Sesto Fiorentino, 16 Gennaio 2028
«Finito! Questa era l'ultima», disse Giuseppe azandosi dallo sgabello della postazione di stampa 3D.
Lucrezia si alzò e si avvicinò per dare un'occhiata. La proiezione olografica le mostrò le scheda ingrandita di 20.000 volte; con l'indice indicò in successione i waypoint che aveva definito per il programma di ispezione e rapidamente l'immagine si spostava ogni volta nel punto esatto, evidenziando con un rosso brillante le imperfezioni dell'ordine di grandezza dei nanometri. Le saldature le sembrarono pressoché perfette.
«Mi sembra venuta bene anche questa... tu che ne dici?»
«Sì, alla fine questo catorcio lavora ancora piuttosto bene...»
«Ora dobbiamo solo assemblare il processore».
Non ebbe finito di parlare che Giuseppe stava già aprendo la scatola in alluminio. Indossava un paio di guanti in lattice azzurri e nella mano destra una pinzetta in acciaio. Il processore NeuroMaster II era esternamente un blocco rettangolare in alluminio con finitura a specchio, con tre file di dissipatori a spirale sulla sommità che sembravno una foresta di punte da trapano. Nella parte inferiore aveva invece una fitta pedinatura su tutti e 4 i lati. Giuseppe lo raccolse attentamente per una sporgenza inerte con la pinzetta e lo posizionò in uno dei loculi per i componenti della macchina.
Lucrezia avviò la sequenza di installazione e il braccio cartesiano della macchina afferrò il componente e lo posizionò al di sopra dello zoccolo. Il posizionamento richiese almeno 30 secondi perché era supervisionato e dunque la velocità estremamente ridotta: non si trattava di un processore tra i più costosi, ma era di certo poco frequente vederlo installato su un computer domestico o da ufficio. Si trattava di un modello specifico per reti neurali e garantiva notevoli prestazioni.
Dopo pochi secondi la luce rossa sul lato della macchina si spense e il blocco di sicurezza si sgancò consentendo l'apertura della zona di stampa. Giuseppe estrasse la scheda madre con il processore e andò a posizionarla all'interno di un armadio rack poco più in là, canticchiando col suo fare leggero una canzoncina napoletana che parlava di pane fresco. O di qualcosa di di simile, pensò Lucrezia.
I test erano tutti positivi e i nuovi processori erano pronti per il collaudo. Ma più che il processore era la scheda madre che destava preoccupazione in tutti. Era un design sperimentale del laboratorio di elettronica, dove Lucrezia aveva praticamente trascorso l'ultimo mese studando tutte le specifiche e padroneggiandone l'architettura, e prometteva un notevole miglioramento delle prestazioni.
Berti aveva di buon grado accettato di utilizzare quelle schede madri per Gaia a scopo di beta test; del resto non c'erano fondi per ulteriori nuovi asset e quello era l'unico modo per testare la nuova diagnostica di GAIA ideata da Lucrezia. Entro pochi giorni, dopo tutti i test, avrebbero trasferito i nucleo primario e alcune delle sottoreti neurali sul nuovo cluster: un solo armadio rack contro 5 di quelli presenti nella "cameretta di Gaia".
Yuri e Ivan, assieme ad altri 3 tecnici dell'infrastruttura e del supporto, ricontrollarono tutte le connessioni in fibra ottica per una buona mezza giornata, mentre Dario e Marta completavano il secondo backup di Gaia sullo storage esterno.
Era stato un periodo duro per tutti, ma finalmente erano vicini a quello che era considerato l'inizio dell'ultima fase del progetto. Berti in quei giorni era nervoso e teso: la riunione con il consiglio di amministrazione, ma soprattutto qualle con gli investitori privati, si avvicinavano e aveva bisogno di dare loro in pasto qualcosa, a qualunque costo.
Lucrezia rimase fino a tardi al laboratorio quella notte, ricontrollando le diagnostiche, i diagrammi di dissipazione del calore, quelli di assorbimento. Non c'erano grossi problemi, anche se i valori erano piuttosto alti, ma ricontrollò tutto per l'ennesima volta: era lei che aveva disegnato l'architettura di Gaia Compact, che aveva voluto i NeuroMaster II, che aveva dato l'ok per la compatibilità con la scheda del dipartimento vicino... non aveva paura di assumersi responsabilità, anzi spesso si esaltava, ma ci teneva che tutto funzionasse per il meglio.
Più tardi, rincasando, sentì che il suo babbo era ancora in piedi. Dal soggiorno proveniva a basso volume il rumore di un vecchio film di guerra... spari, esplosioni, qualche grido. Appena chiusa la porta sentì il divano scricchiolare, poi lo vide apparire sulla soglia con un pacchetto in mano.
«Buon compleanno, bambina!»
«Oh! Babbo! Grazieee! Ti sei ricordato!»
«Sei la sola figliola che mi è rimasta, non oserei dimenticarmi del tuo compleanno!»
«Babbo...», le lacrime le riempirono gli occhi e si abbracciarono, nel buio della stanza, rotto a momenti dai lampi bluastri della TV.
STAI LEGGENDO
La scelta giusta
Science FictionLucrezia è una brillante e capace neolaureata che torna nella sua città natale, Firenze, in un caldissimo 2027. Il suo lavoro sarà fondamentale per un innovativo progetto di Intelligenza Artificiale, ma sarà in grado di affrontare le conseguenze di...