Seance 3

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Perché? Perché ero finito a cercare Raum per la seconda volta nel giro di poche ore? Tutta la struttura ospedaliera si era mobilitata nelle sue ricerche, e non sono neanche molto sicuro che quello screanzato del medico se la sia cavata. Un vantaggio che avevo sulle ricerche della paziente aggressiva erano le piccole tracce del suo sangue sul pavimento ed un sesto senso sviluppato un po' per l'incantesimo un po' per la mia disperata voglia di averla accanto, sana e salva. Raum doveva essere salvata, era l'unica creatura vivente che davvero avrei voluto salvare. Nella mia fantasia sporadica immaginavo io e lei unici padroni dell'universo, Loki seduto sul trono di Asgard e Raum inginocchiata al suo fianco con la testa poggiata su una delle mie gambe. Non una sottomessa, ma una dominatrice accanita, seduta solo per saltare meglio all'attacco, come un felino. Tutto talmente silenzioso, nel frangente troppo lungo prima di rivederla, che ebbi paura. Scesi due rampe di scale, inoltrandomi nel sotterraneo dell'ospedale dove la luce naturale veniva assassinata dai neon. C'erano solo corridoi lunghissimi, mura bianche e tetti bassi. Sopra la testa avevo un circuito numeroso di tubature che continuavano la loro corsa per tantissimi metri, come se fossero le vene e le arterie nascoste di quella struttura. C'era la totale desolazione, potevo udire solamente i miei passi nervosi contro il pavimento. Teso, persi l'orientamento, voltandomi di scatto e vedendo dietro di me un corridoio senza fine, identico a ciò che avevo davanti. Non potevo tornare indietro, deglutì e mi imposi di continuare. Le tracce di sangue davanti a me erano più ampie, immaginai subito che Raum si fosse sbarazzata della medicazione al piede ferito.

«Raum?» osai chiamarla. Poco prima avevo udito un profondo respiro sofferto appena pochi metri più avanti di me. Ecco, proprio in quel punto esatto la luce artificiale era spenta. Sembrava quasi un vicolo cieco.

In mia risposta si fece avanti una risata dal tono sdoppiato, il timbro maschile e maturo. Colsi immediatamente l'occasione per aumentare il passo e andargli incontro, sapevo che era lei.

«Raum!» un sorriso ebete comparve sul mio volto. I miei passi cessarono quando la voce parlò ancora; 

«No, non è lei.»

Strinsi i pugni e mantenni la calma; «Allora chi sei?» chiesi.

Quello rise sarcasticamente, notai un movimento nell'oscurità:

«Io sono il peccato. Sono l'ombra oltre la tua finestra che ti osserva la notte. Sono il buio e ciò che vi si nasconde in mezzo. Sono la figurazione spaventosa nella tua testa, sono il terrore e l'ignoto. Io sono la depressione, la disintegrazione, l'ansia. Sono il dolore alla ferita infetta che ti da il voltastomaco. Io sono te. Sono lo scricchiolio che senti sotto al letto, la carne putrefatta in una scena di morte. Sono il cadavere, sono l'assassino. Io sono. Sono la voce che ti chiama ma che non proviene da nessuno, sono ciò che ti avvolge lasciandoti perdere i respiro e soffocare. Sono il brutto sogno che ti fa pisciare addosso nel sonno. Sono.» pausa, mi tremavano le gambe. «Sono il demonio. Sarò la tua dannazione perpetua.»

La statura minuta di Raum prese contorno nonostante l'oscurità. Era scalza, il piede ferito aveva ancora qualche pezzo di garza bianca che Raum non era riuscita a staccare, la ferita però era scoperta, i punti di sutura in vista, disgustosamente brillanti per la copiosa perdita di sangue. Zoppicava, i ginocchi sporchi, come se avesse gattonato in maniera innaturale. Sulle mani e tra le dita il rosso carminio del sangue spiccava, un miscuglio puzzolente tra quello di Raum e del medico aggredito. I capelli li aveva tutti in disordine, irriconoscibile la mia bella poesia dagli occhi scuri. La bocca pallida, il mento sporco di vomito. Una puzza disgustosa quasi mi fece lacrimare gli occhi. 

Raum indossava solamente gli slip, l'ampio petto prorompente spiccava in una bellezza indistruttibile. Sul ventre lettere e numeri sanguinavano in delle ferite di media profondità. A destra, sotto la clavicola, era inciso un "si", a sinistra "no". Cascate di sangue le colarono sulla pelle. All'altezza dell'utero Raum si era tagliuzzata a lettere maiuscole "goodbye".

Rimasi sbigottito, fu lo spettacolo più raccapricciante che ricorderò di questo secolo. L'istinto fu quello di prestarle soccorso, ma la paura mi gelò le ossa. In mano teneva un bicchiere di vetro. Me lo porse.

«Parleresti con me, giovane Dio?» Raum sorrise. Allungai con ribrezzo il braccio e presi il bicchiere senza dare troppi cenni di esitazione. Non risposi nulla, seguì le sue istruzioni con lenta cautela e taciturna tensione. Raum aveva in viso un'espressione rasserenata e soddisfatta, non tolse gli occhi da me e si sdraiò sul freddo pavimento. Dritta, con le caviglie unite e le braccia lungo i fianchi, distanti però dal corpo. Le labbra pallide erano contratte nella loro pienezza tra un sorriso contraddittorio e l'insofferenza. Il sangue colò dall'addome fino a terra. Mi inginocchiai accanto a lei e poggiai il bicchiere capovolto al centro del suo ventre.

Ricordavo una delle regole più importanti, ovvero quella di non giocare mai da solo. Se in precedenza la mia partecipazione a quel gioco era stata disastrosa, cosa sarebbe potuto accadere in quelle circostanze? Il corpo di Raum si era trasformato nella tavoletta stessa. Respirava, e l'oggetto di vetro contro la sua pelle ferita ondeggiava guidato dai movimenti leggeri. Mi concentrai tenendo il dito indice sulla base del bicchiere, e poi, con difficoltà, compì un giro attorno alle lettere. Uno soltanto per me, partecipante esclusivo. Aspettai che qualcosa si muovesse, ma per i primi istanti non accadde nulla. Sapevo anche, però, che il demone voleva che interagissi a dovere. Ed io accettai la sfida.

«Con chi sto parlando?» chiesi.

La risposta fu "sai gia".

Non gli diedi il permesso di sfidarmi, provocarmi o prendermi in giro. Strinsi i denti e parlai con tono maggiormente autoritario; «Voglio sapere il tuo nome.»  

Il bicchiere sotto il calore del mio polpastrello tremò vertiginosamente. Le lettere che indicò si composero assieme con straordinaria velocità. Raum stava sudando, soffrendo con versi trattenuti, aveva un barlume di lucidità, come se stesse lottando.

«Riley.» non riuscì a evitare di pronunciarlo ad alta voce. Raum gemette di colpo, boccheggiando quasi nel tentativo di vomitare qualcosa. Piantò le dita per terra e graffiò il pavimento con le unghia, lasciandone un paio dove si erano incastrate, in mezzo al sangue. Batté la testa in preda a violenti scatti, irrigidendosi spaventosamente. Poi prese a strillare.

«Non dovevi sapere il mio nome!»

D'istinto la misi a sedere, prendendola per le spalle. In quello stato, sotto i miei occhi attoniti, feci fatica a trattenere le lacrime preoccupate.

«Voglio aiutarti.» le dissi bagnandomi il labbro.

«Non dovevi sapere il mio nome!» insistette.

«Riley?» lo domandai timorosamente. Sapevo che quello era il vero nome di Raum. Le tremò il labbro, increspò le sopracciglia e mi parve che stesse per avere una crisi nervosa. Mi afferrò i lunghi capelli neri da dietro, finì per piegare il capo indietro ma non mi opposi. Raum -Riley- avvicinò la sua bocca alla mia e sussurrò con isteria;

«Devi ammazzarlo, devi levarmi la vita. Solo in questo modo se ne andrà.» subito dopo una voce totalmente diversa dalla sua esalò una frase ricca di cattiveria, la presa su di me andò a ferirmi;  «Dopo devi stuprare il cadavere di questa puttana, sì, devi farlo, perché io non me ne vado, ormai lei è mia. Riley è tutta mia.»

Scansai il braccio della ragazza lontano da me, stringendole il polso con forza.

«Lei è nata libera, e lo sarà per l'eternità.» ringhiai infuriato.

Il demone incominciò a ridere schifosamente, forte, senza tregua, sbavando vergognosamente.

Un forte rumore provenne dalle mie spalle, come se un calcinaccio fosse caduto per terra. Il mio movimento nel voltarmi a guardare da dove provenisse quel suono e ritornare a fissare Raum fu estremamente veloce. Il viso di Raum non era più divertito, piuttosto superbo e sarcastico. Odiavo che quella bestia si prendesse gioco di me.

«Corri, scappa, sotterrati. I morti sono qui, e non sono più le stesse fottute anime del cazzo.» mi disse.

Dovevo andarmene, ma non l'avrei mai fatto senza Raum.


Ouija ||Loki||✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora