parte 6.

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"STAI MENTENDO!"
Esclamai senza nemmeno pensare prima di dirlo, come se quelle parole stessero aspettando il momento adatto per uscire.
Non ci fù reazione, davanti a me avevo un pezzo di ghiaccio modellato a forma di donna... la “mia” donna. O almeno lo era ancora per me.
"Portami un pò d'acqua e zucchero ti prego, mi sto sentendo male"
La supplicai mentre poggiai la mia mano sinistra sul petto. La terra sotto ai piedi sembrava tremare, e tutto attorno girava vorticosamente.
Rimasi lì immobile mentre lei si recava al bar a soddisfare la mia richiesta. La vedevo allontanare e ad ogni suo passo mi sentivo sempre peggio. "È un incubo" pensai, "sta scherzando, adesso torna indietro e mi dice che è tutto uno scherzo" sperai, ma non fù così.
Mi porse la mia acqua, con fare infastidito. Sembrava che tutti li mi guardassero come se quasi fossi stata la scema del villaggio. Senza nemmeno riprendermi, corsi via. Avevo bisogno di conforto. Iniziai a fare un giro di telefonate per sentirmi dire qualcosa, una parola, qualcuno che mi ascoltasse o che mi calmasse dal mio panico.. ma trovai tutte porte chiuse. Nessuno era disposto ad ascoltarmi. Nessuno era li. Nessuno sapeva aiutarmi. Ero logorata, provavo un dolore al petto cosi forte che sembrava che stessi per morire. In quel momento sentì il mio cuore spezzarsi in mille piccoli pezzi.
Quel giorno, toccai il fondo. L'aria non riusciva ad entrare nei miei polmoni. Non bastava. La luce mi infastidiva. Guardavo tutto con fare spento e patetico. Una vocina nella mia testa mi sussurrava che era tutto finito: io ero finita. Guardavo tutto con occhi spenti e spaventati. La mia mamma mi fissava da lontano cercando di capire cosa avessi. Ma nessuno lo capiva. Guardavo fuori dalla finestra il sole tramontare, e seduta, con le gambe strette al petto, il mio unico pensiero erano “loro”. Cosa facevano? Dove erano? Ed io? Perché aveva preferito lei a me? .. continuava a rimbombarmi nella testa una sola frase: “E allora si che ero felice.”
La giornata passò con me appollaiata li.. persa nel mio dolore.
Mia sorella, ad ora di cena mi si avvicinò.
“Vieni a tavola?” mi chiese.. “è pronto.”
Feci cenno di no con la testa ed aspettai che se ne andasse.
“Ma cos’hai?” domandò incuriosita.
“più nulla..” ed era vero.
Andarono tutti a letto. Io mi infilai in doccia.. nel silenzio della notte. L'acqua calda mi accarezzava, ma neanche essa riusciva a darmi sollievo. Lavai i capelli con uno shampoo alla fragola, che piaceva alla mia lei. Iniziai a piangere, ma non mi sentivo turbata. Andava tutto bene, ‘era giusto’ mi dicevo. Uscì dalla doccia e misi il pigiama. Non asciugai i capelli, non volevo. Li legai in un'acconciatura spettinata. Era l'una ormai, notte inoltrata. Cercai un foglio di carta ed una penna, ed automaticamente, senza nemmeno pensare scrissi:
Mamma, papà;
Non odiatemi, non fatelo mai. Questo dolore è troppo per un cuore solo. Non posso essere ciò che sento qui, lo sarò altrove, ammesso e non concesso ci sia qualcosa ad aspettarmi.
Vi amo.

Para siempre en mi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora