Capitolo 9: Notte

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L'ingresso della servitù per il giardino era una pesante e arrugginita porta in legno e ferro battuto, invasa dai tarli. La ruggine che ricopriva i cardini li rendeva difficili da far ruotare, ma il legno era tanto marcio e tanto divorato dagli insetti da consentire a Lexa di vincere la resistenza opposta dai cardini con una brusca spallata. L'aria, quella notte, era fresca, piacevole sul suo viso sudato.

Silenziosa e rapida come una gatta, la Dhampir aveva corso dal quarto piano del maniero fino al corridoio segreto dietro la cucina. I servi Moroi erano ancora al lavoro, stanchi, si muovevano tra i cortili e la sala da ballo, strascicando i piedi, le teste ciondolanti. Quando anche i fratelli Blake si ritirarono ai piani superiori, ultimi per l'energia della loro gioventù, Lexa sgattaiolò dietro le voluminose tende della sala da ballo, trattenendo il fiato finché non percepì il ticchettio delle scarpe di Octavia risalire lungo l'immensa scala marmorea. Poi sfuggì agli occhi dei lavoratori stremati e, finalmente, varcò la soglia dell'ingresso secondario, assaggiando l'aria notturna, la libertà.

Lexa osservò l'immenso giardino, immaginando una bimba dalle trecce bionde arrampicarsi tra i nodosi e giganteschi rami delle querce che delimitavano il giardino, forse anche più vecchie della vegetazione della St. Vladimir; l'idea le fece sbocciare un sorriso intenerito sulle labbra. 


Essere guardiano di Clarke, proteggerla, significava proteggere anche più del suo corpo? O era quella unica prerogativa del suo cuore?

-Lexa.- La dhampir alzò lo sguardo verso Clarke, nascosta tra i rami frondosi di un pioppo che batteva contro il vetro della finestra della sua stanza. La giovane Moroi scivolò rapidamente da un ramo all'altro, aggrappandosi saldamente al tronco. Atterrò sull'erba umida con un piccolo tonfo e corse da Lexa, abbracciandola.

La Dhampir sentì il cuore batterle in gola, le braccia di Clarke attorno al collo, le mani calde, morbide, premute sulla sua pelle con tanta forza da farle percepire i calli del pennello sul pollice, mentre la ragazza sospirava -andiamo via.-

Lexa poté quasi sentire il rumore di anni di ritrosie, resistenze e difese che crollavano, un castello di carte contro il vento. Afferrò la vita di Clarke e premette le labbra sulle sue, tremando sotto i caldi fiotti di adrenalina che sempre l'avevano scossa solo sul campo d'addestramento.

Le labbra di Clarke sapevano di ciliegia, quelle morbide, dolci, quasi nere che solevano cogliere dall'orto della St. Vladimir in pieno giorno, mentre il resto del mondo dormiva, quando l'estate era già arrivata e Clarke la trascinava lì perché il desiderio era insopportabile.

Insopportabile... la furia e il calore e la sete che le crescevano dentro al petto, il languore che le strisciava nel ventre, rovente, la disperata necessità di salvarsi dallo spaventoso turbine di pensieri che inevitabilmente l'avrebbe trovata. Quello era insopportabile.

Aria.

I polmoni le bruciavano ma piuttosto sarebbe morta su quelle labbra pur di non separarsi da lei.


Appena ti allontani è reale.

Appena ti separi da lei è reale.

-Ah, ecco risolto il mistero.-

Lexa sentì il cuore scoppiarle nel petto, raggelò, separandosi da Clarke con uno scatto repentino, quasi fosse rimasta scottata.

Ho distrutto tutto. Ho fallito. Dovevo proteggerla.

Lei viene sempre prima.


Quando le giovani, tremanti per l'emozione e per la paura, si voltarono, boccheggiarono per la sorpresa riconoscendo nella longilinea ed elegante donna di fronte a loro la regina del regno Moroi.

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