Seance 1

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Raum posò delicatamente il dito indice sul puntatore, così che anch'io potessi imitarla. Fremevo di impazienza, benché una parte di me attendeva un episodio eclatante che somigliasse almeno un po' alle tradizioni simili del mondo in cui ero cresciuto. Raum trascinò la planchette a compiere due giri orari al centro della tavoletta -uno per ogni partecipante- e rimase ferma, aspettando.
«C'è qualcuno qui con noi?» la sua voce era fredda, seria quasi da farmi venire la pelle d'oca. Tenne gli occhi sulla tavoletta di legno, senza perderne nemmeno uno sguardo.
Io la guardai con divertimento, trovando a tratti buffa tutta quell'ostilità convinta. Frenai l'impulso di parlare, perché mi ricordai della sua raccomandazione che mi imputava di star in silenzio, perché soltanto una persona poteva far domande, e quella padrona della sessione era proprio Raum.
Sospirai dal naso, con svogliatezza annoiata. Per i primi cinque minuti circa tutto rimase immobile.
Quando la mia attenzione andò quasi del tutto persa, allora le nostre mani vennero trasportate dall'oggetto.
No, non ero di certo io ad ingannarla fingendo di comunicare false storie, e di certo la piccola mano di Raum non aveva tutta quella forza capace di far slittare il puntatore sulla tavola quasi come se stesse volando.
Rimasi ammutolito, con gli occhi meravigliati. La carezza della plastica contro il legno sembrò emettere un rumore simile ad un respiro. Un enorme sorriso comparve sul volto di Raum, contorto.
Lei mimò con il labiale le lettere che composero la frase.
«Sono qui.» disse, leggendo ciò che era stato detto dalla Ouija.
Tutti e due ci scambiammo una veloce occhiata reagendo con un sorriso entusiasta, ingenui ed infantili.
«Qual è il tuo nome?» seconda domanda da parte di Raum.
Fu come se una mano gelida si posasse sul dorso delle nostre, e ci indicasse la direzione in cui trascinarci.
«Billy.» Raum corrugò la fronte, caricandosi di sicurezza.
«Quanti anni hai?»
Sciocco, a pensarci adesso fui solamente un idiota. Loki, il dio degli inganni, ingannato da un morto.

«10
«Come sei morto?» le domande di Raum iniziarono a farsi più interessanti, e pericolose.
Il puntatore si mosse molto più velocemente, quasi non riuscì a tenere il dito poggiato sopra di esso.
«Mamma
Guardai Raum, stranito e confuso da quella risposta. Lei fece spallucce, dicendomi; «Spesso sono anime deboli, le loro risposte possono essere imprecise.»
La ragazza tornò a guardare la tavoletta, raddrizzando la schiena.
«Mi conosci?» sorrise nel chiederlo. Con un movimento secco, il cerchio cavo puntò sul "Si".
L'eccitazione per nulla timorosa di lei mi trasmise calma, non mi sentivo per nulla spaventato da quel contesto.
«Dimmi qualcosa che sai sul mio conto.»
Non la fermai, purtroppo. Lasciai Raum nella propria convinzione sicura, che la piegò.
La frase in questione fu molto più lunga, ma composta in una maniera talmente fluida e perfetta che io, nel mio dubbio, pensai che un bambino di dieci anni non sarebbe stato capace di rispondere tanto bene.
Raum impallidì, percepì tanto timore tra le sue labbra. Io ero stato poco attento, non avevo fatto attenzione ad ogni lettera indicata.
«Cosa ha detto? Che significa?» curioso, mi preoccupai anche della reazione di lei. Sospirò, il capo chino verso la tavola.
«Ha parlato della mia gamba sinistra, e mi ha dato una data.» respirò piano, per regolarizzare il battito del suo cuore.
«E dunque?» continuai, non riuscendo a capire.
«Dobbiamo terminare la sessione.» mi fulminò con lo sguardo serio, i suoi occhi marroni dissero tanto altro capace di ammutolirmi. Annuì, senza chiedere il perché.
«Possiamo salutarti?» provò a domandare.
Il rumore stridente sul legno mi fece raggelare il sangue, il puntatore indicò "no".
Raum non perse la calma, ma apparve scossa.
«Ci seguirai una volta chiuso il contatto?»
La risposta fu "si".
Raum strinse i denti, io iniziai a non divertirmi più.
«Ci stai prendendo in giro, il tuo nome non è Billy. Dimmi, sei buono o cattivo?»
Stavolta le nostre mani vennero trascinate lentamente, in un'attesa snervante. A noi si destò l'immagine della luna.
Raum non parve affatto contenta. Disse «Goodbye.» con tono autoritario, e trascinò da sola la planchette in fondo alla tavola, chiudendo la seduta. Subito, allontanando i due pezzi della tavoletta.
Io poggia la schiena contro la sedia, sospirando con sollievo. Risi per scaricare quella tensione accumulata allo stomaco, entusiasta come prima; «Wow, è stato davvero interessante.»
«Già, ma non dobbiamo più farlo, non in casa mia.» Raum non sembrò affatto meno preoccupata.
«Cosa c'è che non va'? Hai paura che ci venga a cercare nel letto?» fui spiritoso, usando molto del mio sarcasmo. Mi misi in piedi seguendola fino alla cucina, dove si era appoggiata.
Esitai prima di accarezzarle una spalla e avvolgerla con un braccio, senza essere troppo avventato.
«Hai visto cosa ha detto, potrebbe essersi annidato in casa. Spero solo che non accada nulla, altrimenti mia madre mi concia per le feste.»
«Ehy, no.» scossi il capo con premura, facendola voltare difronte a me. Le mie mani grandi sulle sue braccia fragili.
«Tu non capisci, io faccio dei sogni particolari certe volte, come mia madre.» si strinse la vita, preoccupata.
«Cosa in tenti con "particolari"?» il mio fascino ammaliatore le strappò un sorriso tenero.
«Molti non mi credono, ma vedo simboli e scene significative quando sogno. E poi capita abbastanza frequentemente che qualcuno mi si palesi e mi dica il proprio nome. Certuni parlano delle loro famiglie, oppure hanno dei messaggi da dire a qualcuno.»
«E lasciami indovinare, queste entità altro non sono che spettri e fantasmi?»
«Esatto.»
Per attenuare la sua evidente preoccupazione mi permisi di avvicinarmi un po' di più, quasi a sforare il viso, se lei non fosse stata così bassa ed io così alto. Le portai i capelli dietro le orecchie, facendola arrossire.
«Questo fantasma non verrà a darti fastidio, sta tranquilla. E di certo qui nessuno farà la spia con tua madre dicendole del gioco che nascondi.» le dissi.
Raum si morse il labbro abbassando il viso. Tirò la mia cravatta nera giocando un po', sotto di me.
«Ve ne sono grata, mio signore.» fece, con provocazione.
«Serve venia per il popolo.» dissi, e Raum sorrise ancora. Restammo bloccati nel vortice di noi due che si era creato tra i nostri sguardi, estranei alla preoccupazione appena superata.
A distrarci fu il ringhio minaccioso nel piccolo cane dal pelo lungo, seduto al centro del corridoio. Puntava qualcosa di indefinito, fissando il vuoto.
Raum si precipitò ad accendere la luce, ma l'animale non smise di prostrarsi aggressivo. La ragazza si avvicinò con passo cauto alla fine del corridoio, non riuscendo a trovare nulla che provocasse la reazione del proprio quadrupede.
Anche quei fastidiosi pennuti che teneva nella propria camera presero a cinguettare forte, sbattendo contro le pareti della gabbia, in un vano tentativo di scappare.
Raggiunsi Raum, mettendomi spalla a spalla con lei. Sapevamo entrambi di non poter giustificare quella stranezza.
Lei guardò un'ultima volta davanti a se facendosi coraggio.
«È ora di andare a letto, si è fatto tardi.»

Ouija ||Loki||✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora