Capitolo 8:Vuoi ballare con me?

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Lexa deglutì; immobile, statuaria, folgorata sul settimo gradino di quell'immensa gradinata marmorea, la mano sinistra artigliata alla balaustra perché senza appoggi sarebbe di certo svenuta di fronte a lei. L'intera sala si trasformò in un fiume mormorante dal quale colse a stento il nome di Clarke, la principessa, che rimbalzava da un angolo all'altro, dalla bocca di un anziano Moroi alle labbra di un servo, dalla mente di un guardiano alla gola di un giovane principe.

Lexa, il collo e le orecchie vermiglie, non poteva toglierle gli occhi di dosso, così restò lì, ad osservare quella figura eterea scendere verso il fiume, man mano che si avvicinava sempre più tumultuoso, i bisbigli diventati ora un sottofondo rumoreggiante, sempre più alto, sempre più intenso.

Quando la bianca scarpa col tacco sfiorò il settimo gradino, quel settimo su cui Lexa era rimasta, la giovane si protese impercettibilmente verso di lei, con un fruscio dell'abito bianco che indossava, e le sussurrò a mezza voce -Stasera.- Ebbe appena il tempo di annuire che Clarke svanì tra la folla, un sorriso sul viso niveo, la mano tesa a stringere mille altre.

Osservò un momento i capelli biondi, raccolti in un'elegante crocchia da cui scendevano due riccioli ad incorniciarle il viso pieno, le labbra rosse schiuse mentre chiacchierava con un anziano Moroi dai capelli brizzolati, l'aria distinta, il naso aquilino e lo sguardo che esplorava la folla.

La Dhampir si riscosse, non avevano molto tempo per mettere in atto il loro piano. Prima che il vecchio e slanciato orologio a pendolo, dal quadrante d'oro luccicante, della sala da pranzo, scoccasse la mezzanotte, tutto sarebbe dovuto essere pronto. E lei e Clarke sarebbero scomparse.

**

Clarke sorrise -è stato un vero piacere conoscerla, Lord Casterloy, mi rincuora sapere che l'Inghilterra sia così incline ad una riconciliazione col governo della Regina Tatiana. Il sangue Moroi è lo stesso ovunque, in qualunque paese.-

L'anziano annuì appena, lo sguardo ora fisso sul padrone di casa -Devo ancora ringraziare Lord Blake per avermi invitato, principessa...vogliate scusarmi.-

Clarke annuì graziosamente e si congedò dall'uomo, osservandolo allontanarsi in tutta fretta e raggiungere lo slanciato signor Blake, che lo accolse con una stretta di mano vigorosa. Sbuffò, lieta di aver portato a compimento l'ultimo degli incontri politici cui i Blake e sua madre l'avevano destinata per quella che sembrava una serata infinita, e cercò Octavia.

La sala che i Blake avevano allestito per la festa era immensa, alti soffitti a volta, decorati da affreschi raffiguranti un cielo di un limpido turchese e angeli dalle ali oro e zaffiro, riccioluti e fasciati da nubi biancastre, che stringevano lire e violini tra le dita paffute, torreggiavano sulle loro teste, immersi in un concerto silenzioso, sulle mura di pietra bianca, granitica, un motivo di intarsi seguiva la forma dello stemma di famiglia dei Blake e poi, la corona, stilizzata, del regno Moroi, grande e gelida, al centro della scalinata.

Sul pavimento di marmo bianco, milioni di scarpe lucide, che fossero dei nobili o dei servi in livrea, ticchettavano. Finalmente, con la coda dell'occhio, intravide una lucida chioma corvina, sotto la luce sfolgorante dell'immenso lampadario d'oro e cristallo, e le sembrò di riconoscere la giovane amica aggirarsi davanti al buffet, ma prima che potesse allontanarsi dalla pista da ballo, per raggiungerla, si ritrovò davanti sua madre, fasciata in un lungo abito nero merlettato, gli occhi azzurri la squadravano con serietà. -Clarke, figlia mia, Bellamy Blake e John Murphy sono davanti al buffet...hai deciso chi sceglierai come tuo consorte?- le sibilò la donna, le mani, osservò Clarke con una punta di imbarazzo, le tremavano dall'ansia.

Era davvero così pressante che lei trovasse un consorte adesso?

Perché ora?Perché non dopo il liceo? Dopo un anno sabbatico nelle grandi capitali d'Europa, centro e cuore dell'arte? Dopo l'università, la scuola d'arte?

Dopo una vita.

Scosse la testa, sentendo una fitta allo stomaco, un fiotto acido le gorgogliò nelle viscere, minaccioso.

Le solleticavano i polpastrelli, desiderosi di sfogare parte di quella frustrazione almeno nella carta e nei tratti precisi del suo carboncino; unica cosa che poteva controllare era la sua arte e talvolta, quando ritraeva Lexa, la sua Lexa, pensava di non avere il controllo nemmeno su quella.

-Penserò a tutto madre...non lasciate che queste preoccupazioni vi impensieriscano ulteriormente.- pronunciò, scandendo con rabbia fredda, pacata, ogni sillaba. La donna la osservò, forse ferita dal tono della figlia, forse riconoscente per aver mostrato la volontà di occuparsi del suo futuro, forse un po' entrambe le cose, e si allontanò nuovamente, in 

silenzio.

Dove sei?

Si chiese, la mente rivolta non alla più giovane dei Blake ma alla sua Dhampir dagli occhi verdi. Una mano, fredda, le strinse la spalla nuda, lasciata scoperta dal vestito, e Clarke sussultò. Octavia le rivolse un sorriso malinconico -Ho come l'impressione che questa notte... sarà definitiva.-

-Che intendi?- sussurrò Clarke, stringendole il polso e attirandola lontano dalla folla, fuori dalla sala, lontano dalle luci e dalle voci della festa.

Lì, nel corridoio buio che conduceva alla cucina, gli occhi marroni di Octavia brillarono di lacrime trattenute. -Ho parlato con mia madre, ha detto che dovrai scegliere un consorte e che sono certi che sarà Bellamy.- disse, rauca.

Clarke rabbrividì -non ho alcuna intenzione di farlo.-

In quella parte del maniero, nel corridoio usato dalla servitù, le lampade affisse al muro erano ancora ad olio, piccole lanterne che proiettavano sul viso di Octavia, intriso di lacrime, una luce tenue, tremolante. L'ultimo fioco bagliore della fiamma morente che danzava dietro i vetri lucidi. -Quindi è vero...questa notte sarà definitiva.- sussurrò -vuoi davvero...?-

Clarke annuì -Non dovrei stupirmi...era ovvio che l'avessi capito.- le confessò, la voce ora tremante, commossa.

Octavia sorrise -Buona fortuna.- le mugugnò, seppellendo la testa nell'incavo del suo collo -mi mancherai così tanto.-

Mi mancherai anche tu, O.

Da morire.

E la fiamma si spense.

**


Murphy e Bellamy, davanti al buffet, chiacchieravano, l'uno con un tovagliolo carico di stuzzichini, l'altro con un bicchiere di vino rosso che roteava, lambendo le pareti di vetro.

-Bellamy, per favore. Facciamolo in fretta.- sibilò Clarke, tendendogli la mano, calda, coi piccoli calli dati da matite, pennelli, carboncini.

Il Moroi posò il bicchiere sul bordo del tavolo, mentre Murphy si allontanava da loro con un sorriso rassegnato sulle labbra.

-Vuoi ballare con me?- disse, fingendosi sorpreso. Clarke gli lanciò un'occhiataccia, mentre lui si portava una mano al cuore, stringendo la camicia bianca, e una alla chioma corvina, sgranando gli occhi marroni.

Gli mollò un pizzicotto alla base del collo scoperto e il Moroi sghignazzò -Ahia! Va bene, principessa, calmati...- le afferrò la mano e la trascinò in pista, scuotendo la testa -significa che ci sposeremo?-

-Nei tuoi sogni, Blake.- sentenziò, mentre, ansiosa, col cuore che le batteva in gola, incrociava due familiari occhi verdi.


Stasera.

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