielo sembrava volesse cascarci sulle teste. Il tutto, poi, era reso meno piacevole dalla visione dell'insegnante di letteratura: gridava più del solito, per sovrastare il rumore dei tuoni e della pioggia incessante e violenta, sputacchiando. Le mie condizioni erano ancora più pietose in quanto avevo un dannato cerchio alla testa e, se provavo a chiudere gli occhi, il mio cervello diabolicamente proiettava visioni di una me di ieri sera che avrei voluto dimenticare per sempre. Non potevo non associare anche il nome di Aiden allo sconforto che mi affliggeva quel giorno.
Trascorsi il resto della giornata a perdermi in mille disparati pensieri, tutto pur di non pensare a ieri, al temporale, a Jayme. Quest'ultimo era uno dei motivi da aggiungersi alla lista. Lo avevo incontrato, casualmente, tra il cambio di un'ora e l'altro; l'ho salutato, da persona educata quale sono, e lui mi ha ignorata. Ignorata. Completamente. Mi ha stranito il suo comportamento, sì, ma alla fine decisi che non era degno di importanza. D'altronde, era solo un ragazzo che avevo baciato ad una festa.

«Oggi sei sulle nuvole, Alexis.» Mi fece notare Mason. Mi aveva raggiunto all'armadietto, mentre sistemavo i libri; avremmo raggiunto la mensa e avremmo pranzato insieme. Speravo di riuscire ad incrociare anche Charlie, così avrei avuto l'occasione di farli conoscere.
Chiusi l'anta con la grazia di un elefante. «Sì, sono scesa dalla parte sbagliata del letto.» Guardai il mio amico e gli sorrisi malefica. Lui ricambiò sorridendomi sincero.
«Non mi hai più raccontato nulla del corso di fotografia. Anzi, a dire il vero non stiamo neanche più uscendo come un tempo.» Lo vidi abbassare lo sguardo mentre ci mettevamo in fila per il pranzo. Sospirai, sentendomi immotivatamente in colpa per l'ultima frase. Lui ci vedeva qualcosa di più in quello che facevamo e io non facevo nulla per fargli levare dalla testa quell'idea. Ero una persona orribile e tremendamente egoista. Speravo di non perdere mai Mase.
«Hai ragione, sono stata un po' impegnata ultimamente. Il corso di fotografia è straordinario, l'insegnante è fuori dagli schemi e in più ho fatto amicizia con una ragazza.» Mi sorrise felicemente sentendomi pronunciare quelle parole. «Si chiama Charlotte, la stavo giusto cercando con lo sguardo per invitarla al nostro tavolo.»
«È carina?»
Gli diedi una gomitata. «Bellissima è dire poco.»
«Sai, mi sorprende sentirti fare un complimento a una ragazza.» Disse Mason, mentre ci accomodavamo ad un tavolo. Notai Charlie guardarsi attorno spaesata, cercava qualcuno. Il mio ego spropositato mi diede la certezza che stesse cercando me. Che fonte inattendibile.
«Che c'è, la competizione è dura da mandare giù?» Gli dissi, prendendolo in giro. Mason non apprezzò la battuta, così nel silenzio totale iniziò a pranzare. Io mi alzai e, sbracciandomi e urlando il nome di Charlie, catturai l'attenzione di quest'ultima, che ci raggiunse.
«Mason, ti presento Charlie. Charlie, lui è Mason.» Charlotte mi guardò come per dire quel Mason?" ed io, con un solo cenno della testa, le risposi "Sì". Vidi i due scambiarsi una stretta di mano e poi la rossa si accomodò ufficialmente al tavolo.
Parlammo per il resto della pausa pranzo di cinema e dei film che sarebbero usciti in un futuro piuttosto prossimo. Diciamo che "parlammo" fu un eufemismo; Charlie si mostrò piuttosto timida in presenza di Mason, così fui io a parlare per entrambe tutto il tempo. Alla fine concordammo ad andare una volta al mese al cinema, ad avere una nostra serata dedicata solamente a quell'ambito. La rossa apprezzò molto l'idea, mi aveva confessato di essere una cinefila.
Salutai i miei amici al trillare della campanella. Mi diressi alla lezione successiva, ginnastica.

In quella giornata così grigia, in tutti i sensi, pensai che un po' di attività fisica non avrebbe fatto altro che giovarmi. Quella settimana non ero andata a correre nemmeno una volta. Mi cambiai nello spogliatoio femminile e raggiunsi la palestra, affiancandomi ai miei coetanei. Mr. White fece il suo ingresso, guardandoci uno ad uno. Sembrava un cane rabbioso pronto a masticarci pezzo per pezzo e a risputarci. Indossava un cappellino e una polo con su stampati il logo della scuola, fischietto al collo e cartellina alla mano. Era un tipo che prendeva piuttosto sul serio la sua materia, considerato che quasi nessuno la praticava con piacere. Annotò le presenze di ognuno di noi, chiamandoci per cognome, e dopo aver quasi fatto piangere un paio di ragazze per aver tentato di esiliarsi dalla lezione con stupide scuse, ci annunciò che la squadra di basket avrebbe diviso la palestra con noi. I ragazzi, a quanto pareva, avrebbero dovuto allenarsi nel campo esterno, ma per cause meteorologiche tutto ciò non gli fu concesso. Ci disse anche che avrebbe presenziato sia la lezione, che l'allenamento. Fantastico. Nessuno di noi matricole osò contestare la faccenda, ma avrei voluto tanto urlargli addosso che non era così che ci avrebbe insegnato qualche disciplina.
Entrò la squadra e con sommo dispiacere, notai tra loro la testa bionda di Aiden. Scorsi un altro viso conosciuto, tra di loro: Ian. Il resto della squadra "ufficiale", mi parve di capire, era composto da due ragazzi del terzo anno ed un altro del quarto come Aiden ed Ian. C'erano altri quattro ragazzi, in divisa, ed erano tutti del terzo anno e tutti rigorosamente riserve. Guardai questi ultimi con tristezza, avrebbero potuto avere la loro occasione per essere titolari solo l'anno seguente.
Quando White usò il fischietto, temetti di aver perso l'udito. Ci gridò di eseguire quindici giri di corsa attorno al perimetro della palestra. Non me lo feci ripetere due volte e iniziai a correre. Alcuni ragazzi del mio corso gettarono la spugna al settimo giro, ansimanti, ma la mia pace andò a farsi benedire quando mi si affiancò quella faccia da schiaffi di Aiden.
«Se organizzo un'altra festa, ci vieni, Alexis?» Mi chiese con tutta la nonchalance del mondo. Non gli risposi, preferii non sprecare ossigeno per ribattere alle sue provocazioni.
«Per caso ieri, oltre che alla dignità, hai perso anche la lingua?» Rimbeccò. Iniziava ad irritarmi sul serio, così aumentai la velocità. Inutilmente, dato che mi teneva il passo. «Non essere permalosa, si scherza, suvvia.» Se gli sguardi potessero uccidere...
Mr. White fischiò il termine della corsa. Ci ordinò di eseguire altri esercizi di riscaldamento. Mentre li praticavo, sentii la fastidiosa presenza di Aiden.
«Comunque non si trattano così le persone che provano a fare amicizia con te.» Esordì, piazzandosi davanti a me.
«Ti conosco a malapena da ventiquattro ore e, in queste ventiquattro ore, non solo mi hai visto nuda, ma mi hai sfidata, costringendomi ad umiliarmi davanti a tutti a quella stupida festa.» Sbottai, rendendomi conto di aver alzato un po' la voce. Gli diedi le spalle, decisa a non rivolgergli la parola.
«Non essere così tragica. Le persone hanno apprezzato, ieri.» Roteai gli occhi al cielo, esasperata.
«Devo ricordarti di come è andata? Eppure pensavo di essere io quella ad aver alzato un po' il gomito.» Mentre pronunciavo queste parole, i ricordi di ieri sera tornavano a farsi vividi.

«Basta, questa musica mi ha stufato. Adesso scelgo io un pezzo.» Borbottai uscendo dalla cucina. Raggiunsi il cellulare accanto alle casse e, mentre mi accingevo a prenderlo, mi sentii afferrare le mani da qualcuno alle mie spalle.
«Non ti azzardare.» Sentii fare al mio orecchio da Aiden. Il contatto ravvicinato, unito al suo alito che inevitabilmente mi accarezzò il collo, mi provocarono la pelle d'oca. In realtà, una parte delle colpe, andavano addossate all'alcol e ai miei ormoni di adolescente. Se c'era una cosa che mi costava ammettere, era che Aiden fosse il ragazzo più attraente che avessi mai conosciuto. Non potevo rischiare che tutto ciò venisse fuori, agli occhi di tutti. Era una delle mie più grandi fobie. Per questo motivo, mi liberai dalla sua presa e lo guardai male.

Ciò che mi disse, mi destabilizzò.

«Se proprio ci tieni, dovrai prima ballare su una di queste canzoni che detesti tanto. Scommetto che non hai il coraggio di affermare la tua supremazia musicale. Sei tutto fumo e niente arrosto Non era il fatto che mi avesse lanciato quella stupida sfida che mi faceva arrabbiare. Era la sua arroganza, credeva che se lo avessi assecondato, lo avrei fatto per le sue immense capacità manipolatrici. Era solo un povero sciocco. Disinibita dalle particelle dell'alcol, iniziai ad ondeggiare sulle note della canzone I follow rivers di Lykke Li. Chiusi gli occhi, lasciandomi trasportare solo dalla voce della cantante e dal ritmo ripetitivo della canzone. Quando questa terminò e riaprii gli occhi, trovai davanti a me un Aiden dallo sguardo diverso. Non sapevo definire la sua espressione, sapevo solo che mi trasmetteva sensazioni positive. Dopo un po', però, ricordai della presenza di altre trenta persone. Non tutti mi avevano prestato attenzione, ma chi lo aveva fatto adesso mi teneva lo sguardo addosso. Ed io riuscivo a percepirli sotto alla pelle, tutti quegli occhi. Sbuffai, arrabbiata. Con Aiden in primis, per avermi umiliata; con me, per averlo permesso. Gli strappai dalle mani il cellulare e diedi un'altra sfumatura a quel party. Feci partire I was made for loving you dei Kiss.

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