That night

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Chi avrebbe mai pensato che io, Dio della discordia, avrei rimesso piede in quella squallida terra chiamata Midgard?
Eppure i miei capricci mi portarono a cercare svago in quella civiltà umana che vive nel caos che tanto mi piace creare. Loki da Asgard, il figlio bastardo, il reietto dal padre ti tutto. Odino sa' essere talmente noioso a palazzo, sapete? Buffo che l'Ingannatore -come si divertono a chiamarmi- si sarebbe trovato coinvolto tra le grinfie estranee di una ragazzina qualunque.
Ma credo sia doveroso dover raccontare tutto dall'inizio. Una storia dell'orrore? Oh no, qui non ci sarà paura. Lei non ne aveva.

Quella notte mi trovai a girovagare per le strane umide di un piccolo paese, lessi in qualche volantino stracciato che "a Bayonne si faceva il mais più buono nel New Jersey!", mi maledì per non essermi avventurato in un qualche quartiere a luci rosse in cui poter esternare tutto il mio amore per i distinti sessi. Ma in fondo non mi pentì sul serio di quella tappa, capitata per caso da un passaggio segreto tra i monti di Asgard. Giusto per non riferire a quel simpaticone di Heimdall le mie personali scappatelle.
Case tranquille, già completamente spente, famiglie ordinarie al sicuro tra le loro coperte. Disgustoso.
In fondo al vialetto, però, un lotto in fremito parve chiamarmi.
Tra l'erba ben tosata stavano adolescenti sdraiati in terra fra lattine di birra, e ragazzi completamente ubriachi che si azzuffavano e ridevano come animali. Nessuno mi notò, entrai in quella casa dalla porta spalancata come chiunque altro. Certo, tra di loro io ero quello più adulto, mi sentì canzonare da qualche ragazzina pseudonimi come "nonnetto" oppure "spacciatore", ma fui sordo a quei deliri. Ero abituato a trovarmi tra la gente ubriaca, sono tutti uguali, stupidi e ridicoli. Uno come me potrebbe manipolare ogni tratto di un poveretto simile, le mie doti però preferisco riservarle per diversi scopi.
Non riuscì a distinguere gli ambienti delle classiche case midgardiane, ad esempio la cucina, oppure la parte da notte. Ragazzi e ragazze ammucchiati un po' ovunque, in uno sfondo disordinato e musica così alta da far vibrare i timpani. Feci un giro molto più accurato, alla ricerca di qualcosa di interessante. Sentivo di non dovermene andare, lei mi stava già chiamando.
Propio come un sacrilegio, i miei occhi si avvinghiarono ad un cerchio di ragazzi seduti in terra, a gambe incrociate, e tra di loro una tavola di legno con diverse lettere dipinte sopra.
Le loro facce mi riempirono il cuore di divertimento, poche volte riuscivo a gustare così tanto spavento nell'espressione di qualcuno. Quella che, però, spiccava come una candela bianca tra quel cerchio di fiammiferi spenti era una ragazza, l'unica a parlare. Come già detto, lei non aveva paura.
Le mani pallide e piccole, evidenziate dal contrasto che lo smalto nero le dava sulle unghia tagliate corte e disordinate. Su quasi ogni dito aveva un anello, brillava di strass o luccicava per l'oro, qualcuno in rame ossidato. Teneva l'indice su una planchette a formare una sorta di grossa freccia arrotondata, simile alla sagoma di un cuore, o di un petalo. Al centro di questa, un cerchio vuoto che indicava le lettere sulla tavoletta su cui si muoveva.
L'unica a parlare, come già detto, era esclusivamente lei. I presenti la guardavano attonita, lo sconcerto e la curiosità negli sguardi. Mi avvicinai di più, con la vana speranza che mi notasse.
Aveva i capelli tagliati corti, non le sfioravano nemmeno le spalle. Lisci, divisi al centro e tenuti dietro alle orecchie. Il viso dolce, piccolo e maturo, con tutta la scaltra avventatezza di quella stanza addosso.
Le labbra erano la parte più bella; disegnate perfettamente senza ritocchi, delineate nella propria naturalezza carnosa da un colore rosso scuro, caldo e pesante. Su qualsiasi altra ragazza lì presente quel rossetto sarebbe sembrato troppo volgare o azzardato, ma a lei stava divinamente, con un'eleganza semplice paragonabile a quella di Freya.
Il sorriso sulla sua bocca, e la convinzione ostinata negli occhi brillanti mi affascinarono. Ho sempre amato scorgere comportamenti differenti, specialmente nei vari pianeti. La lettura non mi basta quando si tratta di osservare, e mi dispiace ammetterlo, ma quella ragazzina mi diede più parole di tutti i libri che avessi letto nel corso della mia lunga vita.
Chinandomi leggermente verso quel cerchio riuscì a distinguere la sua voce.
«Dimmi il tuo nome.» corrugò le sopracciglia, con un sorrisetto quasi contorto. I presenti coinvolti in quella specie di giochetto si terrorizzarono soltanto a guardarla. Una folle che quasi si divertiva a gustare il timore delle proprie vittime.
Mi intrigava di già.
Le sue mani accompagnarono velocemente quell'oggetto che compose una specie di frase, passando sopra quelle lettere, e lei si accigliò con così tanta attenzione da non accorgersi nemmeno del mio sguardo di sfida, solito provocatore affascinate.
«È un bel nome, il suo?» alzai la voce, sfidandola. Lei, con le labbra semichiuse, mi squadrò improvvisamente. Sorpresa e insospettita. Ero certo, mi aveva già riconosciuto. I notiziari di tutto il mondo avevano stampato la mia faccia in primo piano dopo quella frivolezza di New York.
Si inumidì il labbro bordeaux con la punta della lingua, sembrò quasi sensuale. Mi guardò con buffa minaccia, ignorando quelli che sembravano i suoi amici, richiamarla per il timore di quella tavolozza inquietante.
«Si, scommetto che lo è più del tuo.» con superiorità sfacciata alzò il mento, sorridendomi senza cattiveria. Fece scivolare la corrente di mani in fondo alla tavoletta, su una frase -Goodbye- facendo alzare un sospiro di sollievo generale. Si mise in piedi, il puntatore ancora in mano.
Scavalcò tutti, con passo superiore, divertente. Vestita con un jeans a vita alta, che le fasciava perfettamente il fisico magro e tonico. Ammetto che non mi privai il piacere di guardarle le cosce.
La pancia piatta scoperta fin sopra l'ombelico da un top rosa chiaro che inutilmente, con la scollatura incollata al petto, copriva il suo abbondante seno. Io, senza ritegno, guardai anche quello.
L'unica pecca era la sua altezza, e non perché io fossi una statura considerevole.
La guardai dall'alto verso il basso, i miei lunghi capelli neri scivolarono sulle spalle. Lei mi poggiò al centro del petto il puntatore di plastica.
«Ti piace sfidare i morti per caso?» mi chiese.
«E a te piace sfidare gli dèi?» replicai. Mi rise in faccia senza essere maleducata, strappandomi un sorriso involontario.
«Allontaniamoci da questo casino, non riesco a sentire un cazzo!» gesticolò divertita, attutendo il rimbombo della musica. Annuì, seguendola anche in quella breve pausa che la fece piegare per riappropriarsi della tavoletta rimasta in terra. Salutò il gruppo di ragazzi ammiccando, ricevendo delle prese in giro piuttosto volgari dalle amiche.
Lei camminò avanti a me, guidandomi fino alla porta di servizio, facendosi largo tra la confusione che puzzava di vomito e alcol.
Ci trovammo nel giardino dove l'aria era più fresca e respirabile, in cui a riempire lo spazio c'era soltanto qualche coppia troppo distratta per dare retta a noi due.
Lei si sedette su un tavolo da picnic, invitandomi ad imitarla, sulla sedia difronte a lei per raggiungere finalmente la stessa altezza (più o meno).
Poggiò la tavoletta al suo fianco, sorreggendosi in avanti con le mani tra le gambe, a penzoloni.
I capelli le sfiorarono la mandibola, il suo sguardo mi divorò di curiosità. La assecondai con espressione sarcastica.
«Ti ho già visto da qualche parte.» mi disse. Trovai più che curioso il fatto che si rivolgesse a me con così tanto interesse, che poi ero uno sconosciuto molto più grande di lei, al massimo diciottenne. Altro particolare che notai di lei, seppur la notte poco illuminata non traspariva molte fonti di luce, fu il suo tatuaggio sul braccio destro, una frase. Si accorse dell'impegno che ci stavo mettendo per capire le parole attraverso il buio, finendo per richiamarmi schiarendosi la voce.
«Prova ad indovinare.» le suggerì, poggiandomi sulla sedia da giardino quasi fosse il mio trono.
«Non dirmi che sei un serial killer, perché sarei davvero sfortunata ad essere abboccata alla tua esca.» rise, ed io scrollai il capo.
«Quasi.» risposi.
Si portò una ciocca corta di capelli dietro all'orecchio, accarezzandola finché non terminò nella sua lunghezza. Emise un mormorio pensoso, assottigliando lo sguardo.
«Ad esclusione, direi di averti già visto alla TV. New York mi fa guadagnare qualche punto?»
Serrai le labbra sottili in un sorriso amaro, annuendole piano. Alla mia conferma la vidi saltare sul posto, entusiasta. Si fece scappare qualche urletto emozionato, scompigliandosi i capelli.
«Ne ero certa, da quando ho sentito la tua voce!»
«Come fai a conoscere la mia voce?» le domandai provocatorio e confuso.
«So' riconoscere qualcuno di interessante quanto lo sento.» mi ammiccò buffamente, battendo le mani. Avrebbe potuto sembrare stupida o apatica, ma mi trasmise così tanta serenità da incantarmi nello spazio tra il suo viso delicato e il fosso delle clavicole al petto.
«Mia signora, Loki è al suo cospetto.» le porsi una mano e simulai un inchino regale. La sua emozione fu oro per me. Rispose con una serie di imprecazioni eccitate, esaltandosi ancora un po'. Non credevo possibile che qualcuno sulla terra potesse ammirarmi tanto, e gioire alla mia presenza dopo ciò che avevo fatto. Il mio smoking nero iniziò a diventare freddo per l'umidità della notte.
«Allora, vorresti concedermi l'onore della tua presentazione?» misi in gioco la mia tentazione predatrice, alla quale lei non abboccò.
«Non ti dirò il mio vero nome, dopotutto sei sempre uno sconosciuto, e mamma dice sempre di non parlare con simile gente losca, soprattutto se ha ammazzato delle persone e viene da un altro pianeta» raddrizzò la schiena, petto in fuori «ma puoi chiamarmi Raum, come fanno molti dei miei amici.»
Affascinato la persuasi ancora, con voce ammaliante; «Oh, e cosa significa?»
«In tedesco "spazio", ma non è la traduzione che mi importa. Raum è un demone notturno, a capo di trenta legioni di spiriti. Egli può creare amore e amicizia, anche tra nemici. Può distruggere ogni cosa, dalla reputazione ai benefici fisici. Può donare capacità di comunicare con gli animali e con gli uomini attraverso la telepatia. Raum narra storie del passato, di ciò che è e di quel che sarà. Manifesta una grande abilità nel sottrarre oggetti da un luogo per trasportarli ad un altro, del quale però bisogna fornire una dettagliata descrizione. Raum può assumere le sembianze del Crovo, oppure umane.» la ragazza si portò le mani al petto, sicura «Io sono Raum.»
«Sei a conoscenza di molte cose.» la istigai, stranito e sorpreso dalla sua spiegazione.
«Anche e soprattutto sul tuo conto, ho studiato molto su di te.» parve emozionata a confessarmelo. Curioso, mi avvicinai a lei strisciando le gambe della sedia sul portico.
«Del tipo?» aggrottai la fronte con fare divertito.
«Del tipo che tu sei il dio del caos e degli inganni, figlio e fratello adottivo di Odino e Thor. La tua figura è molto ambigua, spesso negli scritti cristiani vieni identificato come il male.» mi spiegò con attenzione.
«E perché verrei classificato ambiguo da voi terrestri?» la misi ancora di più sotto pressione.
«Ecco, per diversi motivi. L'etimo del tuo nome viene legato al fuoco, sia alla distruzione. Le tue vere origini risalgono ai giganti ghiaccio, tuo padre difatti era Laufey. Se non entro troppo nei tuoi affari privati, dopo esserti mangiato il cuore della gigantessa Angrboda» rise distrattamente nel tentativo di pronunciare quel nome «partoristi vari esseri mostruosi come il lupo Fenrir, il serpente Jormungand e in fine la dea della morte Hela.»
Quasi mi fece restare ammutolito da quella confessione che per la maggior parte delle volte preferisco tenere nascosta. Giocò con gli anelli, più nervosa.
«Una volta rubasti i gioielli di Freya, e rasasti i capelli di Sif!» mi fece ridere il modo in cui cercò di recuperare il suo imbarazzo, notando il mio cambiamento di umore. Subito quella sua voce mi riportò allegro, lontano dal pensiero del destino troppo crudele dei miei figli.
«Aggiungeresti anche che da voi sono definito omosessuale, se non bisessuale.» la provocai nuovamente.
«Che male c'è a godere di entrambi?» fece spallucce, facendomi ridere.
«E a te cosa piace?» mi porsi verso Raum, abbassando la voce. Notai il suo improvviso disagio, eppure non si scompose. Schioccò la lingua e mi rispose con lo stesso tono: «A quanto pare, mi piace quello che hai tu tra le gambe.»
Indicò il cavallo dei miei pantaloni neri con gli occhi.
«E come fai ad essere sicura che non abbia qualcosa simile alla tua. Non sono ambiguo io?»
«Non puoi ingannare proprio me, vedo bene cosa c'è lì sotto.» scese dal tavolo con un salto, la tavoletta sempre sotto braccio. Le andai dietro velocemente, rapito dalla sua figura.
«Conosci anche la storia di queste cicatrici?» la feci voltare verso di me, Raum sempre bassa. Posai un dito sul mio labbro, indicandole delle cicatrici bianche, piccole come punti, brillanti come stelle.
«Ingannasti i nani ad una scommessa e per punirti ti cucirono la bocca con una correggia che si chiamava Vartari.» Raum si avvicinò di più al mio viso per guardare meglio, come speravo.
«Bene, promossa anche in questo.» le accarezzai una ciocca di capelli, che mi sfuggì subito dalle mani per la poca lunghezza. Lei si pietrificò, diventando rossa.
Ci scambiammo una fugace occhiata, finché lei non interruppe il silenzio.
«Non c'è più niente di divertente qui, ti andrebbe fare un giro sulla mia auto? Magari andiamo a compare qualcosa da mangiare.» propose.
«Se ti fidi di un serial killer.» ironizzai.
«Basta che non ti venga in mente di legarmi nel bagagliaio e sacrificarmi sotto la luna piena!» Raum rise, portandomi lontano dalla festa.

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