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Dei rumori provenienti al piano di sopra mi risvegliarono attirando la mia attenzione. Quasi smisi di respirare non appena riuscii a capire a chi appartenesse la voce che sbraitava al piano di sopra.

"Morgana. Dimmi la verità." Urlò ancora quella voce.

"Datti una calmata. Perché mai dovrei essere coinvolta?" Rispose lei con una tranquillità disarmante.

"Vittoria è sparita. Deve per forza essere colpa tua."

"Ed è qui che ti sbagli. Cosa vuoi che me ne importi di una stupida umana? Solo tu e quell'idiota di Massimo siete ossessionati da lei. Io ho altro per la testa."

"A proposito." La voce di Cesare si bloccò all'improvviso, e dopo un silenzio che sembrò infinito riprese a parlare. "Massimo. Dove è finito?"

"Sarà in giro, a cacciare, non so dove passa le sue notti."

La risposta di Cesare tardò ad arrivare. E io, raccogliendo tutte le energie che mi erano rimaste, iniziai ad urlare, con la vana speranza che qualcuno mi sentisse, che Cesare si accorgesse che solo una scalinata ci stava separando. Ma niente, nonostante i miei sforzi fu tutto inutile, la loro conversazione proseguì, i toni si fecero sempre meno accesi e più amichevoli, si fumarono una sigaretta e poi Cesare andò via, potei sentire i suoi passi andare verso la porta, il portone aprirsi e chiudersi, il sospiro di Morgana e i suoi passi veloci verso il seminterrato.

La porta si aprì con un cigolio fastidioso e Morgana comparve davanti a me. Io mi alzai dall'angolo in cui stavo rannicchiata nel mio bozzolo di disperazione e tristezza.

"Scommetto che stavi urlando." Rise lei. "Fiato sprecato, ovviamente. Non sono mai stata intelligente, ma il seminterrato della casa di un vampiro va sempre fatto insonorizzare." La sua risata schifosamente malvagia continuava senza sosta. Sembrava che ci provasse proprio gusto a vedermi in quello stato psicofisico.

Io non risposi. Ero psicologicamente a pezzi, sola in quella cantina da troppo tempo, abbandonata da tutti, Cesare non si era nemmeno accorto che eravamo così vicini, separati solo da pochi metri, Ginevra e Ramòn non erano venuti nemmeno a cercarmi, magari erano troppo impegnati a limonare sulle panchine dell'università per preoccuparsi di che fine avessi fatto io, e Massimo, dove era finito? Perché mi aveva lasciato da sola? Perché non veniva a salvarmi? Ero prigioniera in casa sua e lui ancora non se n'era reso conto.

"Come ci si sente a passare un po' di tempo in solitudine? Rilassante non credi?" Morgana riniziò a parlare, tranquilla, calma, come se fossimo in un qualche modo ambiguo amiche di vecchia data. "Avrai un po' di tempo per riordinare i pensieri. Per imparare a comportarti con il resto del mondo magari. Per capire finalmente che devi imparare a farti gli affari tuoi e a non impicciarti in storie che non ti riguardano e che, mi sembra evidente, stanno al di sopra di te." Parola dopo parola l'odio nei miei confronti cresceva così come la follia nei suoi occhi rossi.

"Perché non la fai finita?" Chiesi debolmente.

"Prego?" Disse lei "Non ho capito." Ringhiò.

"Perché non mi uccidi? Visto che mi odi tanto."

"Non posso. Te l'ho detto, per adesso mi servi viva." Disse sfoderando il suo più inquietante sorriso.

"In che senso?"

"Ma quante domande fai? Inizi ad essere fastidiosa." Rispose così alla mia domanda e subito dopo risalì elegantemente la scalinata in pietra e sparì al piano di sopra.

La sentii chiacchierare con Davide, ridere di gusto, ridere di me. E poi più niente, per un tempo che mi sembrò infinito ci fu soltanto un silenzio assordante.

La casa si animò di nuovo una volta che la notte iniziò ad impossessarsi del cielo bolognese. Mi sembrava quasi di riuscire a vedere il tramonto davanti a me, riuscivo ad immaginarmelo tra quelle pietre scure.

Qualcuno suonò alla porta. E qualcuno andò ad aprire.

"Massimo. Dove è Vittoria?" Chiese Cesare.

"Non lo so, è sparita, non mi risponde ai messaggi." Rispose Massimo tranquillamente, come se io non fossi chiusa nel suo seminterrato ormai da due fottuti giorni.

"Sparita? E tu non ne sai niente?" Chiese Cesare insistente.

Tutto ciò non aveva senso, continuavano la loro conversazione che diventava sempre più tranquilla, i toni accesi delle prime domande di Cesare andavano via via a spegnersi, così come era successo nel corso della conversazione tra Morgana e Cesare. Ogni risposta che Massimo forniva sembrava infondere un senso di tranquillità in Cesare, tranquillità che traspariva dalla sua voce. E tutto questo continuava a succedere a pochi metri di distanza da me e dalla mia prigione. Possibile che nessuno dei due si accorgesse della mia presenza? Possibile che Massimo non lo sapesse? Possibile che nessuno dei due riuscisse a sentire il mio odore? Perché dovevo conoscere l'unico lupo mezzo vampiro con l'olfatto fottuto?

Il portone d'ingresso si chiuse e Morgana e Massimo iniziarono a parlare.

"Cesare chiedeva che fine avesse fatto Vittoria." Disse lui.

"Ancora?!"

"Come ancora?" Chiese il vampiro.

"Ancora Cesare? Ancora Vittoria? Basta, possiamo, per una volta, parlare d'altro?" Chiese lei sbuffando.

"Si, certo, hai ragione. Però mi sembra strano che non mi risponda ai messaggi."

"Ma chi?"

"Come chi, Vittoria."

"Svegliati bello, avrà sicuramente trovato di meglio lì fuori. Magari qualcuno che può andare in giro durante il giorno senza andare incontro ad una morte certa. Magari qualcuno di vivo."

Massimo non rispose, quasi come se fosse rassegnato, come se sapesse che prima o poi avrei avuto bisogno di qualcuno di vivo al mio fianco.

"Pensavi che sarebbe durata per sempre? Lo sai, c'è solo un modo per far in modo che duri per sempre. Donarle l'eternità. Ma questo potrebbe causare qualche piccolo problema, ti ricordo che abbiamo delle indicazioni da seguire, ti ricordo che abbiamo un compito, uno scopo. Non dimenticartelo." Disse, e poi uscì di casa.

Di nuovo il silenzio si impossessò pesantemente della villa.

Sembrava passata un'eternità ormai, pensavo che tutti si fossero dimenticati di me, che perfino Morgana si fosse dimenticata di avermi rinchiuso nel suo scantinato. Un senso di solitudine inspiegabile si impossessò di me. Non riuscivo a capire come fosse possibile che nessuno mi avesse ancora trovato, che nessuno avesse fatto irruzione in quello scantinato per salvarmi, mi sembrava di vivere il mio peggiore incubo. Poi mi tornarono in mente le parole che Morgana aveva rivolto a Massimo. Loro avevano un compito, uno scopo. Si ma quale? Quello di lasciarmi morire nel loro scantinato.

La porta si aprì di nuovo e Morgana comparve nello scantinato.

"Non mi son dimenticata di te, non temere." Disse scoprendo i suoi canini aguzzi.

Io non le risposi, non ne avevo né la forza né la voglia. Avrei solo voluto che lei se ne andasse e mi lasciasse sola con il mio senso di vuoto.

"Morgana, dove sei?" Urlò Massimo al piano di sopra.

"Arrivo." Rispose lei, ma Massimo era già sulle scale.

Nessuno disse niente. Morgana, zitta, cercava chiaramente le parole giuste da dire. Massimo mi fissava stupito. Io tirai un sospiro di sollievo, la vista mi si appannò del tutto e persi i sensi sul divano di quella fredda cantina. 

Plenilunio di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora