02. Una codarda

2.4K 121 20
                                    

"Ti vedo pensierosa" ruppe il silenzio.

Alzai lo sguardo dal mio piatto carico di pasta al ragù, preparata accuratamente da Noah, il quale aveva quasi finito di mangiare la sua portata.

"Non saprei" mi strinsi nelle spalle, fingendo. Ci aveva visto lungo.

Il pensiero fisso dell'uomo visto sul pullman di fianco la macchina di Noah, aveva tenuto occupato la mia mente per tutto il pomeriggio. Anche durante la cena; non avevo toccato pezzo di pane, né sorseggiato un millilitro di acqua.

"C'è qualcosa che non va? Non ti piace la pasta?" domandò Noah, afferrando il bicchiere di cristallo contenente del vino rosso.

"Cosa? No, assolutamente no!" scossi energicamente il capo. "La pasta è squisita, come tutte le volte" forzai un sorriso. Il problema non era di certo la pasta al ragù, ma io. Io ero il problema, come al solito.

Era una problema pericoloso la mia necessità di doverlo cercare ovunque, nella speranza di trovarlo. In mezzo la folla, tra la gente, appena mettevo piede fuori casa. La testardaggine che mi portava a non arrendermi, mi stava lacerando poco a poco. Ero emotivamente instabile e la gravidanza aggravava i miei sbalzi d'umore.

Non ce la facevo a metterci una pietra sopra. Riuscivo a malapena a pronunciare il suo nome, eppure era costantemente nei miei pensieri. E mi tormentava. Pensavo a come stesse, se fosse finalmente felice di fianco a sua figlia, se avesse finalmente trovato quella serenità che non ero stata in grado di dargli io.

"E allora perché non hai mangiato niente? La pasta al ragù ti piace tanto e hai sempre..."

Posai bruscamente la forchetta nel piatto, provocando un rumore che lo zittì.

"Noah, non ho fame. Non insistere" strinsi i denti e mi pulii le labbra con il tovagliolo. Un attimo dopo tirai indietro la sieda e mi alzai con il suo sguardo che mi bruciava addosso. Mi allontanai dalla stanza, lui strinse i pugni sul tavolo, abbassando lo sguardo.

Una volta raggiunto il corridoio presi un gran respiro: dovevo stare calma. Contare fino a dieci. Iniziai lentamente, tenendo il tempo con i passi. Mi ripetevo che sarebbe andato tutto per il verso giusto.

Raggiunsi la porta della camera da letto ma quando afferrai la maniglia, mi fermai. Con la coda dell'occhio fissai la porta socchiusa della stanza del lavoro. Il posto in cui Noah dava libero sfogo alla sua immaginazione e creava i meravigliosi quadri che erano appesi su ogni singola parete che andava a costituire l'appartamento.

Erano giorni, settimane che non vi entravo. Per qualche assurdo motivo, avevo evitato qualsiasi incontro ravvicinato con quella stanza.
Mi voltai con calma, tesa. Allungai il braccio e aprii la porta, sbirciando all'interno. La luce ovviamente era spenta.

Testai il muro con le dita fino a raggiungere l'interruttore che schiacciai, titubante. Quella stanza non era mutata di un singolo particolare. I pennelli, le tavolozze, tutte erano posizionate nello stesso modo di quando vi misi piede la prima volta, molto tempo prima.

Si respirava come al solito un'aria di tranquillità, macchiata dell'intenso odore di vernice, acquerelli, giornali. L'acqua all'interno dei barattoli di vetro era sporca, tendente al nero. Questo stava a significare che Noah aveva da poco utilizzato i suoi attrezzi, altrimenti avrebbe immediatamente gettato quella poltiglia sostituendola. Sicuramente quel pomeriggio di rientro dalle compere, quando io ero andata a riposare.

Mi avvicinai al tavolo, afferrai un pennello e lo rigirai tra le dita, osservandone i particolari. Era uno dei più nuovi, lo si poteva ben constatare. Lo posai e ne presi un altro. Procedetti allo stesso modo per alcuni secondi, il tempo di ritrovarmi faccia a faccia con la tela coperta da una coperta ormai macchiata.

The Feeling 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora