Capitolo III - Il primo giorno

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Sesto Fiorentino, 21 Giugno 2026, ore 22:15 - Laboratorio GAIA

Al piano UG-2 trovavano posto alcuni uffici e salette per la teleconferenza. C'erano alcuni ragazzi  che parlavano in corridoio, vicino alla macchinetta del caffé; la sua attenzione fu però attratta da alcune fragorose risate che giungevano dalla parte opposta, dove due colleghi stavano guardando assieme qualcosa di apparentemente divertente su di un pad. Sì sentì come sollevata: l'ambiente era abbastanza amichevole... e per lo stesso motivo, una frazione di secondo dopo sentì anche un sottilissimo brivido freddo di delusione, quasi come se percepisse quella rilassatezza come una mancanza di serietà e dedizione: non avrebbe voluto sprecare il suo tempo e le sue competenze dove non fosse stata apprezzata. Ma fu un pensiero che svanì un attimo dopo averla sfiorata: aveva ormai perso quell'intransigenza che l'aveva caratterizzata da adolescente.

«Benvenuta! tu sei Lucrezia, giusto?»

La voce arrivava dalle sue spalle; si voltò e sorrise timidamente.

«Buongiorno... sì, sono io. Lei è il professor Berti?»

Si strinsero la mano. La presa del professore era delicata, la sua mano fredda e asciutta.

«Ciao, piacere di conoscerti, chiamami pure Luca e dammi del tu! La professoressa Scala mi ha parlato molto bene di te e non vediamo l'ora che ti unisca al team.»

«Grazie...», accennò in risposta appena percettibilmente.

«Seguimi, ti voglio subito presentare ai ragazzi!», e così dicendo si avviò verso il gruppetto raccolto attorno alla macchinetta del caffé.

Dario Zucconi aveva 33 anni ed era il matematico. Aveva da pochi mesi completato il dottorato in probabilità e statistica matematica, ma lavorava al laboratorio già da 2 anni. Se normalmente gli stereotipi sono esagerazioni a cui non prestare troppa attenzione, ebbene non era il caso de "Lo Zucca". Lui era tutto ciò che puoi aspettarti da un nerd: alto, magrissimo, timido, con un tic che gli faceva accomodare gli occhiali sul nasone ogni pochi secondi, con una frequenza proporzionale al livello di agitazione emotiva.

Non che nel 2027 ci fosse ancora bisogno degli occhiali da vista, le lenti olografiche erano in grado di correggere qualunque difetto nel visus naturale, ma lui non riusciva a vincere il fastidio di indossarle e dunque si era dotato di un paio di occhiali olografici classici, con la montatura nera e le lenti rettangolari, di cui andava orgoglioso.

Giuseppe Laudato, classe 1998, era un ottico elettronico esperto in machine vision. Aveva realizzato la sua prima applicazione di visione artificiale all'età di 14 anni, partendo da una webcam e un vecchio computer portatile. Durante gli ultimi anni collaborato con una nota azienda del fiorentino, cui aveva venduto un paio di brevetti. Ben presto però si era sentito limitato e frustrato dall'enorme burocrazia e i lunghi tempi di sviluppo che doveva affrontare. Era quindi giunto al laboratorio con la promessa di grande autonomia e flessibilità, ma soprattutto di poter avere accesso alla capacità di calcolo di una delle intelligenze artificiali generaliste più promettenti nel raggio di diverse centinaia di chilometri.

Marta Senesi, 24 anni, era una ragazza prodigio: aveva vinto le Olimpiadi di Matematica in ogni categoria possibile e immaginabile a partire dalla terza elementare. Un calcolatore umano che si diceva fosse capace di leggere il linguaggio macchina come se fosse un classico della narrativa per ragazzi. Ovviamente era solo una voce messa in giro da qualche invidioso per farla apparire ancor più inquietante. La verità era che Marta era affetta da una forma moderata di sindrome di Asperger e che era imbattibile nell'interpretazione dei risultati delle reti neurali: riusciva a ricostruire matematicamente come una rete neurale giungesse a determinati output osservando le sequenze di "accensione" dei neuroni. A questo scopo aveva chiesto agli sviluppatori di realizzare una interfaccia di analisi dietro sua specifica. Yuri e Ivan l'avevano accontentata, ma non avevano bene compreso come quella interfaccia potesse aiutarla.

Completavano il team "ristretto" Yuri e Ivan Antonioni, due gemelli classe 2003. Si erano laureati entrambi in informatica, ma chi li conosceva bene giurava che si erano suddivisi gli esami e ciascuno di loro li aveva sostenuti due volte, scambiandosi identità col fratello. La cosa non fu mai però provata, e tutto sommato non era rilevante, dato che entrambi erano geniali. Era però nel pair programming che strabiliavano chiunque: in due avevano una produttività pari ad almeno sei volte quella di un eccellente sviluppatore full stack. Avevano sviluppato loro il mainframe su cui giravano le reti neurali del laboratorio e l'applicazione di analisi che Marta utilizzava per il suo lavoro.

Lucrezia non si meravigliò nell'apprendere che nel team del professor Luca Berti c'era solo un'altra ragazza: ci sono cose in questo Paese che resistono al passare del tempo come in nessun altro luogo del mondo, pensò.

Era preparata a sostenere diverse reazioni tipiche di quelle circostanze e a reagire nel modo più efficace: sorridere genuinamente e sostenere anche gli sguardi più insistenti, fossero sarcastici, di diffidenza, di invidia o anche peggio. Sapeva che avrebbe dovuto farsi strada a spallate e sperava di averne la forza. Per farlo, però, non poteva apparire debole o dubbiosa: la sua preparazione era indiscutibile e grazie a questa avrebbe superato la diffidenza iniziale. Sì, sarebbe andata così!

Avendo previsto il momento delle presentazioni, si era preparata una breve introduzione per i colleghi, quindi non indugiò.

«Piacere di conoscervi, io sono Lucrezia Bruno, dove Bruno è il cognome...»

Tutti ridacchiarono a quella battuta, che per anni Lucrezia aveva considerato un noioso tormento. Tutti o quasi: Marta l'accolse con interesse, come se fosse una importante e doverosa precisazione. A Dario sfuggì addirittura un ghigno mal controllato, al quale pose rimedio tappandosi la bocca con la sinistra ed alzando la destra in segno di scuse, con gli occhi rivolti verso il pavimento . Era riuscita a distendere i nervi, adesso sarebbe stato tutto più semplice.

«Mi sono da poco laureata in fisica dei materiali a Genova...»

«...dopo aver conseguito la laurea in Ingegneria elettronica solo tre anni fa», proseguì il professore, facendola arrossire un po'.

Berti si era accorto che Lucrezia stava cercando un modo per farsi accettare facendo valere le proprie competenze e cercò di aiutarla calcando un po' la mano.

«Lucrezia sarà il vostro cliente più esigente durante la prossima fase del progetto... visto che lei ha il compito di trovare una nuova casa per le nostre reti neurali. Per noi si tratta di una fantastica opportunità per renderle trasportabili, efficienti e più flessibili.»

Fece una pausa. Sembrò per un attimo focalizzarsi su un punto vicino al suo naso e poi proseguì.

«Bene, adesso che abbiamo fatto le presentazioni è l'ora di mettersi al lavoro, sono appena le 22 e 30 e la notte è ancora giovane!»

Rivolgendosi al più anziano del gruppo disse:

"Dario, per favore, cerca il signor Seri e falle assegnare una workstation".

Poi di nuovo a Lucrezia:

«Oggi sarà una giornata noiosa per te... il protocollo di onboarding prevede diversi corsi di base. Immagino che si tratti di concetti con cui sei già familiare, ma si tratta delle regole. Appena completati il tuo account verrà sbloccato e potrai accedere ai documenti del progetto.»

Lucrezia annuì serrando appena le labbra: era il segno, forse lievemente ostentato, che aveva capito e che si sarebbe impegnata anche nelle formalità.

«Madò che palle!», sussurrò Giuseppe tentando la mossa della simpatica canaglia con la graziosa Lucrezia. Lei non nascose un sorriso di circostanza e si avviò con il taciturno Dario verso la stanza dei tecnici.

Era immersa in questa strana, nuova atmosfera carica di prospettive e armata di buona volontà, e per una volta si sentiva leggera.

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