06. Fuori luogo

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Dovunque andassi, ovunque mi trovassi, mi trovavo fuori luogo. A casa di Noah, davanti la lapide di mia madre, camminando per strada, in mezzo alla folla. Mi sentivo di troppo e a volte, mi sentivo troppo poco considerata. Invisibile, come un fantasma che vaga senza meta. Ero assente, sentivo di non dover trovarmi in nessun posto che non fosse il buio. Ecco, mi sentivo intrappolata in un oblio che non aveva né inizio, né fine e la cosa peggiore, era che non mi trovavo sola, ma stavo trascinando con me anche mio figlio. Non c'era persona che avesse potuto aiutarmi e anche se ci fosse stata, non sarei stata in grado di farmi aiutare. Come si fa a spiegare a qualcuno qualcosa che non si sente? Come si fa a spiegare a qualcuno l'oblio? Come si fa a spiegare la solitudine?

La mia vita negli ultimi anni era cambiata in un batter d'occhio. Senza che me ne rendessi conto, avevo trovato e perso l'amore della mia vita, avevo detto addio a mia madre e stavo per diventare madre. Quella che fino ai diciassette anni era sempre stata una vita monotona, si era trasformata in un'altalena di avvenimenti caratterizzati da emozioni sentite, ognuna in contrasto con l'altra. A volte pensavo che fosse normale: chi non sarebbe arrivato a tanto dopo tutto? Chi non avrebbe smesso di sperare in un futuro migliore?

"Lydia" mi richiamò il dottor Smith, serio. La sua voce autoritaria mia fece alzare di colpo lo sguardo, il quale era rimasto incantato nell'ammirare una fotografia ritraente Smith e la sua famiglia. Sua moglie e i suoi due figli, intenti a sorridere davanti l'obiettivo. Sembravano una famiglia davvero felice, quello che avrei sempre voluto anche io. Non risposi, con lo sguardo gli feci intendere di continuare. Lui sospirò e lasciò cadere sulla scrivania le pratiche. "Dalle ultime analisi non ho riscontrato alcun segno di miglioramento" congiunse le mani l'una con l'altra. 

Abbassai lo sguardo: era esattamente quello che mi aspettavo. Nessun miglioramento, soltanto peggioramenti. Rimanemmo in silenzio qualche secondo, giusto il tempo di elaborare. Smith si alzò dalla sua sedia scorrevole, di pelle nera. Infilò le mani all'interno dei pantaloni blu, scansando il camice sbottonato. 

"Sarò sincero con te" disse di punto in bianco. "Di questo passo, non ci vorrà molto prima che tu perda il bambino" 

Quella fu la prima volta che riuscii a percepire dispiacere nella sua voce. Il Dottor Smith era un uomo fermo, che non si lasciava facilmente attraversare dalle emozioni. Il suo lavoro non glielo permetteva. Eppure, in quell'instante, la sua voce parve rotta, qualcosa dentro di lui lo costrinse a sbattermi in faccia la verità ma nel contempo, farmi capire che era dispiaciuto. 

"E' inutile girarci intorno: lo vuoi questo bambino, Lydia?" mi domandò. Una domanda così pungente.

"Sì" risposi a denti stretti. Alzai lo sguardo che fulminarlo: sapeva meglio di me che io volevo il bambino. Era me stessa che non volevo. 

"Non si direbbe..."

"Ho detto che voglio il bambino" ribattetti senza dargli neanche tempo di proseguire. Mi stavo innervosendo. 

Smith si voltò verso di me e in quel momento capii: stava cercando di farmi reagire. 

"Perderai tuo figlio molto presto, se continui a trascurarti in questo modo" si appoggiò alla scrivania, con le braccia conserte. "Vuoi il bambino? Allora smettila di pensare solo a te stessa"

Scoppiai leggermente a ridere, un ghigno. "Pensare a me stessa? Le sembro una persona che pensa a sé stessa?" alzai di poco il tono della mia voce. Mi capitava spesso quando dialogavo con il Dottor Smith, ci sapeva fare. Riusciva a spronarmi: anche se per poco, riusciva a smuovere qualcosa i me. Quel qualcosa che mi costringeva ad alzare lo sguardo, intrappolata nella mia bolla buia e intravedere quello spiraglio di luce e di speranza.

"Il tuo è un comportamento da menefreghista. Vuoi il bene per il tuo bambino? Allora smettila di volere del male per te stessa. La tua vita, le tue decisioni, da quando hai scoperto di essere incinta, fino a quando non lascerai questa Terra, saranno condizionate da tuo figlio. Non potrai più decidere solo per te ma dovrai decidere prima di tutto per lui. Ad oggi, tu stai scegliendo cosa sia giusto e sbagliato per te, non per lui" predicò tutto d'un fiato. Rimasi a bocca asciutta, incapace di proferire parola. Smith rimase a fissarmi, cercando di captare qualcosa nel mio sguardo. "Non sarai più solo tu. Sarete in due, tu e lui...o lei. Sarà la tua priorità. Non potrai più decidere di partire per una vacanza senza prima essere sicura che lui stia bene. Vuoi l'ultimo pezzo di torta? Se tuo figlio avrà fame, dovrai darla a lui. Avrà la febbre? Sarai tu a trascorrere le notti in bianco vicino al suo lettino" si fermò, io rimasi immobile, con gli occhi lucidi. "Sarai il suo punto di riferimento, lui avrà sempre bisogno di te, anche quando sarà cresciuto abbastanza e crederai che sia pronto per affrontare la vita. In realtà non sarà mai pronto" sospirò per l'ennesima volta. "Ricorda che prima di essere genitori, siamo tutti figli"

The Feeling 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora