Claustrophóbia

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Lui dorme dal lato con la parete, si sente racchiuso, si sente protetto. Io nella zona più aperta, libera, il bordo del materasso e poi il nulla, come un precipizio. Ci addormentiamo. D'un tratto percepisco dei movimenti, non apro gli occhi, lui si gira nel sonno, si alza per andare in bagno. Al ritorno non mi scavalca, mi spinge più in là e in dormiveglia accetto lo spostamento. Mi rigiro, il sudore mi riga la fronte, poi il collo, mi bagna la maglietta. Il caldo esplode, diffondendosi come un nucleo incandescente dal centro del mio corpo, è insopportabile, mi penetra, si irradia fin contro la sua pelle, lo fa sudare, lui però è tranquillo, inerte. Improvvisamente sento stringere il mio collo, la parete e il soffitto si stringono, si deformano, le percepisco intrappolarmi, sto affogando. Mi sporgo appoggiandomi al suo petto, in cerca d'aria, aggrappandomi a quel poco ossigeno che riesco a recepire. Gli occhi sono immobili, le palpebre chiuse, come incatenate, bloccate. Cerco di ignorare il mio assalitore, sembra muoversi nel buio, si fa sempre più stretto, l'agonia più ampia. Sono in trappola. Il peso delle lenzuola mi blocca sul materasso, il mio corpo non reagisce, non un muscolo, non un riflesso. Il silenzio. Tutto tace. L'esterno è il vuoto. Ma dentro il mio sangue ribolle, è ombra, mi brucia senza che io possa reagire. La stretta sul mio collo si fa più forte, il lenzuolo, leggero come piccole dita, si insinua tra le vene, i nervi, preme su di essi, preme fin dietro i lobi. Mi fa smaniare, mi tormenta. Sto soffocando. Lui si gira, mi accarezza, non lo sente, non si accorge, non fa nulla per contrastare ciò che provo, non capisce. Sono rinchiusa. È una bolla. Solo io posso sentirla, solo me può imprigionare. Una bolla, non di sapone, sí invisibile ma non trasparente, cupa, torbida, bollente. Mi scotta la pelle, mi lascia i segni, posso già vedere i lividi. Sono legata proprio mentre nessuno può accorgersene, nel momento in cui nessuno mi può liberare.

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