Your name

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«Stava per dirlo.» la mia voce era debole. Continuai a tenere Raum per mano.
«Cosa?» mi domandò.
«Il tuo vero nome.»
Si irrigidì sotto il mio tocco.
«Lo so, ed è questo quello che mi ha più di tutti terrorizzata.»
«Me lo dirai, prima o poi?»
«Non credo.»
«Perché?» insistetti.
«Perché non dovresti ricordarti di me come un'umana qualunque.» si alzò dalla sedia su cui era seduta. Le nostre mani poggiate sul tavolo si divisero.
Eravamo in un guaio enorme e non sapevamo da dove iniziare per trovare una via d'uscita.
«Ciò che dici non ha senso, non saresti una qualunque in qualsiasi caso.» la seguì, avevamo mangiato qualcosa giusto per riempirci lo stomaco, fuori la sera stava calando.
«Allora fatti andar bene anche Raum, d'accordo?»
Era sfrontata e sicura di se', senza essere cattiva. Le sorrisi con fascino, guardandola da una distanza considerevole. Ero molto più alto di lei.
«D'accordo.»

Notai subito il suo cambiamento improvviso, si era fatta pallida e barcollava come se avesse un tremendo mal di testa. Mi sbrigai a starle vicino, sfiorandola per tenermi pronto a sorreggerla nel caso avesse avuto un mancamento. Pensavo volesse dirigersi a letto, o a prendere qualcosa da bere, insomma, a far qualcosa di sensato. Ed invece non batté assolutamente le palpebre, fissando il vuoto difronte a se. Con passo ripetitivo, quasi fosse una marcia, arrivò a fermarsi davanti ad un parete. Vi poggiò le mani e poi un orecchio, socchiudendo gli occhi.
Le labbra semiaperte ansimarono piano, come se avesse i polmoni intasati di fumo e non riuscisse a respirare. Ma questa sofferenza puramente uditiva non si notò nel suo viso, che al contrario rimase freddo come niente fosse.
Le poggiai una mano sulla schiena, credendo che si fosse poggiata con la scusa di sentirsi poco bene.
Raum rimase ferma in quel modo, intensificando il verso del proprio respiro.
«Raum?» chiesi, preoccupato.
Con un dito iniziò a tracciare sul muro pulito delle linee immaginarie. Stava scrivendo o disegnando qualcosa, ma senza inchiostro non potevo capire di che si trattasse.
La chiamai ancora, senza essere troppo cruento nel distoglierla da ciò di così pericoloso che la stava manipolando.
«Io sono il Signore degli Spiriti, Oridimbai, Sonadir, Episghes, Io sono Ubaste, Ptho nato da Binui Sphe, Phas; Nel nome di Auebothiabathabaithobeuee dona potere al mio incantesimo, o Nasira.» prima fu un sussurro, tutto d'un fiato. Poi la sua voce si intensificò, paragonabile a quella di una vecchia e delirante megera; «Oapkis Shfe, Dona potere, Chons-in-Tebe-Nefer-hotep, Ophois, dona potere! O Bakaxikhenkh![3]»
«Raum basta!» alzai la voce per sovrastare quel suo verso veloce che pronunciava parole lunghe e difficili.
La trascinai via dal muro a cui si era abbandonata, non riuscendo assolutamente a farla muovere nemmeno di un centimetro. Era piantata a terra da una forza animalesca, che la teneva paralizzata, nel ripetere continuamente quel verso.
Agguantai il suo esile braccio, riuscendo a farla smettere, strattonandola con violenza indietro.
Raum rimase ferma tra le mie mani che le davano stabilità, sulle braccia e sulle spalle. Aveva in viso sempre quell'espressione assente.
Stava a significare, in quei casi, che non si trattava di lei, ma del mostro.

Mi prese una mano e se l'avvicinò alla bocca. I suoi gesti femminili e provocatori resero quello strano momento in un qualche modo erotico. Succhiò il mio dito indice, leccandone bene ogni parte come se fosse pronta a lasciarlo entrare nel proprio sesso. Respirai nervosamente, la fissai scioccato e confuso.
Guidò la mia mano sul suo viso, passandosi il dito unto di saliva sotto agli zigomi.
Non mi tolse gli occhi di dosso nemmeno per un istante. Di nuovo, notai che non batté assolutamente le palpebre.

«È il freddo.» disse a tono basso, pungente.
«Di che parli?» aggrottai la fronte.
«Del tuo pianto disperato, del tuo abbandono che riesci soltanto ad immaginare in milioni di modi differenti.»
«Raum...»
«Sei fottuto figlio di puttana, l'ho trovata. Il freddo è la prima.» al termine della frase la voce di Raum diventò molto più mascolina ed estranea. No, non era affatto lei.
La sua espressione cambiò radicalmente, scoppiando in una risata malsana. Tra grida e bocca spalancata, si fece spaventosamente maniacale.
Non ci volle molto prima che capì cosa intendesse dire, quella volta. Aveva trovato la mia prima paura, e nel corso di questa storia sarebbe riuscito a trovarne tante altre. Anche se non ne siamo consapevoli, anche se non lo ammettiamo a noi stessi, migliaia di paure si annidano nei nostri ricordi e nel nostro subconscio.
Non era Raum a partecipare a quegli episodio di pura follia, il suo corpo era solo un tramite, un po' come la tavoletta ouija.
La mia prima paura venne catturata, quelle del gelo, quando venni abbandonato da neonato e trovato da Odino. Tutta immaginazione, impossibile che io possa ricordare qualcosa riguardo a ciò, ma nel corso degli anni il pensiero ha inciampato spesso in qualche ipotesi.
E il demone voleva solo scavare a fondo nei miei timori e usarli per indebolirmi. Non sapeva ancora, però, che il mio terrore più grande era quello di poter perdere Raum.

Trascorremmo la notte nel letto matrimoniale dei suoi genitori. La tenni stretta a me perché per ore intere Raum tremò di freddo come se fosse in preda ad una fortissima febbre. Ma anche se appariva sofferente e non riusciva a star ferma, dormiva profondamente, senza nemmeno far caso a me.
Il fatto era, che più ripensavo alle sue labbra più avevo voglia di baciarle, e maggiormente la guardavo, ancora l'impeto di abbracciarla nella sua fragilità mi possedeva.
Non fraintendermi, non sono un inguaribile romantico, anzi, tutto il contrario. Però ho imparato a non amare nessuno, perché alla fine dei giorni crollerà prima di te e tra le mani rimarrà sono dolore lancinante. C'ero riuscito fino a quel momento, divertendomi per i diversi mondi con avventure di qualche notte e simpatie amichevoli. Anche dopo il mio tradimento alla corona, in giro si trova sempre gente pronta ad accoglierti o almeno a tollerarti.
L'ultima volta ci sono cascato con Frigga, la sua scomparsa improvvisa mi causa ancora tutt'oggi una ferita continuamente aperta, e da quel momento aveva deciso di non provare più nulla per nessuno. Ma poi è arrivata Raum.
E dopo di lei, il dolore più grande che potessi immaginare.

[3] "L'unzione di Khephnes l'egizio: chi si unge la testa con l'unguento di Khephnes avrà nel sonno visioni veritiere del futuro.
Quando la Luna cresce nella sua luce, poni in un crogiolo di terracotta una buona quantità d'olio del Loto, spargici un'oncia di mandragora in polvere e mescola bene con il fruscello forcuto dell'arbusto di rovo selvatico. Avendo fatto questo proferisci l'incantesimo di Yebus (tratto da diverse righe del papiro):
[...]"
Tratto da Necronomicon di Howard Phillips Lovecraft.

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