III

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I8 Settembre 2OI3.

cinque giorni d’assenza.
cinque giorni in cui quattro medici hanno discusso il mio caso, in cui sono stato sottoposto al terzo ciclo di chemio, in cui sono andato a fare riabilitazione.
cinque giorni in cui mia madre ha pianto particolarmente, in cui mia sorella mi ha guardato in modo strano, in cui, in sintesi, mi è stato comunicato che praticamente sono un malato terminale.
sei quasi al traguardo, harry.
il giro finisce qui.
comunque, pare che il mio carissimo osteosarcoma alla gamba sinistra, nome genuino e carino quasi quanto l’enorme cicatrice che mi ha lasciato, si sia aggravato donandomi delle altrettanto meravigliose metastasi localizzate nella gamba destra e braccio sinistro. forse finirò sulla sedia a rotelle prima del previsto, o, ancora, sotto terra.
il sottor duncan ha parlato piuttosto chiaramente: sono agli sgoccioli. proveranno con altri due cicli di chemio, se non dovessero fare effetto ricorreranno anche all’amputazione della gamba. se tutto questo non dovesse funzionare, si decideranno a lasciarmi morire.
oo forse sono pronto, o, almeno, a volte mi sembra di esserlo. poi, guardo louis che mi accarezza i capelli e prego di avere ancora un’eternità da passare con lui.
vorrei veramente capire quale sia la cosa giusta, lo giuro. ma non ce la faccio. vedo solo l’oblio, il vuoto, e mi viene da piangere, ma non piango mai. solo con louis, perché lui sa, mi capisce più di quanto mi sia mai capito io.
adesso, però, non voglio macchiare la mia – la sua – storia con queste parentesi deprimenti, perché il nostro racconto avrà molto per cui piangere, quindi continuerò.
è iniziato tutto – tutto questo – quando ho cominciato ad avvertire dei dolori. alla gamba sinistra. fitte lancinanti al ginocchio: mi sembrava che un tacco a spillo mi venisse scagliato contro ogni dannatissimo secondo. onestamente, quando ne ho parlato con mia madre, nessuno di noi pensava si potesse trattare del mio tumore che già iniziava ad agire, ma supponevamo potesse essere una semplice infiammazione muscolare.
ancora, la mia esistenza non era stata scalfita. ed io guardavo il cielo.
comunque, mamma mi disse di andare dal medico per fare un controllo e farmi prescrivere qualcosa. me lo ricordo ancora, quel giorno. era novembre, novembre del 2OI2. un pomeriggio umido e nuvoloso: piovigginava. le avevo urlato un “mamma, esco!” e lei aveva risposto con un “va bene, tesoro! quando finisci con il dottore passa a prendere il latte!”

tutto normale. gli ultimi momenti di una vita.
perché la mia vita – quella vera – è stata spezzata dal peso della diagnosi.
arrivai allo studio medico, i capelli bagnati dalle gocce sottili, ed il dottor duncan mi fece accomodare, inforcò gli occhiali sul viso rotondo ed aprì un paio di cartelle.

“harry, allora, cosa ti porta qui?”

gli parlai molto tranquillamente, ignorante del mio enorme problema.

“è un po’ che sento questo dolore alla gamba sinistra, ecco. avverto continuamente delle fitte pazzesche al ginocchio, una ogni due secondi, circa.”

il dottor duncan, estremamente serio, si sporse per dare un’occhiata alla mia gamba coperta dal jeans. sentivo l’odore del suo dopobarba. non ero preoccupato.

“dimmi, da quanto va avanti questa sensazione?”

“un paio di settimane, forse due.

“harry, rispondi con estrema attenzione: che tipo di dolore avverti?

“beh, è come se mi lanciassero continuamente un tacco a spillo sul ginocchio, non so se rendo l’idea.

rimase in silenzio per un po’. La cosa mi turbava, ma ancora non pensavo ovviamente a quello; credevo ci fosse qualche problema ai legamenti. l’ignoranza rende felici, a volte.

don't forget about me; houisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora