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Il giorno dopo mi svegliai per pranzo. Avevo quasi dimenticato quella strana conversazione con Cesare tanto ero stanca a causa dell'esame. Ma, nonostante tutto, più cercavo di dimenticare quella scena, più tornava prepotentemente nella mia testa nei momenti meno opportuni.

La sera decisi di staccare la testa completamente da tutto e da tutti. Andai nel bar sotto casa a prendermi un te. Avevo bisogno di riordinare le idee, di capire cosa stesse succedendo intorno a me, di mettere assieme tutti i pezzi. Ma per quanto ci provassi continuava sempre a mancarmi un tassello, un pezzo del puzzle, un stupidissimo frammento che mi sarebbe servito a completare il quadro generale.

Ero seduta in un tavolino isolato dentro al bar impegnata a sorseggiare tranquilla il mio te quando qualcuno mi si piazzò di fronte.

"Posso?" Chiese indicando la sedia all'altro capo del tavolino.

Alzai lo sguardo e mi trovai davanti un cappellino e un piercing familiare. Ramòn sorrideva e, dietro, Wolf stava accucciato ai suoi piedi.

"Si, certo." Risposi sorridendo a mia volta e salutando il cane.

Lui si sedette e ordinò un caffè.

"Che ci fai qua tutta sola?" Chiese mescolando lo zucchero dentro al suo caffè.

"Non avevo voglia di stare in casa e volevo allontanarmi un po' dall'ambiente universitario." Risposi.

"Ah, vai all'università?" Chiese stupito. "Che studi?" Sembrava colpito dal fatto che io potessi andare all'università, forse non avevo la faccia da studentessa modello e questo l'aveva tratto in inganno, oppure quello confermava ciò che avevo pensato durante il nostro fugace incontro sotto casa mia, cioè che non fosse una cima, anzi, che fosse proprio stupido.

"Si, studio lettere." Dissi. Lui trasalì leggermente. Forse perché nella sua vita non aveva mai conosciuto nessuno che avesse studiato lettere, o forse perchè il fatto che una persona potesse studiare lettere faceva letteralmente rabbrividire le altre persone, quelle normali, quelle sane di mente.

"E cosa si studia in lettere?" Chiese lui ridendo.

Non ci volevo credere che avesse fatto davvero una domanda del genere. Risposi rimanendo sul vago, tanto non capiva la metà delle cose che dicevo, aggiungendo una punta di fastidio alla mia spiegazione.

"Dai ma stavo scherzando, ti pare che non so cosa si studi in lettere?" Rise di gusto. Non so se mi aveva fatto più imbestialire la sua domanda o questo suo scherzetto, ma fatto sta che iniziavo ad alterarmi. "A parte l'università hai altri interessi?" Rise ancora.

"Certo, mica passo tutta la giornata a studiare. Mi piace uscire con i miei amici. Tu che fai?"

"Se te lo dicessi poi dovrei ucciderti." Disse serio e un bagliore di pura follia gli attraversò gli occhi castani.

"Che stupido!" Dissi. Ero sicura che stesse scherzando, aveva un modo di fare troppo da bravo ragazzo anche se tentava di atteggiarsi a vandalo. Cercava di fare il cattivo con scarsi risultati. "Dai che ti piace fare? Tipo sabato che hai fatto?" Chiesi e questa volta ero io a ridacchiare. Feci la domanda ma non mi interessava tanto la risposta, anche se una volta arrivata catturò la mia attenzione.

"Vorresti saperlo. Ma non posso dirtelo." Disse serio.

"Perché no?" Insistevo io.

"Perché non sono fatti tuoi. Son cose private."

"Ho capito, eri con una ragazza e stavi facendo porcate, magari in un luogo pubblico." Dissi ammicando.

"Certo che hai una fantasia molto sviluppata." Rise lui rilassandosi.

"Sicuramente è una cosa un po' porno se non me la vuoi confessare."

"Non è niente di sessuale." Ammise.

"Come no? Allora puoi dirmela."

"Ho ucciso una persona." Disse scandendo ogni singola parola. "Ecco perchè non volevo dirti niente. Ora sei mia complice."

"Quante stronzate spari?" Ridacchiai, ma sentivo il gelo nelle vene. E se fosse stato vero? E se il mio vicino fosse un assassino? E se io fossi effettivamente seduta ad un tavolino di un bar con un effettivo omicida? E ora sapeva un sacco di cose su di me, dove studiassi, da dove venissi, ma soprattutto dove abitassi. Furono intensi secondi di paranoia.

"Perché dovrebbe essere una stronzata?" Chiese lui più sereno che mai.

"Secondo me non ne saresti in grado." Risposi. Ma la voce uscì fuori dalla mia bocca tramolante.

"E se fosse vero? Se io avessi davvero ucciso una persona sabato notte?" Bisbigliò.

"Chi...Chi hai ucciso?" Balbettai. Non credevo alle mie orecchie. Non potevo credere di aver davvero fatto una domanda del genere.

Qualcuno spalancò la porta del bar in modo piuttosto rumoroso, distogliendoci da quella strana e ambigua conversazione.

Fui quasi abbagliata dalla bellezza dell'individuo che attraversava a passi sicuri il bar. Massimo raggiunse veloce il nostro tavolino e il mio cuore fece un salto nel vuoto, come se non ci fosse nessun altro organo a bloccarlo.

"Massimo. Cosa ci fai qua?" Chiese Ramòn spavaldo.

"Vattene via." Ringhiò lui. I soi occhi di un rosso vivo brillavano d'odio.

"Quanto sei antipatico." Rispose Ramòn sereno.

Massimo continuava a fissarlo. Io rimasi pietrificata a guardare la scena.

Ramòn lasciò due euro sul tavolino per il caffè e si alzò lentamente.

"A presto Vittoria." Sorrise e poi si diresse tranquillo fuori dal bar seguito da Wolf.

Massimo si accomodò nella sedia vuota al mio fianco e il mio cuore riprese a battere, più veloce del solito.

Plenilunio di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora