Da quando la limousine nera e lucida dei Blake aveva varcato l'antico cancello di ferro battuto dell'Accademia, Lexa aveva percepito lo stomaco rimpicciolirsi in un grumo acido, palpitante e caldo. Il disagio era una coperta familiare, nella quale si crogiolava da sempre, da quando era una bambina dhampir che correva tra i lunghi e ampi corridoi del castello dei Dragomir, tra le gambe di alti e ricchi Moroi, che la guardavano con disapprovazione, curiosità, superiorità, Lexa si sentiva sempre a disagio, quando non aveva gli occhi azzurri di Clarke a tranquillizzarla, ma poteva gestirlo. Quello che non sopportava invece era quell'attesa straziante e silente nella quale era precipitata da quando lo sportello della limousine si era aperto sull'ampio cortile d'ingresso del castello dei Blake, sulla fontana di marmo bianco dove un elegante Poseidone, coi piedi nudi su un delfino bianco venato di nero, stringeva il tridente nella mano destra e una sfera con lo stemma degli Ivashkov nella sinistra, sputando acqua dalle labbra schiuse e finemente cesellate. Lexa l'aveva osservato per appena un istante, rivolgendo subito la sua attenzione alla scalinata marmorea, ancora coperta dalla neve caduta quella notte, che un gruppo di servi si affrettava a ripulire. Le avevano fatto spazio, lasciandola salire ma non avevano nello sguardo che le rivolgevano la solita riverenza che invece ostentavano ai loro ospiti e padroni. Probabilmente, si disse Lexa, i Dhampir non meritavano nessun trattamento, non erano Moroi. Forse, non erano nemmeno tanto diversi da loro.Loro vengono prima.
Iniziava a darle sui nervi. I Moroi venivano prima anche dei suoi sentimenti? Clarke l'aveva superata con uno sguardo ansioso, gli occhi blu scuri e profondi, le labbra rosse quasi tremanti. Un servo le si era accostato, annunciandole che la madre la attendeva nel salotto per conferire con lei. Lexa sentì lo stomaco attorcigliarsi e raggelò.
Non adesso...c'è ancora un anno scolastico e poi la scuola d'arte...
Ma avrebbero avuto il consenso per l'università? Per la scuola d'arte? O avrebbero costretto Clarke ad andare all'università vicino il Palazzo reale? Varcò la soglia dell'immenso portone di pioppo rosso e sentì la risata di Octavia, cristallina, mentre correva tra le braccia magre del padre. Il salone d'ingresso, una distesa di lucido parquet in legno d'abete nerastro da cui sorgevano due ampie scalinate bianche, mura di pietra coperte di quadri dalle cornici d'oro, i volti di Moroi giovani e anziani, sorridenti e seriosi, tutti pallidi, dai capelli color ebano e le fronti ampie, furono brevemente registrati dai verdi occhi di Lexa, che focalizzò la sua attenzione sul padre di Octavia.
I capelli ormai brizzolati erano tagliati corti, la fronte era ampia e v'era una piccola cicatrice all'altezza della tempia destra. Dagli occhi limpidi, marroni come quelli del figlio, s'intravedevano sprazzi di vivacità, gli stessi che si agitavano dietro lo sguardo di Octavia.
Era un uomo pratico, Lexa lo lesse nelle maniche arrotolate della camicia di seta azzurra, e dalla mentalità aperta, comprese, quando oltrepassò il primogenito, dopo un'abbraccio e una sonora pacca sulla spalla, e le tese la bianca mano magra e sottile, con quella delicata ossatura che era tipica dei Moroi e dell'aristocrazia. Lexa la strinse subito, rabbrividendo per la freddezza della sua pelle, così diversa da quella di Clarke che sembrava avere le mani infuocate. -Salve, Hiram Blake. Tu devi essere Alexandra Woods.- disse, con voce chiara. Lexa arrossì, era così strano sentire il suo nome completo, soprattutto se usciva dalle labbra di un estraneo. Le parve così affettato e sbagliato per una Dhampir. Eppure Alexander, al maschile, aveva un tono totalmente diverso. -Lexa Woods, signor Blake. Grazie per la sua ospitalità.-
Finse di non vedere Bellamy soffocare un conato di vomito davanti alla sua improvvisa cortesia, al suo distacco.
Octavia non chiese nulla riguardo alla madre e a dove fosse. Bellamy si accostò al padre e a Lexa parvero entrambi nervosi, irritati e concitati nel loro borbottio all'angolo della stanza. Lei, d'altro canto, non chiese nulla e lasciò che Octavia la scortasse nel salotto principale, dove, ad attenderle c'erano già Clarke e Abby. Erano entrambe rigide, le ultime eredi della grande e antica famiglia. Clarke sedeva sul divano verde muschio con la grazia e la freddezza di una statua di pietra. Il viso era quasi verdastro, nauseato e arrabbiato, ma nulla traspariva nè dall'espressione del volto, sulla quale v'era un sorriso gelido e affettato, nè dalla postura, schiena dritta e mani congiunte sul grembo. L'intera stanza era coperta da tappeti persiani raffiguranti San Vladimir: San Vladimir che scriveva le sue memorie, illuminato dalla divina luce dorata, San Vladimir che pregava sull'altare bianco della chiesa, San Vladimir che curava gli infermi. La luce del sole di dicembre, tenue, illuminava la stanza, i due lunghi divani e le quattro poltrone color muschio, il tavolo di mogano su cui giacevano quattro mazzi di carte, sparsi disordinatamente sul tavolo, le sedie scostate, come se qualcuno avesse giocato lì fino a poco prima.
Abigail Dragomir era stanca. Si era alzata dal divano e aveva mascherato l'offesa e l'irrequietezza in una passeggiata lungo la stanza. Lexa si diresse alle spalle di Clarke, quasi volesse infonderle coraggio con la sua vicinanza. Osservò la donna muoversi davanti a loro, incedeva con aria triste ma decisa, il volto serio, le labbra arcuate in una smorfia di sdegno, gli occhi chiusi, la fronte corrugata. Il lungo vestito nero le si impigliava ai tappeti. Lexa rabbrividì, era ancora vestita per il lutto. Avrebbe mai smesso di piangere figlio e marito?
-Mamma, mi ritiro nelle mie stanze.- non era una domanda. Abigail annuì appena, sospirando. Cosa era successo? Lexa non si accorse nemmeno che la donna non l'aveva salutata.
**
Clarke si gettò sul letto a peso morto, le molle cigolarono mentre rotolava sulla schiena e affondava la faccia tra i cuscini di piuma d'oca. Lexa udì i singhiozzi soffocati e rabbrividì, sentendosi sopraffare dall'ansia. Clarke non singhiozzava, non piangeva mai. Gridava, scalciava, prendeva a pugni e tirava oggetti. Nella tristezza quanto nella rabbia, Clarke Dragomir portava alla luce un'aggressività celata. Lexa si accostò a lei, poggiandole una mano sulla schiena scossa dai singhiozzi e sussurrò, con voce tesa -Clarke...dimmi qualcosa.- I capelli biondi erano aperti a ventaglio sul cuscino bianco, quando Clarke sollevò il viso vermiglio le si arruffarono attorno al volto, una bionda criniera; una leonessa in trappola. Deglutì, cercando di placare i singhiozzi -Ha...ha detto che devo scegliere subito.- L'aria, tra quelle ampie mura e vetrate, fu risucchiata via e Lexa annaspò, mentre le gambe le tremavano e il sangue le rombava nelle orecchie. -Scegliere...- sputò a fatica dalle labbra strette -Bellamy o Murphy...sono due ottimi ragazzi, di buona famiglia...- cinguettò, imitando la madre -entrambi sono perfetti partiti per te.-
Dovevamo avere più tempo...ancora un anno alla St Vladimir e poi l'università...più tempo.Prima o poi sarebbe comunque accaduto; entrambe erano costrette a svegliarsi da quel sogno mai espresso, avrebbero dovuto rinunciare a qualcosa di mai vissuto. Dovevamo avere più tempo.
Clarke le afferrò le mani, stringendole al petto. Lexa poté sentire il cuore della ragazza battere furiosamente, quasi volesse sfondarle la cassa toracica e tuffarsi tra le sue dita.
Sollevò il capo e osservò gli occhi della Moroi, pozze blu mare lucide e arrossate, traboccanti di lacrime. Quando la ragazza parlò, però, la sua voce era forte, tonante e decisa; un tamburo sul campo di battaglia. -Andiamo.- Lexa scrutò le profondità dei suoi occhi e vi scorse, tra la rabbia e la sofferenza, un accecante barlume di speranza. Una speranza che, forse, bastava per entrambe.
Andiamo via. Io e te, senza guardarci indietro.
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Vampire Academy
FanficStoria partecipante all'iniziativa "FemUniverse" del gruppo "In Femslash, We Trust (Official group)" ** Lexa Woods ha degli obblighi da mantenere. Clarke Dragomir ha un trono che la aspetta. Il mondo dei Moroi le osserva, ancora protette dalle mura...