7. Goodbye

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Un mese dopo

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Un mese dopo

Da un mese ormai mi sento così. Stanca, fisicamente esausta, tralasciando la mia condizione da sedia rotelle. Le mie gambe non avvertono ufficialmente più alcuno stimolo. Quindi quando dico che sono fisicamente esausta, non parlo di alcun dolore alle gambe. Parlo più che altro di quanto stare sempre sdraiata e seduta mi stia fisicamente stancando. E' come se il non poter camminare, basti a stancarmi, a consumare le mie forze.

Generalmente la gente è solita fare una vita sedentaria perchè si sente troppo stanca per camminare, o correre, o fare attività sportiva. Bhè, se sapessero quanto brutto sia rimanere seduti per praticamente tutta la vita, farebbero l'opposto.

Darei qualsiasi cosa per riprendere a camminare, a correre per poter percepire il vento tra i capelli, sul viso. Tornare a percepire quel sentimento di soddisfazione che provo, ogni volta che danzo a ritmo della musica.

Per quello sono qui, oggi. In ospedale.

Odio gli ospedali. Anzi, più che odiarli, è una vera e propria fobia.

Mi fa strano frequentarlo ora così spesso per un controllo, un esame, o semplicemente per la prescrizione di qualche medicina. Da piccola non ho mai avuto motivo per visitarli, ero una bambina piuttosto sana. Non ho mai dormito in ospedale.

Il giorno che ebbi l'incidente, fu la prima volta.

Per quanto io odi gli ospedali, sono qui all'ospedale, per ricevere chiarimenti dal Dottor Holloway.

E' ormai passato un mese da quando ho cominciato fisioterapia, ed ancora non mi sento le gambe.

Certo, non mi aspetto chissà cosa, ma il fatto è che non avverto neanche un piccolo miglioramento.

Sto pazientemente aspettando ormai da qualche oretta in sala attesa, con il cuore che continua a battere forte nel mio petto.

Non ho la più pallida idea di cosa voglia dirmi o farmi il dottore. Può benissimo essere una brutta notizia, e forse è proprio questo il motivo per cui odio così tanto gli ospedali. Il fatto che da un momento all'altro, una vita è destinata a cambiare in base a ciò che potrebbe affermare un dottore.

Riprendo ad osservare la sala d'attesa, uno spazio dipinto di un grigio chiaro che quasi richiama la purezza del bianco.

Sul muro alla mia sinistra, c'è uno schema del corpo umano con quest'ultima scritta come titolo in grassetto, color rosso vivace.

Ormai ho già visto questo cartellone sicuramente più di dieci volte, ma non mi stanco mai di fissarla, generalmente non mi stanco mai di osservare l'ospedale in sè, fino a ricordarmi tutti i minimi dettagli.

E subito sotto il cartellone, una bambina dai capelli biondi, quasi dorati alla luce del sole, piccolina, con un peluche in mano, intenta a saltellare, mi attira l'attenzione.

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