Slaves to this love

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We've been slaves to this love

From the moment we touched

And keep begging for more

Of this resurrection[1]

“E anche per oggi è fatta.” 

Tommy chiude la grata e gira la chiave nella toppa della porta del bar sbuffando: un’altra giornata di lavoro è finita e adesso può correre al suo garage e chiudersi in quel mondo fatto di note che lo fa sentire vivo. Prima o poi arriverà l’ultima grata da tirare, l’ultima porta da chiudere e potrà finalmente sentirsi davvero libero. Si guarda intorno per controllare che tutto sia a posto, inserisce l’allarme, da un ultimo colpo di spugna al bancone poi si avvicina al tavolino dove sono seduta da un po’, sposta una sedia e si siede di fianco a me.

“Allora Laura, hai deciso di dormire qua o vuoi venire a farmi compagnia al garage?”

“Sarai solo?”

“Si, tranquilla. Nik e gli altri stasera hanno la serata libera: devo sistemare alcuni testi che non mi convincono e quando sono preso dall’estasi creativaè meglio che gli altri ragazzi se ne stiano alla larga.” 

Scoppia a ridere, si alza, prende una bottiglia di Jack Daniel’s dallo scaffale poi mi guarda.

“Allora che fai?”

“Va bene, vengo con te. Tanto non è che abbia delle grandi scelte poi sono curiosa di vedere il genio al lavoro.”

Mi guarda con un sorriso amaro e uno sguardo malinconico e insieme ci dirigiamo verso la porta che dà sul retro. Percepisco che c’è qualcosa che non va: quello che ho davanti non è il solito Tommy sbruffone e sicuro di se. E’ pensieroso, serio, come se avesse un peso dentro.

Il garage dista un centinaio di metri dal bar e in pochi minuti siamo lì. Tommy apre il portone ed entriamo. Mi siedo in un angolo e rimango a osservarlo mentre alterna annotazioni su un blocco per appunti a strimpellamenti con una chitarra acustica fumando e bevendo dalla bottiglia che si è portato dal bar. Stranamente è piuttosto silenzioso: è difficile vedere così proprio lui che ama deliziarci con i suoi monologhi e sfoderare la sua parlantina. Non capisco se sia solo una conseguenza dell’estasi creativa, come l’ha chiamata lui, o se ci sia dell’altro. 

D’un tratto straccia tutti i fogli su cui aveva scritto, lancia la chitarra in un angolo, spegne la sigaretta gettandola e pestandola nervosamente poi si siede a terra. Piega le ginocchia portandosele vicino al petto, ci si appoggia con i gomiti e si passa le mani tra i capelli. Si volta verso di me con uno sguardo smarrito: i suoi occhi azzurri, sempre vivi e così attenti al mondo, hanno una luce spenta, sono come offuscati da lacrime che vorrebbero scendere, ma che restano lì, sospese tra le sue ciglia.

Scende uno strano silenzio nel garage dove l’aria odora di sigaretta mista ad alcol. Dopo un po’ mi decido a parlare per rompere la tensione.

“Tommy, è tutto a posto?”

“Tutto a posto… mi chiedi se è tutto a posto… Non lo so Laura. Ecco, sei riuscita a trovare una domanda alla quale Tommaso Riccoboni non riesce a rispondere.”

Accenna un sorriso ironico, ma il suo sguardo è perso. Prende un altro sorso di Jack Daniel’s, sospira poi alza lo sguardo verso di me.

“Laura… credi davvero che prima o poi riuscirò a dare una svolta alla mia vita? Ho quasi quaranta anni e mi sento come se non avessi concluso niente di buono. Certo, ho un bar che gestisco e va abbastanza bene, non mi posso lamentare, ma sento che questa vita inizia ad andarmi stretta. Non è quello che voglio. La mia vita non è servire cappuccini: io voglio stare su un palco, vivere della mia arte. Credi che ce la farò?”

Lo so che il mio amore è una patologiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora