03. Lui è qui

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Fissai attentamente l'espressione seria del medico. Era stato lui, mesi fa, a darmi la notizia. Lui mi aveva detto che stavo aspettando un bambino.
Sempre affascinante e impostato, era evidente la sua dedizione al lavoro e quando fosse fiero di indossare quel camice bianco.

"Il bambino?" non resistetti. Lui alzò lo sguardo e per un attimo mi parve di vederlo felice del fatto che io avessi aperto bocca.

Rimase in silenzio, tornò a controllare i fogli e sospirò. Dannazione. Il sangue mi si gelò nelle vene, trattenni il fiato per secondi che parvero infiniti.

"Per favore, mi dica cosa.." non riuscii a concludere la frase. La sua possente ma calma voce sovrastò la mia decisamente più flebile.

"Il bambino sta benissimo" ammise, afferrando una penna da dentro il taschino sul petto.

Socchiusi gli occhi: era come se fossi stata estratta viva da sotto una parete carica di tensione e ansia. Ecco, un peso enorme che mi stava schiacciando, il pensiero di perdere il bambimo che portavo in grembo che mi aveva impaurita.

"Chi mi preoccupa è la madre" disse.

Io rilassai i muscoli e guardai altrove. Ero distesa sul letto della stanza di ospedale, mi avevano da poco sfilato via l'ago della flebo e l'infermiera era intenta di fianco al medico a sistemare l'apparecchiatura.

"Sto bene"

"Non si direbbe" si affrettò a dire. Stavo prendendo in giro un uomo che stringeva in mano una cartella clinica carica di miei dati personali. Sapeva meglio di chiunque altro che non stavo affatto bene, eppure non riuscivo ad ammetterlo. Forse per paura di crollare definitivamente.

"Possibile che ogni volta che ti visito, devo incitarti a mangiare? Sei una bambina o una donna adulta?"

Mi voltai di scatto verso di lui. Io ero una ragazza che aveva deciso di entrare a far parte del mondo degli adulti troppo presto e quando ormai ero diventata una di loro, avevo iniziato ad odiare quel mondo che mi stava stretto.
Ero una ragazza madre che di gravidanza ne capiva poco e niente. Più niente che poco. Ed ero così emotivamente instabile da spaventare chiunque, anche un adolescente che gli sbalzi d'umore li mangia a colazione.

"La nausea mi impedisce di mangiare anche una sola briciola di pane, a volte"

"Sei svenuta perché eri a corto di liquidi, Lydia. Da quando non bevi un bicchiere di acqua?" proseguì con le domande scomode.

Io non ero assetata, ma era evidente che il mio corpo lo era eccome.

"Credo che abbia le risposte a tutto" indicai i fogli che aveva in mano.

"Non puoi andare avanti così. Hai già dovuto far fronte all'iperemesi gravidica" era come se mi stesse rimproverando mio padre. In quel momento, lui non era più semplicemente il mio medico ed io non ero più solo la sua paziente problematica.

"Basterebbe sforzarsi un po'"

"Ci sto provando!" esclamai in preda ad una crisi nervosa. Ci stavo provando sul serio, su questo ero sincera.

Il Dottor Smith mi fissò. Lui sapeva che non stavo mentendo. Sospirò e si avvicino alla mia figura, io mi voltai nuovamente dalla parte opposta con il viso.

"Lo vuoi questo bambino, Lydia?" mi chiese. Dovetti elaborare le sue parole, le quali arrivarono affilate come coltelli.

"Che significa?" non mi piaceva quel discorso.

"Rispondi alla mia domanda: lo vuoi questo bambino sì o no?"

"Ovviamente" mi affrettai a dire. "Lo voglio" portai la mano sulla mia pancia. "E non capisco dove vuole arrivare"

The Feeling 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora