CAPITOLO 21

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Era stata la polizia a risvegliare Maicol e Pippo. Sembrava che la polizia, in realtà, fosse dappertutto. I due agenti della security erano stati interrogati in modo sbrigativo, sul posto, da una donna in uniforme che annotava le loro dichiarazioni su un taccuino, chiaramente poco interessata a quel che avevano da dire.

Pippo, che era sempre stato dotato di maggiore senso pratico, si limitò a dichiarare di essere stato narcotizzato. Maicol si lanciò in una descrizione molto precisa dell'accaduto: l'allarme scattato, la plafoniera fulminata, la strana nebbia nera... Dopo un po' la donna in uniforme aveva inarcato le sopracciglia, perplessa.

«Forse ho avuto le allucinazioni» ritrattò Maicol, immediatamente. «Devo essere stato narcotizzato».

La donna annuì, comprensiva. Era la stessa cosa che aveva detto il suo collega.

Alberto, l'addetto al parcheggio, quando dovette rilasciare la sua versione si trovò in imbarazzo molto maggiore. Non poteva dichiarare di aver incontrato Satana nel corridoio, questo era chiaro.

Se la cavò dicendo di non aver visto niente e di non aver sentito niente. Era rimasto tutto il tempo nella sua stanzetta, ascoltando musica ad alto volume con il suo lettore mp3. Quasi si aspettava che qualcuno gli chiedesse 'Tutto il tempo di che cosa?', e si preparò anche una risposta passabile, ma nessuno glielo chiese. Gli fu permesso di tornare a casa verso le due del mattino.

Una volta nella sua camera, Alberto si inginocchiò accanto al proprio letto e recitò un Padre Nostro. Lo recitò quasi tutto, tranne le parti che non si ricordava.

Giorgio Balboni fu trovato addormentato sulla sua poltroncina, nel suo ufficietto vicino all'entrata. Nessuno sembrò interessato a chiedergli alcunché: era solo un custode che si era addormentato, come succedeva spesso.

Non ebbe la possibilità di dire che aveva visto un morto vivente, ma anche se l'avesse avuta non l'avrebbe fatto. Non era mica scemo.

Tudini e Mainardi, nel grande salone al piano terra, trovarono un discreto casino.

Una volta capito che Sensi era vivo, stava bene e probabilmente era il principale artefice del casino stesso, avevano osservato meglio la situazione.

Tudini aveva guardato con aria rassegnata il pentacolo mezzo cancellato disegnato sul pavimento.

«Ci risiamo» aveva commentato Mainardi.

Avevano chiamato un'ambulanza per quello che sembrava essere 'l'uomo alto' che stavano cercando. Non era un bello spettacolo. Era nudo, sanguinante e se l'era fatta addosso.

Gli chiesero se volesse dichiarare qualcosa e quello rispose, con accento gutturale: «Avvocato».

Mainardi e Tudini si divisero gli altri partecipanti alla festa, che indossavano dei bei completini da messa nera.

Ivana Brunellati fu una delle prime a essere sentita. Capendo che la situazione era seria, anzi, serissima, iniziò subito a piangere. «È stato terribile...» singhiozzò. «Quell'animale ha stuprato quella povera ragazza... poi Goffredo ha sparato... è stato un incubo... pensavo di morire...»

L'uomo con le sopracciglia folte la ascoltò senza fare commenti, con la faccia inespressiva. Ivana iniziò a temere che non se la stesse bevendo e finse di svenire.

Mentre era svenuta pensò alla versione che avrebbe rilasciato non appena si fosse ripresa dal tremendo stato di shock in cui era. Era importantissimo scaricare tutte le responsabilità su Goffredo e su Divan e sostenere di essere stata plagiata, minacciata, forse anche drogata. Era un peccato che fosse finita così, ma Ivana non aveva intenzione di aggrapparsi al passato. Doveva uscirne pulita o quasi, e che Goffredo e Divan si fottessero. Goffredo, tra l'altro, era sempre stato insopportabile.

I ricordi degli specchi - L'indagine più oscura del Commissario SensiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora