Capitolo 11 - La prima partita di Colin

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C'è chi crede che nulla accada per caso, che qualcuno – Dio o qualche altra entità misteriosa – abbia disegnato per noi un progetto e che non possiamo ribellarci, perché si tratta di qualcosa che non possiamo controllare, anche se il piano che ci riguarda non ci piace.

Nel mio caso, il destino aveva scelto per me una strada ben chiara: i Wildcats.

Avevo provato a sottrarmi, a scegliere qualcosa di completamente diverso, per regalarmi una possibilità diversa ma tutto, inevitabilmente, mi aveva riportato a Madison. Non era solo Ally il motivo per cui ero tornato e, dopo quella prima settimana di allenamenti, in cui mi ero reso di nuovo conto di cosa significasse essere parte di un qualcosa di più di una semplice squadra di basket, avevo compreso fino in fondo che non potevo ribellarmi alla mia natura.

Ero nato e destinato per stare con quella squadra, per riportare in alto quei colori che mi ero cucito sul cuore e che erano a tutti gli effetti la mia seconda pelle, l'unica mia famiglia.

Non c'era modo di cambiare il corso degli eventi e anche se non avevo mai avuto un'idea chiara della religione, né sapevo dire con certezza se credevo in Dio, di certo sapevo che per me c'era un piano.

Me ne resi conto quel pomeriggio, il primo che precedette la mia prima partita da allenatore. I ragazzi erano usciti da poco dagli spogliatoi e io ero rimasto a perfezionare lo schema che avevo intenzione di mettere in campo. Soltanto in quel momento, nel silenzio della palestra che mi aveva visto crescere e che prima di me aveva ospitato mio fratello, mi sembrò che tutto acquistasse un senso.

- Ehi, che ci fai ancora qui?

Duncan spuntò alle mie spalle, la borsa con il cambio poggiata sulla spalla e la sua nuova divisa da allenatore indossata alla perfezione.

Aveva raccolto al volo anche lui l'opportunità di tornare nei Wildcats e quella era la conferma che certe cose potevano andare in un modo soltanto.

- Stavo ricontrollando che i ragazzi fossero ben schierati.

- Le solite vecchie manie di controllo del capitano. Passano gli anni ma certe cose non cambiano mai, eh?

Sorrisi e vidi formarsi la stessa piega insolente sulla bocca del mio migliore amico.

- Credo che questa sia una cosa naturale.

- Voler essere perfetto quando si tratta dei Wildcats? Nah, io credo piuttosto che tecnicamente si possa chiamare ossessione. – Mi prese in giro Duncan e io gli rifilai una gomitata.

- Imbecille, che fai mi sfotti? Mi riferivo al fatto che abbiamo fatto un sacco di progressi. Abbiamo contratti incredibili e sponsor eppure ci ritroviamo di nuovo qua, a lottare per la sopravvivenza in questa palestra che è niente rispetto a quelle dell'NBA in cui abbiamo giocato negli ultimi anni.

- Il filo rosso del destino?

- Eh, qualcosa di simile.

Duncan annuì lievemente, poi si sedette sui gradoni degli spalti ad osservare il campo, con il parquet di rovere chiaro tirato a lucido.

- Sai che penso? Che potremmo giocare anche in tutti gli stadi del mondo, nessuno sarà mai come la palestra dei Wildcats. Abbiamo iniziato qui e ci abbiamo giocato quando ancora quel fottuto parquet non c'era. La squadra è la nostra casa e credo che tornare qui dopo un'esperienza fuori sia un percorso naturale.

- Non pensi possa essere pericoloso? Potremmo non voler tornare a Chicago e il mio procuratore mi brucia le palle se recedo il contratto.

Duncan ridacchiò, probabilmente divertito dall'immagine dei miei gioielli di famiglia messi al rogo. Tornò serio quasi subito però e aggiunse:

Loveless - #Wildcats Serie Vol.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora